Alle sedici e un quarto vedo in lontananza il cartello che indica Trieste. Lo raggiungo e mi fermo. Lo fotografo e resto lì, in mezzo alla strada come uno scemo rischiando di farmi prendere sotto da qualche auto.
Sono passati trenta giorni esatti dalla partenza da Ventimiglia. Quattromila seicento chilometri, che fanno più o meno centocinquanta al dì. Sapevo dall’inizio che non contava la meta, ma le emozioni che giorno dopo giorno avrei incontrato e provato a raccontare. Eppure, di fronte a quel cartello, questa certezza per un momento ha vacillato.
Non potevo immaginare come sarebbe andata. Ero partito spoglio da qualsiasi tesi precostituita, proprio per provare a capire, conoscere, riflettere attraverso l’incontro con i luoghi, le persone, le storie e le memorie. Il viaggio è stato straordinario e ora sono alla meta.
Trieste si presenta subito in tutta la sua bellezza. Mi sono fermato ad ascoltare il flusso delle emozioni su una panchina lungo il sentiero che porta al castello di Miramare. Tanta gente a prendere il sole e in pochi minuti ho sentito lingue diverse.
Per quanto straordinaria questa città, però ha ragione Michele Serra, «sono solo uno dei milioni di passanti che a Trieste vuole assolutamente tornare, e tanto basta». Così chiudo questo fantastico viaggio a Muggia, paesino di pescatori a una manciata di chilometri dalla Slovenia. È un gioiello, e mi godo un altro tramonto che sarà difficile da dimenticare.