I locali di Trieste sono forieri di incontri, e così in uno dei più noti, nato due secoli fa, mi imbatto nell’entusiasmo degli istruttori di mini basket provenienti da mezza Italia. Indossano una maglietta color fucsia, o giù di lì, con su scritto “Vin crucis 2010”. Sulle spalle l’elenco dei locali che li accolgono. Cantano quasi fossero un vero coro. Intonano canzoni di vario genere e la gente li fotografa, li filma. «Sono diciassette anni che veniamo qui, – mi racconta Gianfranco di Varese – e ormai è una tradizione nel giorno della finalissima andare tutti insieme per osterie». Ecco, se cercavo un’immagine che desse il senso della capacità di accoglienza, di fratellanza, di confronto, che la città sa offrire, questa ventina di buontemponi di ogni età, mi è venuta in aiuto.
Guai a chiamare friulana Trieste. «Noi siamo giuliani, con un po’ di sangue blu», mi dice Paolo Degrassi che è nato e ha vissuto qui fino a ventitre anni. Poi ha scelto la divisa e oggi è comandante di una stazione dei carabinieri in Lombardia. «Trieste è unica. Coniuga il bello dell’Italia con la cultura e l’architettura mitteleuropea. Somiglia a Budapest, Vienna e chi ci vive è giovale».
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