Quel Profumo

Condivido con voi un racconto che ho scritto per un concorso, e che è passato alle fasi finali, spero vi piaccia:

Quel profumo
Lui quel profumo non lo sente spesso, Lui quel profumo però lo sogna spesso. Non è un profumo vero, di quelli che riempiono le narici; quello che sente Lui è il profumo di un ricordo, di un desiderio, di un sogno, della vita. Lui quell’odore l’ha prima l’ha immaginato: sapeva di pagine di carta di un libro, di sudore e freddo, gioia e paura, sapeva di sere d’inverno passate a leggere di uomini, eroi coperti di ghiaccio che lottano per la vita e realizzano il sogno di una vita. Poi finalmente quell’odore è diventato reale, non veniva più solo da dentro, veniva dall’esterno, veniva dalla montagna. Sapeva di puro, di fresco, di dolce e di deciso, di gioia e fatica; faceva rabbrividire gli altri, riscaldava il suo cuore. Quello era il profumo della vita, il profumo della sua vita. Non era la prima volta che lo sentiva, ma come sempre, era come se lo fosse; quell’aroma lo confortava, aveva la capacità di renderlo felice, all’istante.
Lui è appena arrivato al rifugio, si cambia la maglietta sudata e si siede sul gradino dell’ingresso a riscaldarsi ai raggi del sole, mentre aspetta che gli amici lo raggiungano. Gli dispiace un po’ aver lasciato indietro gli altri, ma gli alpinisti sono egoisti per definizione, e Lui non vuole perdersi quei pochi minuti di silenzio in cui il suo respiro affannato sembra andare a ritmo con il sole che sta scomparendo dietro alle montagne, tingendole di un caldo rosso. “Ciao! Tutto bene?” Lui si gira e vede l’accogliente sorriso di Michele, il rifugista, che gli è andato incontro. “Bene, benissimo, quando sono qui. Ti abbiamo portato del pane fresco” aggiunge con un sorriso di compiacimento. Lui sa quanto sia gradito del pane fresco: a tremila metri non esistono supermercati, i rifornimenti sono difficili ed aver dato un piccolo contributo lo fa sentire parte di quell’immensa famiglia della montagna. Michele sorride e, come a ringraziarlo, si siede con Lui, in un silenzio carico di parole. Arrivato anche l’ultimo degli amici, si sistemano nella solita camera umida e scricchiolante per le assi di legno, poi sistemano gli zaini. Preparare lo zaino per una gita in montagna non è una cosa banale. Ognuno ha il proprio rito da ripetere, ognuno ha il proprio modo di sistemare gli attrezzi, niente è lasciato al caso, ogni scelta è ponderata e ben pensata.
“ Il guscio anti vento” pensa Lui, “ la giacca, la corda, la borraccia, l’imbrago, chiodi da ghiaccio e cordini, fettucce e moschettoni; casco e ramponi. Nella tasca superiore i guanti, un cappello di lana e gli occhiali da sole, la crema solare, il coltellino. Ed ora- pensa con un sorriso- le piccozze”. Le picche sono l’attrezzo più personale di ogni alpinista, il più intimo. Lui prende prima la sua. Gliel’avevano regalata a Natale, da piccolo. Nella foga di scartare il pacco si era tagliato con la lama affilata: un tributo di sangue, un segno di appartenenza; e Lui le aveva segretamente promesso che l’avrebbe portata in tutte le proprie avventure. Poi, mentre il sole si nasconde dietro l’ultima cima, aggancia allo zaino la seconda piccozza. Questa non è la sua, ma lo è diventata quando il suo maestro di montagna gliel’ha regalata. Lui ne era stato a dir poco felice, era stato un gesto di stima ed amicizia, e questo valeva più qualsiasi altra cima. La cena è quasi pronta e Michele si siede con loro per quattro chiacchiere. Non importa quale discorso si faccia, in montagna il paesaggio dona un senso di comunione con la natura e con gli altri che anche il semplice stare in silenzio sarebbe gratificante. A tavola si parla del più e del meno e la serata trascorre nella quieta allegria delle alte quote. Ma la notte non è giovane, non in montagna, e verso le nove gli unici rumori che si sentono vengono dalla cucina, dove Michele sta finendo di lavare i piatti.
Lui è nel suo letto e avvolto dallo spesso piumone bianco sta cercando di scacciare il freddo umido che spesso lo ha accompagnato in quel letto a 2877 metri, ma la sua mente è fuori sul ghiacciaio, a volare tra le cime. Poi il tepore lo avvolge e lo coccola nel sonno, fino al suono della sveglia: sono le 4.00. Nonostante la stanchezza tutti sanno che non è il caso di fare i dormiglioni, così si vestono e scendono in sala da pranzo. Michele ha già preparato il suo fantomatico tè e li saluta a mezza voce, poi con gli occhi ancora un po’ assonnati, mentre gli altri spalmano la nutella sul pane e soffiano nella tazza per raffreddare il tè, si siede per parlare delle condizioni della montagna: “I crepacci sono ben coperti, fuori fa freddo e c’è una stellata pazzesca, oggi beccate una gran giornata”. Sarebbe bello stare a chiacchierare al tepore della stufa, ma è ora di partire. Salutano tutti Michele che da buon montanaro è uscito con indosso solo la felpa, e poi si dirigono verso il ghiacciaio. C’è sempre un po’ di tensione prima di partire ma come ha detto Michele i crepacci sono ben coperti da ponti di neve induriti dal freddo e tutti si possono godere la bellezza delle stelle che lasciano posto al loro caldo fratello. Il sole sorge quando il gruppo ha appena salito il ripido canale nevoso: ora li aspetta una lunga cresta di roccia dalla quale possono ammirare il cielo che si tinge di viola, rosa, rosso, arancione ed il mare di bianco sottostante che si infuoca, come a voler donare loro, anche coi colori, il calore che fino a quel punto è mancato. Lui è incantato, poi qualcuno gli porge del tè e allora realizza che questo è il profumo che ha sempre sognato, profumo di bellezza e semplicità, di sacrificio e amicizia, l’odore del suo sogno, il profumo della sua vita. Ormai il percorso non presenta più grandi difficoltà quindi in poche ore raggiungono lo spiazzo della cima, dominato da una grande croce metallica.
“Bergheil” dice Lui. Tante strette di mano e qualche foto di rito, poi giù verso il rifugio, dove li aspetta polenta, formaggio e birra, perché d’altra parte il profumo della montagna è anche questo, e a Lui non dispiace affatto.

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