Stelle e pianeti alla fermata del bus

Barnaba Oriani, illustre astronomo: che avrà fatto di male costui? Aveva studiato una vita per diventare l’orgoglio di una città e, invece, Milano gli ha intitolato la strada più intasata e tossica, con vista cavalcavia dell’autostrada e, un piano sotto, marciapiedi davanti all’entrata e all’uscita dalla città, verso i laghi, Torino e la Brianza. Proprio lì, c’è la fermata d’autobus più unta d’Italia, sul retro di un fast food, tutti in piedi sul marciapiede, chi in apnea, chi a pieni polmoni, immersi in una bolla di scarico della città. Concentrazione di marmitte incazzate, clacson isterici e un cielo che, a volte, non si vede nemmeno: Barnaba Oriani, che hai fatto di così terribile? Un astronomo, per una strada quasi senza cielo. Unico conforto: un metro quadrato di edicola, con tanto di separé per i pornolettori. Esistono ancora: oggi sono per lo più pensionati esclusi dal grande pornodromo mediatico, il web. Una volta c’erano il Nando e il Tromba, oggi i titoli sono più aggressivi, internazionali, ma lo stile anni Ottanta del voyeur è rimasto identico: Corriere della Sera “special edition” con allegato invisibile all’interno. Johnny, l’edicolante, conosce già tutta la scena a memoria, e anche il prezzo. Dieci euro lasciati lì da una sagoma, sul banchetto, nove più il prezzo del quotidiano, niente resto e rapido allontanamento dietro ai classici occhiali neri.
Tre metri più in là, pendolari in attesa, corpi che ciondolano sul posto, da un piede all’altro. Uomini e donne in stand-by, cento e più occhi fissi sul fiume impazzito di automobili in fuga, pensieri che vagano e scavano nei meandri di una giornata o magari nelle scollature generose di qualche segretaria. Alla fermata, oggi, è scoppiata l’estate. Ad aprile, il sole rammollisce già il bitume del marciapiede: senza pensiline, il solarium di via Oriani segna impietosamente la zona ascelle delle camicie d’impiegati sfatti dalle bizze di una settimana filata via a suon di “senz’altro signor direttore”. Per arrivare fin lì, sfidano la sorte alla roulette del pendolare: slalom e scatto felino da un marciapiede all’altro, in orario di punta e senza strisce pedonali. Sembra che tutto scorra a nastro, ma ecco la tragedia: tacco 12 e cosciona languida sotto una minigonna vertiginosa, fondoschiena da poster avvolto in un tessuto che sembra Domopak. La pantera mette il piede giù dal marciapiede e, taaaac, anche il Suv più cafone inchioda per farla attraversare. Con i pendolari non succede, ma con lei sì. Una frazione di secondo, non di più, e si torna alla realtà, ovvero a un crash da pelle d’oca, lamiere di una Panda proletaria che si sbriciolano contro il Suv, indistruttibile: litanie di vaffanculo e constatazione “amichevole” compilata con il cric sventolato come una bandiera… La pantera si volta appena e la poesia finisce: Ramona, completissima da Rio de Janerio, raggiunge il suo ufficio sotto il cavalcavia. Prima di entrare in servizio, piscia in piedi dietro la colonna. E proprio lì, trecento anni fa, Barnaba Oriani studiava le stelle e i pianeti.

Un pensiero su “Stelle e pianeti alla fermata del bus

  1. Girare in bici, a piedi, lumando: immagini. Sentire, ascoltare, rubando: parole. Milano esiste ancora, un po’ degradata, un po’ depravata, ma viva. Bravo Lorenzo

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