È nato qualcosa in più

Una nuova avventura ha inizio, come ormai da tre anni, organizziamo tre giorni in giro per rifugi a far cime e un po’ di scuola d’alpijnismo. Quest’anno, oltre la guida, siamo solo io e l’ormai famoso Marco; questo ci da l’occasione di imparare qualcosa in più e anche di tentare cime più difficili. IMG-20130819-00611
1. Ci svegliamo alle 3. 30, l’appuntamento con la guida é un’ora dopo e grazie alle strade di piccoli paesi di montagna, completamente deserte alle 4 della mattina, alle 5 siamo già in cammino verso il Pizzo Tresero, che raggiungiamo in due ore e mezza. Una stretta di mano, due sorsi di te e si riparte in cresta; per delle roccette arriviamo in 15 minuti alla Punta Predranzini: foto di vetta e si scende, alla volta del Dosegù. Saliamo anche questo, per poi scendere di nuovo e risalire, per un canalino e facili roccette, alla Punta San Matteo dove facciamo “amicizia” con un numerosissimo gruppo bresciano del CAI. Una signora chiede addirittura una foto con me e Marco: “Magari tra un po’ saranno famosi” , scherza, augurandoci che davvero sia così. Un mezzo panino sbranato mentre si addensa un po’ di nebbia ci da la carica per scendere velocemente la cresta che ci porta sul ghiacciaio e poi al Rifugio Berni. Da qui ci spostiamo in jeep fino sotto al Rifugio V Alpini dove ci offrono una ottima cena e dormiamo, tenendo incrociate le dita per l’avventura che ci spetta il giorno seguente: la Thurwieser!

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2. La sveglia è alle 4. 30, ma é ancora troppo presto e il vento non ha ancora del tutto pulito i nuvoloni della sera prima: nevischia. Per questo, finita colazione la guida ci concede ancora un’oretta di sonno in attesa che il tempo si stabilizzi. Ma l’ora del riposo dura poco e appena la sveglia trilla di nuovo, scendiamo dai letti, ci imbraghiamo e ci avviamo sul ghiacciaio, accompagnati da una bella spolverata di neve e un venticello bello fresco. Passiamo in primo ghiacciaio, poi una morena, poi di nuovo un ghiacciaio che attraversiamo in orizzontale per portarci sotto il canale di salita. Fortunatamente la nevicata e il freddo l’hanno reso praticabile; cosa strana ad agosto. Casco, parecchi strati di vestiti e due picche in mano, si parte! Saliamo veloci il primo tratto di misto e continuiamo, nonostante il vento forte, spediti fino alla spalla. Qui il vento soffia ancora di più e ci costringe ad indossare l’ennesima giacca. Ancora un bel pendio nevoso e poi ci assicuriamo ad uno spit da dove assicuriamo la guida che sale ben oltre la nostra visuale. Nonostante questo e il vento forte riusciamo in qualche modo a capirci e dopo una decina di gelidi minuti, capiamo che la forza del vento ci costringerá a tornare appena due tiri prima dell’uscita in vetta. Ritorniamo così sui nostri passi, scendiamo veloci dal canale di salita prima che cominci a scaricare sassi e ghiaccio. Poco prima della fine ci ripariamo sotto un grosso sasso a mangiare qualcosa e bere del té, che nonostante la temperatura quasi invernale, si é mantenuto caldo nel termos. Prima di mezzogiorno siamo arrivati al rifugio e ci fermiamo a contemplare la quasi nostra Thurwieser, che solo adesso si concede almeno alla vista. Ma é appena mezzogiorno! Quindi via, andiamo alla falesia dietro la Quinto per qualche facile arrampicata con una fantastica vista. Gentilissimi i rifugisti ci preparano polenta uova e speck, sono quasi le tre, ma la fame non manca e quindi é più che gradito. Non resta che riposarci al sole e preparare lo zaino per il Piccolo Zebrù, che l’hanno scorso ci è sfuggito per pochi metri. P1050386IMG-20130820-00644

3. La sveglia suona alle 4. 40, colazione e poi subito fuori verso il ghiacciaio dello Zebrù. La giornata é magnifica, si vede fin da subito; vento e neve del giorno prima sono solo un gelido ricordo che scacciato dalla magnifica alba che illumina le cime circostanti: dalla Cadini al Bernina il bianco dei ghiacciai lascia posto a sfumature di azzurro, blu, rosa, rosso, arancione e ci accompagna sul ghiacciaio. La traccia che facciamo é diversa dall’anno scorso e, protetti dal freddo che ancora trattiene le scariche di pietre, accorciamo la strada di una buona mezz’ora, portandoci a passo deciso, in vista del bivacco Città di Cantù. Una breve pausa, poi passiamo il terminale e percorriamo il breve tratto ghiacciato su una pendenza, credo io dai 40 ai 45 gradi. Lasciate piccozze e ramponi, saliamo la cresta resa insidiosa dai rimasugli di neve gelata e in un quarto d’ora circa siamo sulla piccola vetta. Se peró é grande la felictà della cima e della stupenda giornata, ancora maggiore é il vero e proprio sbigottimento, incredulità provocata dalla magnifica veduta della parete nord del Gran Zebrù e dell’elegantissima cresta Suldengrat; l’una é il mio sogno, l’altra il mio prossimo obbiettivo. Condiamo la nostra soddisfazione con te, pane e speck, e poi iniziamo la discesa. Sul ghiacciaio la guida si fida addirittura a farmi decidere la strada da prendere tra i crepacci, e con qualche dritta me la cavo benone fino a tornare alla V Alpini. Dispiace lasciare quella che é stata la nostra casa per due giorni, anche perché i rifugisti, che ormai conosciamo, sono gentilissimi e ormai quasi amici. É stata un’esperienza fantastica, molto molto profonda e sento davvero che sia in me che in Marco, qualcosa é scattato, più di quanto non fosse già successo; la nostra fame di montagna si é ingigantita e adesso, anche grazie ai consigli e ai tanti complimenti della guida, puntiamo a cime e vie sempre più difficili.IMG-20130821-00712IMG-20130821-00710

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