5 giugno 2009, cielo velato e aria meno afosa del solito. Adelina del terzo piano, interno tre, a due minuti di strada dalla fermata del tram, prepara una valigia in similpelle, sgualcita negli angoli, con i manici un po’ cotti dal tempo: prova a metterci dentro quel che ci sta, quel che pensa di salvare da una vita, dopo sessant’anni tra quattro mura a far minestroni. Alle otto del mattino ha sciolto un nodo che aveva dentro, nella bocca dello stomaco, dal 5 giugno 1949, giorno delle sue nozze con Callisto Bianchi, nato e cresciuto al Musocco, con l’intenzione pure di morirci in quel quartiere. Ma l’Adelina no, ottant’anni suonati sono l’età giusta per scendere al piano terra e sparire verso la libertà che l’aspetta alla fermata del tram. Alle otto del mattino ha celebrato le sue nozze di diamante con un solenne “vadavialcù”, in stereofonia con finestre aperte e vento che spirava verso il bar, dove Nebbia seduto al suo tavolino ha sentito bene. Il Callisto non l’ha nemmeno guardata: in canottiera, appoggiato sui gomiti alla tovaglia cerata del cucinino, ha continuato a fissare il suo bicchiere semivuoto e il bottiglione di rosso dell’Oltrepo semipieno, masticando uno stuzzicadenti. L’Adelina ha preso fiato, si è gonfiata il petto e l’ha sgonfiato sul volto del marito. Vadavialcù, simbolo di redenzione di una casalinga che sta per partire verso l’ignoto.
Il 5 giugno 1949, a sposare il Callisto ci era andata in bicicletta, partita da una corte del Giambellino con mamma Ines, papà Giuseppe e i fratelli più piccoli, Rosaria e Santino. Per lei, papà aveva fatto il sacrificio di acquistare una Dei di seconda mano, nera e con i freni a bacchetta, regalo di nozze conquistato centellinando ogni risparmio. Tutta la famiglia era arrivata alla Certosa con altre due biciclette chieste in prestito al panettiere vicino di casa: mamma e papà in sella, Rosaria sul portapacchi, Santino sulla canna della bici usata da papà. Gli zii e altri parenti si erano arrangiati con altri mezzi o erano venuti a piedi, una decina di persone in tutto. Aveva detto sì al Callisto, perché prima o poi a qualcuno avrebbe dovuto dirlo, una zitella in casa non ci sta mai volentieri, e in fondo gli voleva bene. Gliel’aveva presentato la sua amica Gisella che, come il Callisto, lavorava in fabbrica a Greco. Si erano conosciuti per caso in una balera improvvisata fuori da un’osteria: ci andava di nascosto per ballare mezz’ora, non di più, il tempo massimo consentinto affinché a casa nessuno se ne accorgesse. Anche il Callisto l’aveva sposata per amore, ma di quel giorno ricorda soltanto l’ossobuco con il risotto, pranzo da re dopo la cerimonia, alla trattoria della Nina, un vecchio locale sul Sempione. Poi via, in treno, per il viaggio di nozze: tre giorni a San Mamete, sul lago di Lugano sponda italica, ospiti della zia Giacinta.
Da allora, tutto aveva cominciato a sbiadire, destino segnato per una casalinga senza figli: sua madre gliel’aveva detto, «sensa bagai, la famiglia la va a ciapàa i quai», ma la natura aveva deciso per lei mentre il Callisto si bruciava anno dopo anno, tra catena di montaggio e osteria. Nella camera da letto c’era giusto il tempo per “svenire”: giornate senza parole, nottate solo di suoni sordi e rumori corporali.
Ottant’anni lei, ottantaquattro lui, nozze di diamante nel segno dei tempi moderni: Adelina si separa, «come la tosa della Gisella, ventisette anni, divorziata dopo sei mesi». Sessant’anni, invece, per lei: non trascorsi, ma scontati. Guarda la stanza, allunga lo sguardo fino in salotto e pensa a cosa mettere in valigia, cosa salvare: la foto di mamma, la statuetta di Papa Giovanni, “Tu sei quello”, 45 giri di Orietta Berti, e poi? Lo sguardo vaga tra pareti e mensole, Adelina prova a pensare cosa valga la pena di portare con sé di quella vita, vorrebbe scegliere mille oggetti, ma non trova niente. Prova almeno a immaginare un gesto che scalfisca la scorza spessa e dura di quell’uomo di pietra, l’orso Callisto che rivive ogni giorno la stessa trama. Da quando è in pensione, Greco Pirelli è dimenticata, gli restano l’osteria e l’Inter. Adelina allora ha una lampadina che le si accende nello sguardo, una vendetta, la ripicca che almeno lo faccia bestemmiare: c’è il quadro con la foto autografata di Mariolino Corso, in camera, stella neroazzurra che Callisto ha voluto accanto alla Madonna di Caravaggio e sta lì dal 1963. Lo spolvera ogni giorno con devozione sincera nei confronti dell’Inter dei miracoli. Un istante, un movimento rapido ed è in valigia: Mariolino Corso rapito per vendetta, da una casalinga che la domenica ascoltava la Pavone, mentre il marito, senza soldi per andare a San Siro, ascoltava le partite in cucina, alla radio, lì davanti a lei, senza mai dire una parola. «Perché perché, la domenica mi lasci sempre sola», «Adelina tass, silenzio!».
Il campanile della Certosa scandisce il mezzogiorno, l’ora del desinare di ogni operaio milanese della vecchia guardia: ma il Callisto oggi si aggira per la casa senza sentire né rumori, né odori di cucina, i polmoni scuotono fumo e catarro, con litanie di “istu” a ripetizione. Un girovagare inquieto e in preda al disorientamento, il suo, fino alla camera da letto: una parete vuota, la Madonna di Caravaggio non ha vegliato sulla disgrazia. Capisce e rimane impietrito: la moglie in fuga con Mariolino Corso, crollano certezze. Adelina corre sul 14, destinazione ignota, sui binari della libertà assapora sensazioni mai provate prima.
Passa il pomeriggio, Callisto continua a masticare lo stuzzicadenti con fare rassegnato, il volto corrucciato spulcia con gli occhiali sul naso l’elenco degli annunci sul Giorno: cercasi badante rumena, possibilmente giovane e nubile. Ma le voci a quattro, cinque stellette riportano solo le offerte di Luana, Ramona, Chantal, Sharon, Astrid: segno dei tempi che cambiano, della società che consuma, che tutto compra e tutto vende. «Lo diceva il curato che il diavolo è tra noi, il diavolo ha scelto le donne, le donne la libertà», mormora tra sé. Eppure non ha rancore: «Me lo poteva almeno dire, in sessant’anni, che teneva per l’Inter».
tra una risata e l’altra quello che più mi lascia perplessa è: ma come fai a conoscere i titoli delle canzoni di Orietta Berti? Senti un po’… mi manca un tuo post sugli esiti di queste elezioni…