La ”CARTA DI UDINE”

0Il “Centro Internazionale Alti Studi latinoamericani” (CIASLA) della UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE ha promosso, nello scorso mese di settembre, la “Conferenza Internazionale Italia-America Latina sulla Conservazione, tutela e uso dei Beni Culturali”.

Ne è scaturito questo importantissimo documento denominato “CARTA DI UDINE” che propongo agli amici di questo BLOG, come un apporto importantissimo per la Cultura e l’Arte dell’America Latina, ma anche del Mondo e….dell’Italia che, con l’immenso Patrimonio Artistico e Culturale che possiede, in questi settori e tematiche ci fa una figura piuttosto brutta.

Il sito del Centro Internazionale Alti Studi Latinoamericani:  http://www.msartor.com

16CARTA DI UDINE

Si è svolta nei giorni 10-12 settembre 2009, presso il Salone del Parlamento del Castello di Udine e presso l’Aula Magna della Scuola di Lingue (Palazzo Balkan) dell’Università di Trieste, la Conferenza Internazionale Italia-America Latina, avente per tema: Conservazione, tutela e uso dei Beni Culturali. Ne è stato promotore il Centro Internazionale Alti Studi latinoamericani (CIASLA); ne ha organizzato e coordinato i lavori il suo presidente, Mario Sartor.

Si sono riunite oltre quaranta personalità tra studiosi, diplomatici, rappresentanti di governo e di istituzioni internazionali. Erano rappresentati i seguenti Paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, Guatemala, Haiti, Italia, Messico, Perù, Repubblica Dominicana, Spagna, Uruguay, Vaticano e Venezuela. Erano rappresentati i seguenti organismi: Istituto Italo-Latino-Americano, Centro Internazionale Alti Studi Latinoamericani, Unión Latina, ICCROM, World Monuments Fund, ICOMOS, Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Conferencia Episcopal Latinoamericana, Fundación CajaMadrid, CesPi, oltre a numerose Università latinoamericane, spagnole e italiane.

Le relazioni ed il dibattito hanno toccato molti punti dell’ampia problematica connessa con i beni culturali ed il patrimonio, testimoniando la complessità delle tematiche e le nuove sensibilità che si accompagnano al dilatarsi del concetto di bene e di patrimonio. Ne sono scaturite numerose considerazioni ed alcune raccomandazioni finali.
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A oltre quarant’anni dalla emanazione delle Normas de Quito (1967), che inaugurarono una visione nuova sui beni culturali e furono il punto di incontro dei Paesi latinoamericani sul tema di conservazione e uso dei monumenti e dei luoghi di interesse storico e artistico, si sono affrontate, nelle molte relazioni ed interventi, le questioni relative ai beni culturali nella concezione ampia che è andata maturando nel corso degli ultimi decenni, e si è riflettuto sull’efficacia di applicazione e la correttezza dell’impostazione delle norme che, a suo tempo, avevano segnato una pietra miliare nell’ambito specifico.

Fermo restando che tali norme hanno costituito un punto di riferimento essenziale per il mondo latinoamericano in relazione ai centri storici, ai beni architettonici e ai complessi monumentali, 23avendo come punto di riferimento la Carta di Venezia del 1964 –che fu pure documento basilare, ma realizzato sotto la prospettiva europea- la loro applicazione, quando è avvenuta, sembra sempre più essersi sbilanciata a favore di quella realtà più rilevante, dei grandi complessi archeologici e dei centri urbani di cui hanno garantito, in modo diverso, la sopravvivenza e la valorizzazione a beneficio del turismo culturale. In questa direzione infatti si è posta gran parte delle attività congressuali e degli incontri che periodicamente si sono svolti in diversi Paesi, latinoamericani e non (Convenzione sulla protezione del Patrimonio mondiale, Parigi 1972; Declaración de Santo Domingo, 1974; Conferenza Generale UNESCO, Nairobi 1976; Carta Internacional sobre turismo cultural, México 1999, tra gli altri numerosi), favorendo una lettura che ne ha corretto talora la visione, ampliandola anche in favore del paesaggio e di altri beni che hanno a che vedere con la cultura popolare.

È rimasta tuttavia dominante, anche perché più pressante economicamente e perché in alcuni casi dettata dall’emergenza, la visione commerciale e turistica, a detrimento del coinvolgimento della società sottesa a tali beni.

I lavori della Conferenza hanno rilevato che la prosecuzione dell’indagine e delle attenzioni in termini antropologici e in termini sociologici impone nella attualità un nuovo sguardo e la riformulazione tanto dei termini conservazione, tutela e uso, quanto l’ampliamento del concetto di bene culturale. Si è fatta dunque necessaria una riflessione più matura, che non vanifica la bontà di tanti documenti, ma li indirizza verso una nuova e globale presa di posizione che, ragionando più correttamente tanto sul concetto di bene culturale quanto su quello di “monumenti e luoghi di interesse storico e artistico”, ne promuova una nuova visione e ne valorizzi –per una tutela più estesa e una fruizione più completa- i diversi aspetti che abbracciano sia i beni tangibili che quelli intangibili.

Oggetto dell’attenzione è diventato non solamente il bene monumentale o il centro storico come manufatti di forte evidenza e di peculiari fatture, ma tutto un contesto, costituito tanto dall’ambiente nel suo complesso come dalla comunità umana che ne è l’erede naturale, la società che deve essere vista e interpretata nelle sue trasformazioni, ma anche nelle sue necessità di riferimenti culturali per affermare –o riaffermare- il suo senso di appartenenza e di identità. Sono stati pertanto posti all’attenzione e richiamati nel dibattito numerosi altri soggetti, pure definiti come beni culturali, che vanno, secondo la nuova sensibilità e le discipline chiamate in causa, segnalati come elementi fondamentali per una visione più ampia e 32anche più corretta di bene.

Si è convenuto che l’approccio antropo-sociologico e l’inserimento del concetto di paesaggio culturale non escludono l’approccio storico-artistico-architettonico, ma lo integrano, e vi aggiungono definitivamente anche la implicazione ambientale, tanto nei termini naturalistici quanto culturali. Viene perciò riaffermato il valore fondante del sapere storico nella pianificazione di qualsiasi intervento, per evitare che la mercantilizzazione del patrimonio culturale porti esclusivamente o preferenzialmente alla salvaguardia dei suoi aspetti visuali, e non a alla tutela di quelli storici e spirituali.

Sotto questa prospettiva, appare centrale il legame di ogni progetto di valorizzazione, o conservazione e tutela, con la comunità. Ogni progetto che non tenesse in considerazione la popolazione sopra la quale venisse calato, ne causerebbe lo sradicamento e l’espulsione dai centri abitati o dai quartieri, con la conseguente alienazione. Si profila dunque un nuovo tipo di turismo responsabile e coinvolto con la cultura dei siti, che faccia sì che gli abitanti e le comunità vivano la loro ricchezza patrimoniale come un fattore vivo, poderoso, che affermi e rafforzi l’idea di ciò sono e di come proiettano la loro visione del mondo.

Più volte è stata espressa e ribadita la preoccupazione di sottolineare come diventi sempre più indispensabile, a tale scopo, l’operare di concerto tra diversi esperti, in commissioni che riuniscano gli storici dell’arte, dell’architettura, dell’ambiente naturale, del paesaggio, della storia civile, delle tradizioni e della cultura materiale.

Il patrimonio va considerato pertanto, al di là dell’idea di consumo turistico, come fonte di senso di appartenenza per la comunità umana e produttiva in cui si trova, garantendone quindi un uso sociale. Viene non solo accolto ma raccomandato come centrale il concetto di patrimonio culturale immateriale (secondo la lettura proposta dalla Conferenza Generale dell’UNESCO), da considerarsi come bene storico, e pertanto parte indispensabile per la consapevolezza storica del tessuto sociale in cui si è sviluppato e formato come interazione 42di varie forze autoctone ed allogene.

Per questa sua appartenenza al territorio, debbono considerarsi coinvolte tutte le risorse umane che vi insistono, in modo da consentire la motivata sopravvivenza e sviluppo delle lingue locali, della letteratura orale (come insieme di credenze, di narrative storiche e mitiche –il riciclo della storia e l’attualizzazione del racconto-) il teatro e le feste popolari, l’effimero nelle manifestazioni religiose e civili, l’organizzazione di spettacoli tradizionali, la musica, la danza, l’artigianato secondo la tradizione e la cultura materiale –dalla ceramica ai tessuti, dalla lavorazione del legno e dei metalli a quella del vetro-, compresa quella alimentare.

Il patrimonio ecclesiastico va riguardato con particolare attenzione, non soltanto perché quantitativamente costituisce una delle realtà più cospicue del patrimonio, in generale, ma anche perché, pur motivando ovvii interessi generali di ordine culturale, rappresenta pure un complesso di beni immobili e mobili, tangibili ed intangibili attinenti alla sfera del sacro, e pertanto soggetti a criteri d’uso e di consumo peculiari. Va pertanto cercata una conciliazione che, pur rispettosa della libertà di culto, sottometta i beni ecclesiastici a vincoli di tutela compatibili.

Va di conseguenza rivisto il ruolo dei luoghi di peregrinazione, dei santuari antichi e nuovi, come itinerari dello spirito dai profondi significati culturali, religiosi e laici; ma non va dimenticato che nella formazione dell’identità nazionale i luoghi legati al culto religioso e quelli legati alla formazione degli stati nazionali (i luoghi delle battaglie decisive, dei proclami o del martirio degli eroi della indipendenza) hanno avuto e continuano ad avere un significato di coesione sociale e di appartenenza. In questo senso, va sottolineata anche la funzione delle biblioteche e degli archivi, come i luoghi del sapere custodito ed elaborato. Ma si richiama l’attenzione in modo particolare sui rischi a cui sono sottoposti le une e gli altri, quando si tratti di proprietà private o di enti religiosi, per i quali continua ad esistere il rischio di improvvide alienazioni, come è già avvenuto in diversi Paesi, a vantaggio di Istituti e Centri stranieri.

Viene esteso il concetto di bene anche alle grandi manomissioni che storicamente hanno determinato, per ragioni di produzione agricola, di difesa del territorio, o per regolamentazione delle acque, profondi cambiamenti, tali da rendere peculiari alcune regioni: da quelle andine delle culture preincaiche e incaiche sui versanti montuosi, a quelle delle regioni caraibiche sulle zone costiere (le reti di drenaggio e di navigazione). Alcune riflessioni importanti sono inoltre state condotte sulla biodiversità e sulla necessità di un corpus 52legislativo adeguato a tutelarle. Molte regioni latinoamericane sono a rischio in quest’ambito: la perdita della biodiversità a causa della introduzione massiccia di monoculture transgeniche, ha come conseguenza non solamente la perdita delle specificità del paesaggio agrario tradizionale, ma anche quello della tradizione alimentare e, per induzione, anche quello più generale delle tradizioni e costumi.

La riflessione sul rapporto centri urbani-aree rurali ha indotto anche a riconsiderare il rapporto dialettico tra i diversi livelli e le diverse proiezioni culturali in aree regionali caratterizzate fortemente dalla presenza di gruppi etnologicamente omogenei. Si è sottolineata la necessità di riconsiderare il paesaggio antropizzato e il paesaggio culturale come fattori qualificanti e come beni caratterizzanti aree regionali e geoculturali, con le necessarie riflessioni sui cambiamenti, sulle introduzioni di specie arboree allogene, sulla perdita di quelle locali.

In tema di paesaggi culturali, sui quali si insiste particolarmente, il richiamo ad un coinvolgimento dei pianificatori e dei politici si fa particolarmente pressante, per le forti implicazioni dal punto di vista degli equilibri nello sviluppo economico e produttivo, che deve essere conciliabile con il contesto e pertanto con il vissuto storico. Non solo dunque gli abitati storicamente connotati, ma anche il loro intorno, costituito da campagna, antropizzata e manomessa per le colture, da peculiarità orografiche e da ogni altro elemento di natura, devono rientrare in una riconsiderazione globale di habitat e di contesto ambientale interdipendenti.

Appare quindi necessario ripensare il territorio, anche quello scarsamente abitato o disabitato, non come una terra di nessuno facile da depredare, ma come il luogo della storia umana in cui non tutti gli interventi dell’uomo sono sopportabili ed assorbibili. La perdita materiale del contesto ambientale, con la conseguente perdita delle tradizioni, della specificità e della possibilità di compiere operazioni culturali significative, ha quasi sempre come presupposto la mancata conoscenza della storia del luogo.

Tuttavia, la mancata preservazione del patrimonio è strettamente connessa non tanto –o non solo- con i vuoti legislativi, ma anche con la carenza di politiche che tutelino i centri storici e il territorio, 6provocando espansioni disordinate e la scomparsa di prodotti culturali tanto materiali come immateriali. La mancanza, in generale, nei Paesi latinoamericani, di politiche convergenti sui temi di conservazione patrimoniale e di coordinazione con i piani economici di sviluppo, rischia di produrre, in questi decenni di forte crescita economica, danni irreversibili.

Va fatto dunque un forte richiamo al legislatore ed al politico, perché solo una rigorosa, informata e cosciente azione politica può frenare e convogliare quelle pressioni economiche che portano troppo facilmente ad un incontrollato cambiamento d’uso del suolo ed alla speculazione immobiliare. La raccomandazione, rivolta innanzitutto ai politici, come responsabili e garanti della cosa pubblica, è che si rendano promotori di princìpi e regole, di modo che i documenti prodotti nei consessi internazionali dagli studiosi e dalle istituzioni che si occupano del patrimonio culturale non siano considerati soltanto degli indirizzi etici, ma si trasformino in norme e leggi, la cui applicazione vincoli al rispetto tanto i singoli individui come le società.

Il caso latinoamericano, in cui vi sono ampie aree geografiche inter-nazionali di relativa uniformità suggerirebbe che i governi dei distinti Paesi ricercassero una conseguente uniformità legislativa ed operativa: i Paesi andini, in particolare, il cui ampio territorio presenta analoghe manomissioni storiche e sviluppi culturali affini, potrebbero costituire un buon esempio di concordanza normativa. Si è osservato, tra le altre cose, che la grande abbondanza di documenti posteriori alle Normas de Quito, che pure hanno focalizzato diversi fattori negativi nella crescita incontrollata, non ha fatto sufficientemente riflettere sulle politiche culturali in America Latina e, soprattutto, sulla necessità di una politica di sviluppo e di pianificazione da parte dei vari governi strettamente connessa con il patrimonio e la sua conservazione.

La dicotomia cultura-sviluppo appare pertanto come un problema aperto e finora mal conciliato, dimostrando una tragica incapacità di collegamento, essendo stato spesso ignorato che, come lo sviluppo economico deve essere per 72l’uomo, altrettanto devono esserlo la cultura ed il patrimonio in generale. Si fa dunque urgente un generale cambio di prospettiva. I beni, il patrimonio, vanno visti nell’ottica del paesaggio culturale, ovvero di quella realtà geografica, antropica, storica, che costituisce un complesso unico e specfico, coerente e partecipe, in cui il bene assume significato non solo per sé, ma anche in relazione all’individuo e alla società che ne è l’erede e l’elaboratore partecipe.

Ben lungi da una definizione statica ed immobile del patrimonio, dei ruoli sociali e della economia, lo sguardo deve estendersi ad un insieme di valori e di istanze, che implicano una ponderata valutazione ed una prospettiva progettuale che unisca insieme diverse competenze e diversi attori sociopolitici.

Appare pertanto fondamentale subordinare le prospettive di sviluppo ad una pianificazione territoriale sostenibile, invertendo l’andamento pragmatico attuale, che vede quasi sempre disconosciuta la considerazione patrimoniale e culturale. Si tratterebbe di cambiare quindi la prospettiva, da particolare a generale, che nell’attualità prevede il restauro dell’opera singola, senza curarsi del contorno urbano o di quello paesistico.

La mancata valutazione del territorio come bene da preservare nella sua multiformità di elementi porta come conseguenza sperimentata le frammentazioni del tessuto culturale, il negativo impatto sociale, la disconnessione dei beni storicoarchitettonici e urbanistici, e il disorientamento o la diaspora della comunità residente. Uno sguardo dall’alto, sopra i problemi interconnessi, richiede anche una multidisciplinarietà di approcci, che implicano nuove professionalità e nuove coordinazioni operative. Deriva da quanto sopra un quadro complesso, che suggerisce riformulare il concetto di patrimonio e di bene culturale come quell’insieme di valori e di segni coerenti che danno significato alla vita umana e che comprendono tanto le opere materiali come quelle immateriali e intangibili. Allo stesso modo, preservando le necessarie dinamiche economiche e le esigenze di un turismo intelligente e sostenibile, si sottolinea l’importanza di continuare ad applicare ed 82espandere nei Paesi latinoamericani la formula degli ecomusei, come musei aperti, di un territorio, che coinvolgono operativamente e produttivamente anche le popolazioni che ci vivono, rendendole protagoniste, rivitalizzando i beni immobili ogni qualvolta è possibile, e consentendo, con un uso equilibrato e consapevole della tecnologia e dei saperi tradizionali, una migliore qualità della vita dei suoi abitanti resi responsabibili e partecipi. Ne va di conseguenza la necessità di favorire la elaborazione culturale così come di formarne una nuova consapevolezza.

La promozione sociale non solo può essere strumento dunque di miglioramento della qualità della vita, ma può animare anche quel turismo culturale interno che, nella dialettica globalità-localismo del mondo contemporaneo, è utile per una migliore definizione del proprio senso di appartenenza, non come fatto escludente, ma includente.
Date queste premesse, dalla Conferenza Internazionale sono giunte le seguenti raccomandazioni:

• Considerare la conoscenza del patrimonio culturale di ogni Paese come una tappa importante ed imprescindibile di autocoscienza per il singolo individuo e la comunità, in modo da rafforzarne l’identità. In un’epoca come la nostra, in cui le migrazioni regionali ed internazionali costituiscono un evento frequente, il rapporto con altre culture va considerato non come destabilizzante, ma come fattore di imprescindibile confronto.

• Favorire lo sviluppo delle discipline antropologiche nelle Università e l’insegnamento dell’antropologia a partire dagli istituti superiori, in modo da fornire strumenti formativi ed indirizzi di ricerca capaci di generare consapevolezza della propria cultura e rispetto per le culture altrui.
• Istituire insegnamenti di storia dell’arte negli istituti superiori e corsi di laurea in storia dell’arte in tutti quei Paesi in cui ancora non sono previsti dagli ordinamenti universitari, essendo di primaria importanza un’alta formazione, in grado di risolvere i numerosi problemi strutturali interni alle istituzioni deputate alla conservazione e tutela dei beni culturali.
91• Istituire una Facoltà dei beni culturali, latinoamericana, unica per tutti i Paesi, in un centro da determinare, che formi ad alto livello una generazione di giovani studiosi e consenta loro di operare nel territorio con scienza e coscienza dei problemi generali e particolari legati ai diversi paesaggi culturali, alle diverse tradizioni ed usi, con specializzazioni tanto negli ambiti dell’archeologia come delle arti plastiche, del materiale librario, dei beni mobili ed immobili, dei beni immateriali o intangibili.
• Considerare il turismo nella sua forma più nobile e consapevole, come una delicata opportunità che contempera le necessità ricreative dell’uomo con i limiti di sopportabilità ambientale e culturale. In altre parole, è necessario che le esigenze del turismo siano compatibili con quelle della tutela delle comunità e dell’ambiente in cui si esercita, tanto se si tratta di un’attività preferenzialmente culturale, quanto se si tratta di una necessità di riposo e di divertimento. Giustamente è stata richiamata l’attenzione sulle località marittime, lacustri e di montagna, che non possono essere considerate come dei non-luoghi, in cui ogni aggressione del territorio è consentita. Anche il paesaggio di natura va considerato un bene, e pertanto trattato con la debita delicatezza, per non essere deturpato e definitivamente compromesso.

• Formare nuovi archeologi, che integrino l’endemica mancanza di studiosi qualificati che caratterizza alcuni Paesi, dove l’abbondanza di siti e di reperti archeologici ne richiederebbe una maggiore e meglio qualificata disponibilità. L’indirizzo sarebbe di attingere ad interim da Paesi come l’Italia o la Spagna, dove gli archeologi professionalmente formati sono numerosi.

• Incrementare la formazione di restauratori di alto livello professionale, che abbiano consapevolezza storica e piena cognizione dell’ambiente fisico ed antropico in cui operano, per intervenire appropriatamente sui monumenti o sui beni mobili con rigorosi criteri filologici e con tecniche e materiali idonei. La necessità di una nuova generazione di restauratori si rende particolarmente evidente soprattutto nelle aree in cui per ragioni climatiche l’aggressione degli elementi è più forte ed i materiali costitutivi delle opere d’arte più sollecitati ed esposti. Tale necessità va di pari passo con il bisogno di una legiferazione più attenta, dato che scarso contributo è venuto da carte, raccomandazioni e dichiarazioni internazionali.

• Formare specialisti nella catalogazione per lo studio e la conservazione dei beni. In tale ambito, dove la carenza dei quadri organizzativi e dirigenziali è piuttosto forte, la collaborazione bilaterale così come le reti multilaterali può portare a rapidi e sostanziosi progressi. Il supporto informatico applicato alla catalogazione è diventato ormai un aiuto insostituibile. Si rende pertanto necessario pensare alla diffusione ed all’utilizzo di sistemi di catalogazione uniformi.

• Rendere obbligatoria la creazione di un Archivio generale dei beni patrimoniali tangibili ed intangibili, privati e pubblici, che contenga informazioni sullo stato di conservazione, sugli interventi di mantenimento e sui restauri operati; oltre alle schede tecniche con i dati identificativi, l’elenco dei controlli effettuati e dei prestiti concessi.

• Regolamentare la conservazione preventiva come obbligo per la tutela dei beni culturali. Creare un piano sistematico ed ordinato di controllo preventivo o di minimo intervento curativo sulle opere, con azioni puntuali, secondo le esigenze, e mediante una serie di regole e procedimenti che permettano di prendere decisioni adeguate in ogni momento.

101• Rendere coscienti le istituzioni di governo e gli organismi internazionali del loro dovere di fornire continuità di informazione e di controllo ai progetti di restauro e di conservazione. Richiamare queste istituzioni sulla necessità di un controllo totale e continuo sulle spese effettuate e sulla qualità degli interventi di restauro eseguiti, obbligando i restauratori alla redazione di un diario e di una relazione finale, accompagnata da documentazione.

• Istituire musei del territorio, in cui la comunità trovi materia per la riappropriazione culturale ed identitaria, in un processo di formazione permanente, basata sulla consapevolezza dei beni posseduti e sulla capacità di gestirli, conservarli ed incrementarli. Gli itinerari culturali possono favorire tanto la diffusione culturale quanto l’approfondimento necessario per porre in relazione tra loro aree diverse e diversamente connotate dal punto di vista produttivo. L’artigianato ed ogni aspetto tanto della cultura materiale come della cultura immateriale ne possono trarre grande beneficio e rendere praticabile senza uno sforzo artificioso un turismo intelligente e sostenibile.

• Ripensare il ruolo dei musei e delle collezioni tradizionali, che hanno di frequente decontestualizzato oggetti ed opere d’arte, sottraendole alle comunità originarie e ai contesti culturali in cui erano state create. Senza nulla togliere al valore estetico di molte opere d’arte esposte, ed ai percorsi filologici che bravi museologi hanno saputo creare, resta il fatto che spesso i musei denunciano piuttosto una appropriazione del patrimonio, estrapolato e convertito in cosa preziosa, in quanto rara o unica, ma priva od avulsa dai supporti materiali e spirituali che l’hanno motivata nella sua genesi.

• Formare una coscienza del patrimonio non soltanto attraverso i tradizionali canali educativi, ma attingendo anche ai mezzi di comunicazione di massa, insistendo in particolare sulla necessità di avere innanzitutto consapevolezza della necessità spirituale, intellettuale e materiale di godere del proprio patrimonio culturale per avere piena dignità e realizzazione piena della propria personalità.

• Indurre, attraverso pressioni internazionali, quei Paesi che hanno avuto una straordinaria fioritura recente di arte pubblica, a non dissiparla, disperderla o lasciarla deperire. Al di là delle ragioni politiche che ne hanno determinato lo sviluppo nella maggior parte dei casi, la pittura murale, soprattutto, per il suo intrinseco valore culturale ed estetico e per il suo significato sociale, dovrebbe godere della stessa attenzione e dello stesso impegno allo studio, valorizzazione e conservazione, di cui gode l’arte murale messicana o californiana.

• Legiferare sul patrimonio culturale, avendo come obiettivo non solo la sua salvaguardia, ma anche il suo potenziamento e la sua corretta fruizione, dentro una pianificazione territoriale. Spetta al politico, in tutta onestà intellettuale, assumersi il compito di normare in modo adeguato il complesso mondo del patrimonio, tenendo conto delle esigenze spirituali e materiali delle persone. Spetta agli studiosi fornire al politico sereni elementi di valutazione. La distinzione tra patrimonio laico e patrimonio religioso non può generare contraddizione nel trattamento, ma solo valutazioni di carattere operativo, nella considerazione che –di norma- il patrimonio religioso è vincolato ad un uso quotidiano per l’esercizio del culto e per la fruizione spirituale da parte della collettività dei credenti.

s-giacomo• Considerare l’opportunità di un forum permanente di consultazione sulla conservazione e l’uso dei beni culturali, con cadenza biennale, da tenersi in sedi diverse e con il concorso sia degli uomini di governo che degli studiosi e dei responsabili delle istituzioni deputati alla loro tutela. Il rapporto dialettico dei singoli Paesi latinoamericani tra di loro e con l’Europa è imprescindibile non solamente sulla base di considerazioni storiche e di condivisioni patrimoniali, ma anche su quella di analoghe esperienze operative.

• Costituire una base di appoggio operativo in Italia per iniziative di governo che portino alla realizzazione di un organismo sovranazionale capace di sintetizzare fattivamente l’operato di molte istituzioni e di incanalare le attività di tutela e conservazione verso una univoca applicazione, con soluzioni condivise, supportate da una base scientifica di sicuro fondamento.

• Considerare infine l’uomo come centro e destinatario del patrimonio, di cui, consapevolmente o meno, è pure l’artefice. La Conferenza ha manifestato, sia pure nella sua eterogeneità di posizioni culturali e di ruoli di ogni singolo partecipante, la preoccupazione di scindere il consumatore di servizi dal fruitore del bene culturale nella sua integrità. Il consumo culturale richiede rispetto non solo degli oggetti, dei monumenti, degli ambienti, dei contesti geomorfologici, ma anche –e prima di tutto- delle comunità che vivono ed operano a contatto diretto e quotidiano. I limiti del turismo, culturale o meramente ricreativo, iniziano là dove incomincia il necessario e imprescindibile rispetto per l’uomo e il suo ambiente.
Il coordinatore
Mario Sartor

Udine, 9 novembre 2009

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