Irene ha partecipato al progetto “L’altro sono io”. Ci racconta la sua esperienza
La prima cosa che le chiediamo è come le è venuto in mente il suo progetto.
Irene dice di essere partita da ciò che ognuno ha detto in classe e dal fatto che ognuno è diverso. La diversità contribuisce alla creazione di qualcosa di più grande, e poiché dalle tante visioni differenti si è sentita parte di un cerchio unico, ha elaborato il concetto che tramite la visione soggettiva si può modificare le strutture della realtà.
Le chiediamo perché ha rappresentato proprio una barriera che si sposta, lei risponde che ha la percezione che tutti noi viviamo la realtà imprigionandola, invece che prendere consapevolezza della natura e di noi come esseri umani diversi, della fragilità, e dei difetti, così che la barriera scompaia e si modifichi.
Successivamente le chiediamo se in questo progetto mostra qualcosa di se stessa che non sarebbe riuscita a dire a parole, e se l’arte è un suo modo di esprimersi:
«In questo progetto mi sono ritrovata perché mostra un percorso di crescita che sto conducendo. Un percorso “Difficile da dire a parole”».
«Sì – aggiunte – l’arte è uno dei modi che utilizzo per esprimermi, ed è anche quello che ho coltivato di più durante questi anni, ma mi piacerebbe sperimentare molti campi differenti».
In fine le chiediamo cosa pensa della settimana in cui si è svolto il progetto:
«Mi è piaciuto davvero molto fare questo laboratorio tra cui c’è stata molta condivisione e supporto, sia tra di noi, che tra i ragazzi della comunità. Mi ha fatto davvero piacere esprimere quello che per me risultava un peso, ascoltare le persone della comunità, partecipare a questo scambio reciproco verso un pensiero più umano e solidale”.
Debora Prandi
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