La disfatta dell’anarchico

«Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato». (Matteo 28,19-20)
Nina Orapronobis ha una fede inattaccabile, non c’è tentazione che faccia breccia nel suo cuore. Nebbia ogni tanto la incontra lungo la strada che conduce alla fermata del tram e, ormai, ha smesso di discutere con lei di religione: qualche anno fa, ci passava svariate mezz’ore a contestare le certezze della donna, in materia di aldilà e profeti. È la colonna portante della sezione locale dell’Aziona cattolica, la Nina: inversamente proporzionale al suo aspetto, esile come un roditore, ma un gigante nei valori. Nebbia ce l’aveva in particolare con la vecchia storia della castità – non che la Nina l’avesse mai indotto in tentazione, ipotesi peraltro fin troppo audace per la fantasia di chiunque – e con l’influenza clericale sulla vita politica. Ma la Nina, nulla, aveva sempre replicato colpo su colpo a ogni provocazione, come un libro stampato e quando si ritrovava messa all’angolo, sfoderava un vecchio adagio, che le figlie di Maria, anni fa, sbandieravano come un grido di battaglia: «Sott al campanin sa fa mai cattiva fin».

Da qualche anno, però, il tarlo della politica aveva in qualche modo intaccato il suo integralismo, noto in tutto il quartiere. Lì c’era ancora da litigare, secondo Nebbia. Lo scudocrociato in decadenza non fa più breccia nell’affetto di una generazione, dopo cinquant’anni di battaglia contro una falcemartello che, all’ombra della Certosa, non si è mai capito bene cosa e chi insidiasse. Nina ha nel cuore la figura di un novello cavaliere della salvezza, che gli ha comunque permesso di salvaguardare il suo motto, che vive da cinquant’anni: «Il genio del male va respinto dai luoghi di potere, via i senzadio dai posti di comando», inculcavano dai pulpiti. E le angeliche portatrici del messaggio evangelico, delle quali Nina era la guida, erano in prima linea, con le loro voci eteree, nel trasmettere dai marciapiedi fino su, ai terrazzini più miseri di ogni condominio, il messaggio chiaro che veniva dal fronte bianco contro l’anticristo, in genere di colore rosso e con barba e capelli incolti. Nunc et semper, nelle case degli italiani, dai marciapiedi alle tivù.

Caso vuole che Nebbia rientri perfettamente nella fisionomia del maligno: la natura lo ha fatto troppo simile a Karl Marx, in quel suo irsutismo che non lo fa certo somigliare a una creatura angelica. Nebbia vive l’anarchia, è anarchia fatta persona, ma la gente lo crede comunista. E lui ci gioca, su questa ambiguità, soprattutto con la signora Orapronobis, immacolata anche nella cabina elettorale: «La rivoluzione può darsi che non avverrà mai, ma lei sarà travolta dall’esercito del presidente, cara Nina, un plotone di maggiorate chiappe al vento».
«Muccala Nebbia, lavati la bocca, sempre con questa calunnia montata ad arte. Ci vuol rispetto per chi lavora. Famiglia e lavoro, che ne sapete voi che vivete allo stato brado?».
«Ora et labora Nina, che il tuo presidente tromba… ma che ne sai tu di sta materia? Al catechismo non le insegnano queste cose, ma al night club da oggi si prendono i voti dei cattolici».
«Sempre il solito volgare, sei un panefanagott, sempre in giro a spese della società. E ringrazia che c’è la carità cristiana, altrimenti quelli come te… dritti all’inferno da un pezzo».
Parla così bene il presidente, è gentiluomo vecchio stile: «L’è anca un bel omm. Si vede che è uno che si è fatto da solo, che lavora. Ci piaccion le belle donne? Chissà quanto ricamano quegli invidiosi dei suoi avversari. Già, l’invidia è una brutta bestia. Il vescovo dice che bisogna difendere la famiglia, lui è il baluardo».
«Ma se il suo partito è un covo di divorziati!».
«Va, va Nebbia, lassum istàa, ti ghe madumà ball. A contare le frottole, vai all’osteria».
Tutto il cancan sulla politica di questi giorni, ha fatto venir voglia pure a Nebbia di andare a votare. Il certificato elettorale, immacolato e inviolato come la Nina Orapronobis, è presto ritrovato, sul fondo di un vecchio cassetto. Seggio 3, non si può sbagliare: «Vado là e mi diverto io, poi. Io sì che ho le idee chiare e mai le nascondo».

Dieci minuti in coda, non di più, carta d’identità alla mano. Piccole formalità burocratiche per sentirsi, con matita e scheda in mano, di contare qualcosa: «Lo Stato mi dà il potere per un giorno, io lo uso come mi pare», dice tra sé. Se un anarchico va dallo Stato, deve valerne la pena. E Nebbia ha deciso che oggi ne vale la pena, ribadendo un motto che ha fatto storia tra i contestatori: “viva la gnocca” scritto a caratteri cubitali. Ecco il suo voto, in disprezzo al sistema: dietro la tenda della cabina è pronto al suo gesto, come un terrorista delle piccole cose. Ma un terribile dubbio lo assale, imprevedibile: «Mund lader, ma viva la gnocca è la linea del presidente, non si può dar ragione a quello là». Bisogna pensare a qualcos’altro e, soprattutto, mai arrendersi alla scheda bianca, simbolo dell’inconsistenza: «Se io conto, qualcosa devo scrivere su sta scheda». Passano i minuti e alle sue spalle, là fuori, c’è chi mugugna.
Mai accaduto prima. Nebbia è nel panico e, in cerca di una soluzione, gli capita di fissare i simboli dei partiti: tanti disegnini, «qualcosa bisogna pur scegliere», gli balena per la testa. «Ma quanti sono? Ma chi c…, ma come cavolo». La mente è come un flipper in tilt, gli occhi vagano da un simbolino all’altro e, assalito da un senso di disperazione, quasi sfinito, mette la sua croce che sembra uno sbrego sulla scheda. Chiude il plico senza pensare, senza vedere, imbuca nell’urna e scappa via, in dieci secondi, senza dar peso agli altri che lo osservano perplessi. Fino al marciapiede, giù in strada, appoggiato al muro della scuola: voto regolare e conteggiato, il primo nella sua carriera di anarchico. Segno della resa. Rinsavisce e ricorda: una croce su quel tricolore su fondo azzurro… «Boiavacca, ma perché non sono andato a pescare!», impreca ad alta voce.
Il presidente ha vinto anche stavolta, l’esercito delle maggiorate sventola bandiere e poppe. La Nina, che il reggiseno non l’ha mai indossato perché non previsto dalla scritture, passa di lì e, senza sapere, rifila una battuta che sembra un gancio di Mike Tyson: «Che l’amore trionfi, figliolo. Ma voi comunisti sapete anche leggere, per votare?». La disfatta è compiuta: «In saecula saeculorum, amen», risponde Nebbia.
“Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi” (Niccolò Machiavelli, Il principe)