Piedi e spalle da terzino, bestia nera dei centravanti di provincia, quando il football era la favola di giovani con le scarpe grosse e la pancia vuota. Ma un piatto di minestra non lo si nega a nessuno, «Ugo piantala di tirare calci al vento, vegn a cà», c’è da lavorare, operai in bicicletta da sfamare: fine del sogno. C’era la fila fuori. Così ordinò il padre, così ha fatto lui. Vista cimitero, al capolinea del quattordici, eccolo portare avanti la trattoria, volto squadrato, naso scolpito: sembra un pugile, ma è la risposta meneghina al fast food, “mangia alla svelta” e torna a lavorare.
C’è ancora la fila fuori, gli operai sono spariti, ma i becchini del Maggiore ci sono sempre, per quelli non c’è cassa integrazione. Là, dietro il cimitero, finisce Milano, davanti, invece, l’industria della vedovanza è sempre florida e, anche se sembrerà umorismo nero, il tempo pare essersi fermato. E qualche “sciura” col velo nero, di tanto in tanto, non rinuncia a consolarsi con un piatto di trippa fumante, ma soltanto dopo il rituale saluto al caro estinto. Pancia piena e pace all’anima sua.
Verso i quartieri “bene”, la concorrenza è un fiorire di lounge café, brunch, happy hour, burger land, sushi bar: Ugo, invece, rimesta pentole che sembrano vecchie di cent’anni, ma non invecchiano. Perché laggiù, sotto i portici, Milano è diventata una città bugiarda, che mente a se stessa e agli altri: qui, invece, si respira sincerità, la si distingue ancora bene nel profumo di vino di un brasato. Ugo non mente, qui si mangia quel che c’è e guai a chi storce il naso: è la rivincita dei “pulpett cunt i verz” contro ai nuggets precotti e unti, dell’onesta cotoletta che, altrove, soccombe con insalatine plastico/dietetiche. Nervetti e cipolle contro rucola e gamberetti, carpione di curegùn opposto al pesce crudo giapponese.
Una zuppa di fagioli non ha mai mentito, caso mai lo fanno, dopo, i becchini del turno del pomeriggio, con balle che puzzano di zolfo e fuochi fatui, ma in una redazione di giornale non c’è scampo, meglio evitarsi gli sguardi atterriti di segretarie “drogate” di Chanel: una più prudente lasagna non manca mai, come alternativa. Basta non darla vinta al fish & chips o agli involtini primavera.
C’è la fila fuori, ma Ugo serve “fast”. Anche il suo cuore, ogni tanto, corre veloce, tanto da far sospirare la signora che gli sta accanto da sempre, o quasi. “Niente paura, resisto”, risponde lui, facendo le corna. La grinta del terzino c’è ancora, c’è sempre traccia di quel sogno “anni Sessanta” affogato in un paiolo di polenta, ma riaffiora di tanto in tanto, accompagnato da un bicchiere di bonarda. Sincero, non mente mai.
Ugo, santo patrono dei nostri palati, trincea enogastronomica sul fronte occidentale. Lui è la gastroenciclopedia della cucina meneghina. E chi sapeva cosa fosse la casoeula prima di passare da viale Certosa. Un devoto torinese
Mi fai venir fame a metà pomeriggio! W il brasato e w l’ex terzino!