“Scrivere deve essere una tua necessità”

A tu per tu con Roberto Pavanello, professore e noto scrittore

Roberto Pavanello, professore e scrittore di libri per ragazzi (tra cui Bat Pat)

Chi avrebbe mai detto che l’autore di Bat Pat (libro da cui la Rai ha tratto l’omonimo cartone animato) fosse un professore della provincia di Varese? Ebbene sì, insegna alla scuola media Galileo Galilei di Tradate (VA) e si chiama Roberto Pavanello. Durante l’intervista ha sottolineato:

Per scrivere servono due cose: una è sapere scrivere, la seconda è avere qualcosa da dire. Il libro deve essere necessario per te, devi aver bisogno di scriverlo, anche se non lo pubblicassi mai. Tanti ragazzi che cominciano sperano di diventare famosi, ma non mettono in conto che si fa fatica, una fatica nera, ogni tanto hai gli occhi che ti esplodono. Deve essere la tua strada, una tua necessità, deve piacerti e divertirti, deve essere una dimensione che ti appartiene.

Da piccolo avrebbe mai immaginato di diventare un famoso scrittore?
Grazie per il famoso (ride ndr). No assolutamente, la cosa è avvenuta un po’ per caso. Da piccolo volevo “studiare da muratore”.

Come è nata la sua passione per la scrittura?

Io mi sono laureato in storia del teatro e una delle tecniche dedicate al teatro è il reading, il leggere a voce alta. Mi sono accorto che le storie adatte a essere lette ad alta voce non sono molte, soprattutto i libri per ragazzi. Allora ho cominciato scrivendo delle storie per i miei figli e ho visto che mi veniva bene, finché è venuto fuori un racconto e poi un altro… ho iniziato a proporli alle case editrici e sono piaciuti anche a loro.

Quando questa passione è diventata un lavoro?

Intorno agli anni 2000 è diventata un lavoro, il che non è la stessa cosa: scrivere per passione, perché hai una bella storia da raccontare è un conto, scrivere perché la casa editrice ti dà una scadenza è tutt’altro, spesso toglie smalto all’attività dello scrivere, che è un’attività creativa.

Ha ricevuto molte porte in faccia?
Tutto sommato no, perché la prima occasione non l’ho cercata io. Uno zio di mia moglie, che faceva l’illustratore, mi ha detto che una casa editrice stava aprendo una nuova collana di racconti per bambini e stava cercando dei testi. Io avevo in mente una storia che avevo inventato per mio figlio, l’ho sistemata e spedita. All’inizio è stato quasi parascolastico: lavoravo per l’editrice scolastica Fabbri che aveva una collana di narrativa. Poi ho tentato il grande salto. Avevo un racconto un po’ più complesso, Draculicchio, e l’ho mandato alla casa editrice Piemme: silenzio. Ho detto: “La mia carriera è già finita”. Dopo 6 mesi mi hanno telefonato: era la prima volta che prendevano un manoscritto spedito. Avevano sempre seguito altre strade per conoscenze o per autori consolidati, io invece ho tentato la strada meno convenzionale. Naturalmente lì ho avuto il primo scontro con l’esigenza delle case editrici, ho iniziato a capire che non ero così libero di scrivere quel che volevo.

Cosa consiglia a un ragazzo che sogna di diventare scrittore?
Di scrivere e leggere come un matto. E di considerare il fatto che innanzitutto scrivere è una necessità tua, non può essere il trampolino per il successo. Scrivi perché hai il bisogno di dire qualcosa, se non hai qualcosa da dire è meglio che tu non scriva. In Italia si pubblicano 40.000 titoli all’anno che sono un’esagerazione, essendo noi un popolo di non lettori.

Come trova le idee per le sue storie?
Nel dormiveglia, quando la mente comincia a vagare. Alle volte ci sono dei titoli che mi piacciono tantissimo e inizio a fantasticarci su (per esempio Giacomo Leopardo). Altre volte ci sono dei personaggi nella vita reale che mi colpiscono, magari perché hanno una barba esagerata, una benda sull’occhio, un’aria inquietante o una faccia giuliva. E poi c’è sempre il modo infallibile di Gianni Rodari, il binomio fantastico: prendi due parole a caso, le unisci e inventi una storia.

Quali sono le motivazioni che la spingono a scrivere?Quando ho cominciato erano proprio parlare ai bambini e poter leggere loro una storia a voce alta, che li coinvolgesse. I bambini non fingono, se una storia li diverte o li spaventa glielo leggi negli occhi. Poi mi hanno spiegato che in realtà quando qualcuno scrive per bambini o per ragazzi scrive al suo bambino interiore. Ed evidentemente il mio bambino interiore era ancora vispo. Un grande scrittore per ragazzi, Mino Milani, diceva di scrivere storie che avrebbe voluto che gli altri avessero raccontato a lui; questa è un’altra buona motivazione, ogni tanto non trovavo le storie che avrei voluto ascoltare io allora mi sono messo a scriverle.

Bat Pat

Dai suoi libri è stato tratto un cartone animato Bat Pat, come si sente a vedere le sue storie in televisione?
Un po’ arrabbiato perché l’hanno un po’ stravolto, nel senso che hanno tenuto i 4 personaggi base (il pipistrello e i tre fratelli), ma tutto il resto è stato aggiunto e cambiato sull’esigenza di abbassare il target: i miei libri parlavano a ragazzini di 10/12 anni, invece il cartone animato è stato fatto per ragazzini dai 6 anni in su. Devo dire di aver scritto una serie che mi ha davvero prosciugato, perché ho dovuto scrivere talmente tanto che alla fine non avevo più idee.

Come è nato il nome Bat Pat?
È stato inventato da una collaboratrice americana della Piemme. Bat vuol dire pipistrello e per fare un gioco di parole ci ha aggiunto pat. Quello che le piaceva non era tanto il significato della parola, ma il suono, che infatti ha avuto successo, perché è facile da pronunciare e resta in mente.

Alcuni suoi libri sono stati tradotti in spagnolo, perché proprio questa lingua?
Bat Pat è stato tradotto in più di tredici paesi, però quello dove ha avuto più successo è stata la Spagna. Mi hanno spiegato che loro lo chiamano humor negro, umorismo nero, in sintonia con l’anima del popolo spagnolo. È stata una bella occasione perché per pubblicizzarlo sono andato in Spagna e io, che non sapevo una parola di spagnolo, mi sono messo a studiarlo. Adesso sono 4 anni che lo studio e forse è la lingua che so meglio.

Ha mai pensato di lasciare il ruolo di insegnante per dedicarsi completamente alla scrittura?
Lasciarlo completamente no, anche perché i primi tempi i guadagni erano francamente un po’ ridicoli. Poi quando Bat Pat è stato tradotto all’estero ho guadagnato un po’ di più e allora non ho lasciato la scuola, perché a me piace il ruolo di insegnante, ma ho preso un part-time.

Beatrice Cervesato

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