Aria condizionata

Il segno del progresso non è bene nasconderlo. Sui treni, in particolare, quando c’è tecnologia, quelli delle ferrovie dello stato la ostentano: e così, l’aria condizionata che non funziona mai, quando invece funziona, viene sparata a zero gradi come un vento di tormenta su pancini scoperti di decine e decine di pendolari, tra i quali anche ex majorettes che si ostinano a mostrare l’ombelico. Tutto è apparenza, in una società di viaggiatori, e di questi tempi l’apparenza passa anche per la scollatura “golfo ligure” e la vita bassa “rigatanga”. Ma in un frigorifero, anche la più sgamata tra le la pendolarsoubrette è un animale a rischio.
Treno ad alta frequentazione, ovvero, pieno come un uovo: il localaccio per Varese, da qualche tempo si è rifatto il look, a cominciare da questo nome ad effetto. L’alta frequentazione porta a una condivisione totale per un tempo variabile quotidiano di: titoli e didascalie di quotidiani, suonerie telefoniche, confidenze riservate e piccanti al telefono, pettegolezzi sulle suocere, odori animaleschi, deodoranti afrodisiaci, peti malcelati, aliti da notti brave, rumori corporei di ogni tipo, fino alle pulci e altre bestiole gentilmente ospitate …
E così, sul Varese dell’ora di punta, capita spesso di vivere promiscuità impreviste con nemici del sapone, oppure con uomini/bufali da traversata del deserto. Soltanto in rari casi, tuttavia, capita di vivere esperienze memorabili con sacerdotesse di lambada: e in quei giorni da grande occasione, vorresti che il treno ci mettesse una vita ad arrivare a casa. La normalità è il treno in ritardo spinto dalle parolacce di chi ci sta sopra, ma quando ci si trova a tu per tu con la Jessica Rabbit della quinta carrozza capita anche di dimenticare il tempo che sfugge…
Ma un giorno infausto, una sera nel freezer su rotaia, un sogno s’infrange contro una porta sempre chiusa, quella della toilette. Fuori trenta gradi umidissimi, tutti assorbiti da un corpo sofferente e un po’ sformato sulla banchina della stazione, dentro ci sono i pinguini pronti a ricordarti che, la prossima volta, è meglio non mangiarsi la peperonata a pranzo, quella che resta per ore ed ore allo stato magmatico nel pancino di ognuno. E il vulcano islandese, a confronto, è innocuo.
Tu fuori con l’ascella unta, mentre là dentro nello scompartimento, c’è lei, Jessica tutta curve, accanto ai pinguini: e, incurante dei possibili rischi, giochi il tutto per tutto e vai a metterti proprio tra lei e i pinguini a dieci centimetri dalle sue curve. Ha il viso abbronzato lei, ma non ci fai caso perché preferisci ripassare una lezione di anatomia, grazie a un vestitino a guaina che risparmia tessuto ovunque. Come una regina della lap dance, è avvinghiata al palo centrale dello scompartimento, quello che fa da sostegno ai pendolari temerari che sfidano il macchinista più brusco del west. E a meno di dieci centimetri da quella fantasia collinare c’è la tua mano, nella speranza che la frenata sia più brusca del solito…
L’illusione di una favola, sul treno freezer, tuttavia, dura meno di una fermata: la peperonata si ripropone in maniera subdola. Vorresti aver dato retta a tua madre, la predicatrice della canottiera di lana sempre e comunque, ma hai preferito far di testa tua: e ora sei lì, di fianco a una creatura che la natura ha disegnato come un rigoglioso bassorilievo barocco, ma con un dramma che prende forma dentro di te. Lo stomaco ti si contrae e sul viso ti appare tutta la tensione del momento che precede una tragedia: ma come farà lei, con tutta quella carne al fresco, a non mostrare nemmeno un po’ di pelle d’oca?
La via di scampo è troppo lontana: la intravedi giù in fondo alla carrozza, dietro a una porta blu con la scritta wc. Porta sempre e irrimediabilmente chiusa per guasto: lì, avvinghiato a quel palo gelato, con la tormenta che fa imbizzarrire la peperonata, ti senti spacciato. Vorresti essere un bimbo che, con innocenza, vive la colichetta con disarmante naturalezza: strilla un po’, ma poi sonoramente si libera… Tu, invece, non hai scampo e vorresti scomparire da lì, da quella posizione favorevole con panorama da urlo: ma dove andare? È tutto pieno su questa carrozza.
E il treno si avvicina a quella curva con semaforo, dopo la stazione di Rho, quella che tante volte hai stramaledetto per via della frenata da ribaltamento che, puntualmente, il macchinista ti regala. Un colpo sordo, gente che sobbalza sulla carrozza e lei, Jessica, che come una pantera ti finisce addosso con tutta la sua perfezione rotonda. Nel giorno e nel momento sbagliato. Lei dice “mi scusi” e tu sommessamente tossici cercando di soffocare tutto il resto. Un colpo di tosse per mascherare l’irrimediabile fine del sogno.

Un pensiero su “Aria condizionata

  1. Ahah 😉 divertente episodio tra le stralunate storie da mezzo pubblico! Io ora in settimana vivo a Milano ma quando mi capita di prendere il Laveno, a volte lo sbattimento viene compensato dagli incontri con personaggi più o meno improbabili. Lo stesso in tram e bus… la metro invece la trovo un po’ più asettica e impersonale.

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