Erba, sangue e cani al Gallaratese

Dove finisce Milano oggi c’è un coltello insanguinato. Nebbia non ha voglia di scherzare, passa e va. Uomini e bestie non si distinguono più sotto la lurida skyline di una periferia. Trent’anni fa, i cattedratici applaudivano al Gallaratese come a un’opera dell’ingegno e dell’architettura ed è da quel giorno che, lì, dove finisce Milano, si è davvero cominciato a non distinguere più tra bestie e uomini. In un grigio parco di periferia c’è una primavera che non riesce a lavare via lo sporco di decine di cani in processione, tutti a cagare, sotto lo sguardo assente dei loro padroni, un vecchietto scatarra sull’erba bagnata dal sangue di una povera donna, poco più in là due studenti pomiciano, due ragazzine starnazzano con lo sguardo appiccicato ai loro telefonini, una signora fuma e richiama il proprio figlioletto mentre getta a terra, sul vialetto, il suo mozzicone in mezzo a miliardi di cicche. In centro e sui giornali s’infervora il dibattito sulla cultura, nomi illustri in prima fila, parole vuote, ma di bell’effetto. In un parco di periferia, invece, si respira aria putrida di una società in decomposizione: uomini e bestie, o forse solo bestie, tirano a sera per accendere la tivù. Un coltello insanguinato non arresta la lenta routine di un mondo indifferente, una donna assassinata su una panchina è fagocitata dalla noia quotidiana.