Il limone è il re di questa terra. Lungo la strada tortuosa della costiera più famosa del mondo è pieno di baracchini dove si vendono granite, spremute, bibite tutte rigorosamente al gusto dell’agrume giallo.
Impossibile non far soste. Potete essere bravi quanto volete con la fotografia, ma quei paesaggi non avranno mai la stessa intensità, gli stessi profumi. Una volta sceso dalla vespa per immortalare il mare e la sua scogliera, mi lascio tentare, e per un euro prendo una spremuta. Inizio a intravedere Positano, dove ho un altro appuntamento con un collega e la seconda sosta mi costa più cara. Una granita: due euro e mezzo.
«Ma come, tre chilometri fa ho pagato solo un euro?» Il ragazzo non si scompone. «Dotto’ assaggiatela e poi mi dite». In quel bicchiere sono entrati tutti gli agrumeti della zona. Un sapore mai provato. Lui mi sorride e mi guarda benevolo. «Che vi dicevo? Allora adesso continuate a lamentarvi, o pensate che sia giusto così?». Ha venticinque anni e coltiva un piccolo pezzo di terra a due passi da qui. Sul suo Apecar ha una cassa di limoni in vista. Uno di questi, grande come una zucca, sarà pesato due chili. Un sistema classico per attirare i turisti, ma quel sapore della sua granita me lo ricorderò di certo.
Positano ha due strade. Una per scendere in paese e l’altra per risalire sulla statale. A metà parte una vietta per andare al mare. Lì, per fortuna, le macchine sono fuori gioco. Il vicolo stretto, in parte fatto di scalini bassi, porta alla spiaggia dove si trovano diversi locali e ristoranti. Incontro Michele, non il mio predecessore, ma un giornalista che sei anni fa si è inventato Positanonews. «Le notizie le trovo qui, al bar, in spiaggia, nei negozi. Arrivano personaggi famosi e ogni tanto succede qualcosa di cronaca. Siamo andati anche sui telegiornali nazionali». Mi consiglia qualche tappa sulla costiera. Da non perdere Ravello.
Malgrado il ritardo, dopo la foto di rito al duomo di Amalfi, decido di fare, tra andata e ritorno, questi dieci chilometri di deviazione e salgo nel paesino che ha una sfilza di estimatori, che non basterebbero queste due pagine per citarli tutti.
Trovo un altro angolo di Svizzera. Non che la confederazione abbia poi così tante ragioni di lodi, ma rende comunque bene l’idea dell’ordine e della pulizia.
Mi piacerebbe incontrare il professor Domenico De Masi. Mentre lo penso, ecco che, come nel film visto a Capalbio con l’ex presidente della Rai, Petruccioli, il sociologo si materializza all’ingresso di Villa Rufolo. Ravello è la sua terra e appena può ci torna. È il presidente della Fondazione omonima ed è famoso anche per “l’ozio creativo”, che non è una forma di pigrizia in salsa campana, ma «l’unione di lavoro con cui produciamo ricchezza, di studio con cui produciamo sapere e di gioco con cui produciamo allegria. L’insieme di queste tre cose – spiega De Masi – è quello che chiamo ozio creativo e Ravello è particolarmente votata a questo».
Un auditorium spettacolare, una villa bellissima, un borgo curato come un piccolo gioiello. Valeva proprio questa sosta, in una tappa tortuosa e spettacolare.
«Qui non c’è crisi. È tutto pieno, e si vede che puntare sulla qualità e sulla cultura, oltre che sulla bellezza dei monumenti e del mare, rende bene». Ravello è una realtà internazionale e arriva gente da tutto il mondo. Nelle parole di De Masi però c’è poca speranza per il futuro di molte zone del Paese, a partire da quelle vicine della Campania. «I luoghi dove sono stati preminenti le presenze straniere, come a Ravello, con gli inglesi e gli svizzeri, è maturata un visione dell’ordine, della pulizia e della convivenza tipicamente anglosassone. I luoghi dove non c’è questa influenza sono in uno stato di degrado totale e non ci si può fare nulla. In settanta anni della mia vita ho visto sempre un maggior imbarbarimento e solo qualche sprazzo positivo, ma oggi sono pessimista».
De Masi non esclude completamente la possibilità di cambiamento, ma «occorre essere meno ignoranti e meno egoisti, e questo è difficile»
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