Pensiamo che la condizione nazionale e internazionale sia avvertita da tutti come precaria e provvisoria. La precarietà indica anche una debolezza che chiede un intervento progettuale e di risorse (il termine precarietà significa atteggiamento di preghiera e quindi il bisogno e l’affidamento a forze maggiori). Provvisorio sentiamo il contesto politico e sociale e conseguentemente avvertiamo il desiderio di un necessario evolversi in una situazione più stabile.
Non mi riferisco appena alla situazione maghrebina e, più in generale, alle nazioni in cui i cittadini aspirano a una più vera democrazia e autonomia.
Questo vale anche per la nostra condizione italiana ed europea da cui provengono segnali di necessario cambiamento. L’Europa, in particolare, è ancora ferma alla necessaria moneta unica: non ha una politica estera concorde dei suoi 27 componenti e manca ancora di un effettivo progetto, per il quale si possa effettivamente parlare di Unione.
Il narcisismo personale dei suoi capi e l’individualismo storico dei suoi governi impediscono una vera responsabilità di fronte al rischio di veri cannibalismi sociali.
Una battuta finale. È stato restituito il Fondo Unico per la Cultura in Italia e quindi si evita lo sciopero proclamato di enti di cui ci vantiamo nel mondo.
Forse dobbiamo avere il coraggio di pretendere che questi enti siano sì la conservazione di tradizioni gloriose (laudatores temporis acti), ma altresì il luogo di un’effettiva carica innovativa – cioè che la cultura e l’arte finalmente siano anche attrattiva turistica e quindi valorizzazione economica. Nessuno può pretendere un contributo pubblico che non diventi promozione e investimento per tutta la Società.
Anche il nostro modo di intervenire sull’emergenza immigrati deve diventare un biglietto da visita per la futura stagione, a partire dalla cura igienica e sanitaria.
Siamo messi in vetrina anche da questi eventi. O sarà pubblicità gratuita o sarà deterrenza turistica.
- Siamo qui perché non c’è alcun rifugio dove nasconderci da noi stessi. Fino a quando una persona non confronta se stessa negli occhi e nei cuori degli altri, scappa. Fino a quando non permette loro di condividere i suoi segreti, non ha scampo da essi. Timorosa di essere conosciuta non può conoscere se stessa né gli altri: sarà sola. Dove altro se non nei nostri punti comuni possiamo trovare un tale specchio? Qui, insieme, una persona può, alla fine, manifestarsi chiaramente a se stessa, non come il gigante dei suoi sogni né il nano delle sue paure, ma come un uomo parte di un tutto con il suo contributo da offrire. In questo terreno noi possiamo mettere radici e crescere, non più soli, come nella morte, ma vivi a noi stessi e agli altri.
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