Cactus, Eva, Magic America, Malizia, Tabù, Tam tam, Le caprice. Uno dietro l’altro tra i cartelloni di Mirabilandia, Oltremare, Fiabaland e Italia in miniatura. Sulla statale 16 adriatica, e poi sulla Romea, le pubblicità si intervallano. Chissà se si sono messi d’accordo? Certo è che per i venditori delle reclame quel tratto di strada deve essere una manna. Bambini (e non solo loro) alla ricerca del mondo fantastico, e adulti che non hanno che da scegliere per trovare materiali erotici vari. I sex shop si contendono lo spazio con le patrie dell’intrattenimento. Del resto, sempre di divertimento si tratta e anche di mirabilanti proposte fuori dall’ordinario. Che siano giravolte audaci e da far mancare il fiato, o giochini di cui la maggior parte delle persone non conosce nemmeno l’esistenza, fa niente. La Romagna non si fa mancare nulla.
Arrivo a Ravenna in un batter d’occhio in compagnia di Otto leprotto, la mascotte di Mirabilandia. La città è di quelle che invitano ad essere visitate, peccato la fretta. Dante e i mosaici sono protagonisti ovunque, ma la tappa prevede ancora tanta strada con obiettivo il Delta del Po.
Un pezzo di terra, ma soprattutto d’acqua, in cui il tempo sembra essersi fermato. Diviso tra la Romagna e il Veneto, tra le bellezze di Ravenna, Ferrara e Chioggia, il parco è nato nel 1991e l’Unesco l’ha inserito tra i patrimoni dell’umanità.
“Le diramazioni deltizie del fiume Po, – come si legge sulla ormai imperante enciclopedia Wikipedia, – attualmente attive e che nel loro complesso costituiscono il delta sono, da nord a sud: il Po di Maistra, il Po di Venezia – Po della Pila che sbocca in mare attraverso tre distinte bocche (Busa di Tramontana, Busa Dritta e Busa di Scirocco), il Po delle Tolle (con le diramazioni di Busa Bastimento e Bocca del Po delle Tolle), Po di Gnocca o della Donzella (anch’esso con una biforcazione terminale) e Po di Goro”.
Proprio a Goro partecipo a una sorta di rito sacro. Tutti i giorni alle 16, al mercato ittico del paese, c’è l’asta con cui commercianti e ristoratori si aggiudicano la merce. Oggi è un giorno di magra perché fino alla fine del mese la pesca è chiusa. Così sono pochi quelli che contrattano e alla fine gli scambi arrivano a un valore di poche centinaia di euro. Ci sono solo “pannocchie”, crostacei di basso valore, che hanno il loro momento di gloria arrivando ad essere pagate 13-14 euro al chilo quando la loro quotazione è più o meno la metà.
Qui si pratica “l’asta ad orecchio”. Il commerciante offre una cifra per la mercanzia, ma non lo fa a voce alta. Si rivolge al responsabile e dice in un orecchio quanto sarebbe disposto a pagare. Il miglior offerente si aggiudica le cassette di pesce. Un’operazione antica che conserva intatto il suo fascino.
Pierpaolo Piva fa il direttore del mercato ittico di Goro dal 1998. È assunto direttamente dal consorzio pescatori. Qui sono attive 34 cooperative che svolgono soprattutto attività di mollusco coltura. «Nel 2009 nella sacca di Goro abbiamo prodotto 10mila tonnellate di vongole. È il 25% del mercato, di meglio fanno solo a Scardovari e a Chioggia. Nel porto abbiamo circa cinquanta barche e si pesca anche altro, ma l’attività prevalente resta questa». Una terra che sa di antico, «rimasta tagliata fuori da ogni transito, tanto che le strade principali come la Romea, cinquant’anni fa non erano nemmeno asfaltate. Ora si cerca di sviluppare anche un po’ di turismo, ma è la pesca la nostra economia».
Passo il ponte di chiatte che separa la Romagna con il Veneto. Si paga e anche questo sviluppa economia ed è sempre la cooperativa di pescatori a gestire il pedaggio e la manutenzione. Costeggiando tutta la sacca di Scardovari si trovano sacchi di nylon lungo la strada di fronte ai capanni. Sono quelli lasciati dai pescatori con dentro le vongole. I responsabili del consorzio passano a ritirare il tutto per poi portarli agli stabilimenti per la depurazione e il confezionamento fino a farli arrivare nei nostri negozi.
Le paludi sono state morte e ricchezza. In questo viaggio ne ho incontrate tre di cui in parte racconto. A Castiglione della pescaia lo chiamano affettuosamente al maschile e ha permesso la sopravvivenza prima e l’avvio dello sviluppo economico poi. Nella Pontina ancora oggi si levano i seguaci del Duce a vantarne lodi proprio partendo da Littoria. II Polesine e Ferrarese, che compongono il territorio del parco del Delta del Po, sono stati interessati nel passato da malattie endemiche quali la malaria, pellagra e tubercolosi, e nel Comacchiese una strana forma di lebbra. La malaria era diffusa da secoli nelle zone vallive e nell’area del Delta. Durante i lavori per il taglio di Porto Viro colpì molti lavoratori e tecnici, tra cui il provveditore al taglio Alvise Zorzi. È scomparsa solo dopo la seconda guerra mondiale, con l’uso massiccio e indiscriminato del DDT.
La pellagra era causata da una dieta monoalimentare legata al mais. Fenomeno raro fino all’Unità d’Italia, ebbe una forte diffusione dagli anni ’70 dell’Ottocento, a causa dell’impoverimento della popolazione rurale; nel 1902 fu approvata una legge per la sua cura e prevenzione.
Scende il tramonto e tutto intorno diventa il regno delle zanzare. «Da quando sono arrivate quelle tigre non c’è più orario» mi racconta Sebastiano, da due anni addetto al pedaggio su uno dei due ponti che attraverso.
Il Delta a quest’ora, con fenicotteri, aironi, svassi, pellicani, fagiani e tanti altri si presenta in tutta la sua bellezza. Ma non si potrebbe fare a meno di questi insetti fastidiosi e invadenti?
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