Jean Clair: il totalitarismo degli imbecilli.

jean-clair1“Nel Mon Faust, del 1940, Valéry (…) dichiara: “Sarei forse all’apice della mia arte? Io vivo. Non faccio altro che vivere. Ecco un’opera…”. Queste parole le cito anche in epigrafe al mio libro su Duchamp. Vi si puó già ravvisare il prototipo della creazione contemporanea, di cui l’esempio piú eclatante è quello di Beuys, il quale, alla fine degli anni sessanta, proclama: “Ogni uomo è un artista. Tutto ció che fate è arte”. Questa pseudo-demagogia generalizzata fornirà una straordinaria opportunità politica ai governanti, che ai nostri giorni si occupano con grande interesse di arte contemporanea, nella misura in cui una simile propaganda consente di avvalersi dell’arte e di atteggiarsi a spirito illuminato, e quindi “moderno”, risparmiandosi la fatica dell’apprendimento e gli investimenti che esso presupporrebbe. E’ proprio in nome del totalitarismo degli imbecilli alla Beuys che la storia dell’arte, per fare un esempio, in Francia continua a non essere materia di insegnamento.

Questo atteggiamento lo si ritrova in alcuni commenti in cui si parla non piú di creazione di forme ma di “produzioni di immagini”.

E’ esattamente ció che intendo. Cosí facendo, peró, l’artista si trova spiazzato di fronte alle tecnologie sofisticate dei produttori di immagini. Da questo punto di vista, nelle nostre scuole d’arte, chi si dichiara “artista” ha diritto a corsi di strategia, marketing e linguaggio dell’arte contemporanea, ma non riceve alcuna formazione pratica per l’esercizio della sua arte. Il corso di disegno è tollerato, mentre quello di anatomia si svolge al di fuori del normale programma di insegnamento scolastico (quasi sempre si tratta di un corso serale per dilettanti). In compenso, nelle classi di design o di video, si impara una tecnica specifica, dal momento che la realizzazione di immagini presuppone delle conoscenze ben determinate. Curiosamente, l’artista plastico è quello che piú di ogni altro rifiuta l’insegnamento di una tecnica e di un mestiere, mentre questo tipo di apprendimento è scontato nell’ambito del cinema, del video, della televisione o della danza. Prendendo ad esempio la musica, persino John Cage ha seguito un percorso didattico tradizionale, frequentando la Juilliard School di New York.”…

…”Se si identifica l’inizio dell’arte moderna con il 1905, questo quasi coincide con la morte di Cézanne (1906), al quale si richiamano ancora molti artisti contemporanei.

Non ne sarei cosí sicuro. Credo che Cézanne sia stato dimenticato, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta. I giovani artisti non fanno piú riferimento al passato, ignorando quasi del tutto la storia, vivono unicamente nel quotidiano, nel presente perpetuo, nella postilla giornalistica di chi non ha piú memoria. Per loro Cézanne è troppo distante; non leggono piú, non vanno piú ai musei. Da anni nessun giovane entra nei negozi dei librai specializzati vicino all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi. Questo è un evidente segno del cambiamento in atto. Quando va bene, il punto di riferimento per un giovane artista, che abbia già una discreta conoscenza del settore, è Beuys o Warhol. Altrimenti ci si limita all’ultima Biennale di Venezia e alla piú recente Documenta di Kassel. Si è perso il corpus culturale dell’arte.

Se l’arte moderna copre un periodo che va dal 1905 al 1968, è possibile in una certa misura riscontrarvi la valorizzazione o la liquidazione dell’eredità di Cézanne?

Se proprio vogliamo sí. La valorizzazione e la liquidazione sono andate di pari passo verso l’esaurimento e l’eccesso, finché non è rimasto piú nulla. Quando Roger Caillois parla di Picasso come del “grande liquidatore”, vuole riferirsi in primo luogo all’eredità di Cézanne e, di conseguenza, all’eredità in toto della pittura europea. Dagli anni Venti alla fine degli anni Sessanta, ci sono ancora degli artisti profondamente legati alla pittura, alla rappresentazione piana sulla tela con forme e colori, che si possono considerare eredi di Cézanne e fors’anche di Bonnard. In Inghilterra potremmo citare Stanley Spencer(1) negli anni Venti-Trenta, ripreso da Lucian Freud negli anni Settanta. In Francia abbiamo Balthus i cui maestri furono Bonnard e Giacometti.

Tutti questi artisti sono accomunati dalla volontà di continuare a dipingere, pur sapendo che la pittura non ha speranze di sopravvivenza poiché praticata nella solitudine e non piú come fenomeno comunitario. Si auto-percepiscono come gli ultimi eredi di una lunga tradizione, che si accaniscono a perpetuare ad ogni costo. Le nozioni di fratellanza, di confraternita, di comunità, che erano vive all’epoca del Surrealismo (basta vedere, ad esempio, l’”Appuntamento degli amici” di Max Ernst) sono ormai completamente estinte. Nelle parole di questi spiriti inquieti ricorrono spesso lamenti desolati sulla precarietà della loro condizione: “Sono l’ultimo”, “La pittura è finita”, “La pittura è una passione ormai spenta”…. Ognuno di loro si sente come “l’ultimo dei Mohicani”, sopravvissuti di un mondo in cui gli uomini si sono estinti e i cani hanno preso il potere.

Nonostante tutto, questa discendenza perdura e produce ancora dei capolavori. Per riprendere l’esempio di Lucian Freud, questo artista ha alle spalle una certa e ben determinata tradizione, viennese innanzi tutto, le carni tumefatte alla Schiele, e poi inglese, la tradizione del cromatismo e del nudo che si rinviene in Spencer qualche decennio prima. La gloria recente di Freud ha rivalorizzato Spencer, confinato nel purgatorio dell’arte ormai dagli anni Ottanta, ma oggi messo su un piedistallo dai londinesi. Lo stesso Freud, durante il soggiorno a Parigi a metà degli anni Cinquanta, incontra Balthus, il suo punto di riferimento per la pittura francese. Esiste tutta una stirpe di artisti che si cercano, si riconoscono e si incoraggiano. Lo stesso puó dirsi dell’amicizia tra Giacometti e Balthus o di quella tra Balthus e Bonnard. E’ una concatenazione segreta di incontri e di influenze reciproche che finisce per scrivere una storia ben diversa da quella ufficiale.

Fintanto peró che questa storia “parallela” non verrá riconosciuta, continueremo a non sapere come catalogare Freud o Balthus. Verranno ancora considerati marginali, isolati, eccentrici, inclassificabili e quindi fastidiosi per lo storico dell’arte. Ma in questo caso è la storia che sbaglia ed è l’opera, irriducibile, ad avere ragione. Non riuscire a cogliere le origini di un’opera, il suo contesto intellettuale e formale significa condannarsi a non vederla. E’ ció che succede con l’opera di Szafran, ammirevole ma incomprensibile, e con quella di Zoran Music (2). A novantadue anni, la stessa età di Balthus e Cartier-Bresson, Music è senza dubbio uno dei piú grandi artisti viventi. Il suo lavoro offre una testimonianza unica sui campi di concentramento e sul terrore della morte industriale.E’ il solo ad essere riuscito a trasformare l’orrore in una sorta di grazia straziante. Se peró non conosciamo le sue origini, l’impero austro-ungarico all’interno del quale è stato allevato, l’influenza diKokoschka e di Kubin, l’eco della grande pittura spagnola con il suo gusto per il macabro, non capiremo mai il significato profondo dell’arte di Music, né coglieremo la sua grandezza.

La storia cosiddetta ufficiale non riscontra peró il favore del pubblico. Se si organizza una mostra di Bonnard si formano file interminabili in attesa davanti all’ingresso, ma un’esposizione di installazioni attirerà un pubblico molto piú ristretto e “specializzato”.

E’ vero, ma si puó anche andare oltre. Al Beaubourg, Freud ha fatto registrare un’affluenza di piú di 60mila visitatori, e Raymond Mason, uno scultore contemporaneo, ha conosciuto un grande successo di pubblico con la sua retrospettiva al museo Maillol, nonostante il silenzio assoluto della stampa “artistica”. Questo non succede perché entrambi producono delle immagini, ma è dovuto alla loro sensibilità sensuale, carnale, umana e al fatto che si interessano a problematiche sociali e talora addirittura politiche che incontrano il favore del pubblico. Dalla loro arte traspare un significato profondo, un impegno umano, un dramma. Senza questo dramma l’opera non varrebbe niente, non trasmetterebbe niente, sarebbe completamente “irresponsabile”.

A partire dagli anni Settanta, periodo che lei identifica con la morte dell’arte nel xx secolo, non si parla quasi piú di avanguardia. Questi sono gli anni in cui è stata finalmente riconosciuta, anche se troppo tardi, l’importante influenza esercitata da Marcel Duchamp. Lei è stato tra i primi a ridimensionare il peso attribuito all’eccentricità di questo artista e a dissipare il malinteso di cui era vittima.

Duchamp è morto nel 1968, alla fine dell’epoca che stiamo esaminando. Negli anni successivi, è stato etichettato come colui che avrebbe autorizzato chiunque a definirsi artista, riconoscendo in ogni oggetto un’opera d’arte. Il ready made, “oggetto comune promosso alla dignità di un’opera d’arte dalla sola decisione dell’artista”, è la formula magica che avrebbe consentito a qualsiasi “merda d’artista”, titolo di un’opera di Manzoni, di trasformarsi in oro e moneta sonante. Duchamp è un re Mida che in parte si merita questa odiosa reputazione. Quello che peró voglio far capire è che questa accezione del ready made, successivamente inventata da Breton, non puó essere applicata agli oggetti fabbricati da Duchamp negli anni Dieci e Venti, pezzi straordinariamente preziosi, sofisticati, raffinati, lavorati con amore.”….

…”Se, in qualità di osservatore, cerco un denominatore comune alla produzione contemporanea, mi trovo a priori in imbarazzo di fronte alla sua diversità. Se peró metto insieme l’orinatoio di Duchamp. La merda d’artista di Manzoni, le grandi manifestazioni, Kassel, il Whitney Museum o “Sensation” a Londra e a Brooklyn, riconosco un punto in comune che emerge prepotentemente: il gusto per l’abiezione e per l’orrore, il fascino per i fluidi corporei, il sangue, il liquido seminale, l’urina, gli escrementi, il muco nasale (pensiamo a Serrano, Pierrick Sorrin ecc.). la seduzione per l’automutilazione, la mostruosità (Orlan, Van Leemswerde, Cindy Sherman). L’estetica del disgusto ha ormai preso il sopravvento su quella del gusto che ha dominato l’arte dal 1750 fino all’incirca al 1970. E’ ancora troppo presto per trovare una spiegazione a questo fenomeno. Nella misura in cui le autorità pubbliche sembrano incoraggiare le manifestazioni apparentemente scioccanti, sarei tentato di credere che ci troviamo di fronte all’espressione di una sacralità nuova, nella quale fondere il “socius”, ma una sacralità ribaltata, negativa, alla Georges Bataille, un Sacer arcaico e di cattivo auspicio. Ma, ancora una volta, si tratta di semplici intuizioni.”

Dalla intervista di Thierry Naudin a Jean Clair, direttore del Musée Picasso di Parigi e autore del famoso pamphlet Critica della modernità (Allemandi, 1984), traduzione di Gaia Graziano, su Il Giornale dell’Arte, n.193, novembre 2000.

1- Stanley Spencer (1891-1959), pittore inglese. Fu autore di paesaggi, vicini ai modi dei preraffaelliti, e di quadri religiosi contrassegnati da un’iconografia non convenzionale e da un singolare gusto dell’enfasi e della deformazione: Cristo che porta la croce, Resurrezione (Londra, Tate Gal.).

2- Zoran Music (Gorizia 1909), pittore dalmata. Formatosi a Zagabria e poi, dal 1933, a Madrid, inizió la sua attività affrescando chiese veneziane, per dedicarsi poi a una pittura di memoria che lo porterà a esiti di astrattismo lirico. Dopo un viaggio in Dalmazia (1945) dipinse luoghi silenziosi e figure di antica tradizione popolare (Natura dalmata, 1948). A parigi dal 1952, appiattí il suo stile in una ricerca di luce dove affiorano tracce improvvise, aloni di riconoscimento (Ombre sul Carso,1958, Parigi, Gal. De France). Dopo il 1962 la sua pittura si é affidata a una materia di consistenza plasmatica densa di scorie e di grumi (Eclat d’été).

1 pensiero su “Jean Clair: il totalitarismo degli imbecilli.

  1. pitture 3d stereoscopiche a olio e solfati d’argento.
    Pittura
    •Tecnica mista
    •80 x 100 x 2 cm
    •2011
    Note sull’opera: pitture 3d stereoscopiche a olio e solfati d’argento.La pittura in 3d stereoscopica ,e’ la piu’ grande rivoluzione della storia dell’ arte contemporanea e’ la sfida che l’artista domenico del negro ha avanzato contro la tecnologia ,la 5° dimensione,le opere possono solo essere viste con occhiali tridimensionali , oggi 11 ottobre 2011 e’ ufficializzata la rivoluzione che ribalta il cubismo di picasso e la relativita’ einsteiniana ,il soggetto e’ in rendering con azzeramento spazio temporale.
    Le opere sono state realizzate in una centrale nucleare di kiew in Ucraina e’ la piu’ grande sfida rivoluzionaria ed innovativa dell’ artista senza punti di ritorno alla storia dell’ arte.

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