L’incubo della crisi

L’ultimo scatolone è colmo, nastro isolante e via: carte, documenti, cancelleria, persino la foto della miss tappa su cornice di finta madreperla, il poster di Gino Bartali e Fausto Coppi, una bottiglia di Vecchia Romagna da cui attingo da anni nei momenti difficili, per digerire il capo. Tutto pronto per il trasloco, carichi in movimento dall’ufficio a un fantastico camion con scritto sopra “metti il tuo pacco in buone mani”. All’uscita dell’azienda che smobilita campeggia un megastriscione con un bel disegno e una scritta: “Ci trasferiamo qui”, con mappa e immagine digitale di un plastico del “giardino dell’Eden” con uffici paradiso, parco fiorito e uccellini che svolazzano.
L’indomani si cambia, un saluto alla sciantosa che, per una volta, mi ferma sull’uscio e mi prende in disparte…. La mia lingua già fatica a contenersi, è già felpata, ma la sciantosa ha ben altro da dirmi: «Sai che ci chiedono di non lavorare per i prossimi due giorni? È per via della crisi e con il trasloco ne approfittano». «Ma va?». Sono fortunato io, nessuno mi ha detto nulla, sono fuori da questa operazione, nessuna crisi, si lavora e basta.

Rientro in cuccia, cena, tivù, sei ore di sonno, risveglio impastato, ripartenza in autobus, prima di essere scaricato al solito pos…. eh no! Ma dove cavolo sto andando? Oggi si va più in là, oltre il confine della città, nella non città che appartiene a un’altra città…dicesi hinterland o periferia o un posto piazzato lì. Anzi più in là, con solarium vista inceneritore e dehor sulla tangenziale. Perché così il lavoratore si tempra ed è preparato alle magagne della vita…la voglia di andare più in là, uno la trova nell’animo interiore. E così il lavoratore non guarda più fuori dalla finestra, non si distrae, lavora e basta: è una teoria da Minculpop, che si evolve in Minculeiozitt.
Aria nuova, sa di cavolo lesso, ma nuova. Deviazione dalla fermata del bus, un chilometro in linea d’aria, mezz’ora con i mezzi… sob. Tappa dura, ma arrivo a destinazione, mi guardo attorno, cerco di ritrovarmi nel fantastico poster paradiso che avevo visto riprodotto sullo striscione del giorno precedente. Cerco di capire. Controllo l’indirizzo, è giusto, c’è anche il Merletti e guarda là, «ragionier Buzzini!, come va?».
«Per fortuna anche lei qui, pensavo di aver sbagliato indirizzo, ma ora sono più tranquillo».
«Già, ma… non c’è quel… e nemmeno il… beh, il citofono e il numero civico corrispondono. Suono».

Un bullmastiff da 90 chili balza fuori da un portico della villetta che sorge al posto della nuova azienda. In contemporanea una voce metallica esce dal citofono…«qu è». Resto paralizzato, senza parole, anche il ragionier Buzzini sembra un Capodimonte. Passa un minuto e sulla porta in fondo al giardino si fa vedere un cingalese di due metri, vestito da maggiordomo. Mi esce finalmente una domanda: «Ah… è lei il nuovo portiere?». Domanda pronunciata con un vibrato tendente all’isterico, con l’ultima sillaba che si smorza nella disperazione. In mano, il cingalese sembra tenere qualcosa, come un mazzo di rose, ma più s’avvicina, il mazzo di rose perde le rose. Si apre il cancello e il bullmastiff prende l’iniziativa. Sensazione di bagnato nelle mutande, il velocista che è in me esce allo scoperto… «Se ne vada, lazarùn d’un extracomunitario», mi grida il maggiordomo.

E via di corsa, a perdifiato. «Coraggio ragioniere, faccia Carl Lewis».
Gambe in spalla con vista inceneritore… dalla ciminiera mi sembra di scorgere una nuvola a forma di Gino Bartali e Fausto Coppi, a forma di Vecchia Romagna, a forma di miss tappa e quella sensazione di strada senza uscita, di lenzuola che ti avvolgono le gambe, di sudore sulla fronte, di fatemi uscire prima di tirare una craniata sulla sponda del letto.