La cosiddetta e auto denominata “Arte Contemporanea” NON E’ L’ARTE DI OGGI, ma una manifestazione globalizzata, faziosa, opportunista e totalizzante che nasconde “ inattese complicità, consce o inconsce, con i versanti più oscuri e minacciosi del nostro tempo“…
Pubblichiamo interessanti stralci su questo argomento, tratti dalla intervista di Thierry Naudin a Jean Clair, direttore del Musée Picasso di Parigi (pubblicata su Il Giornale dell’Arte, n.193, novembre 2000, traduzione di Gaia Graziano).
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…… “Nel Mon Faust, del 1940, Valéry (…) dichiara: “Sarei forse all’apice della mia arte? Io vivo. Non faccio altro che vivere. Ecco un’opera…”. Queste parole le cito anche in epigrafe al mio libro su Duchamp. Vi si puó già ravvisare il prototipo della creazione contemporanea, di cui l’esempio piú eclatante è quello di Beuys, il quale, alla fine degli anni sessanta, proclama: “Ogni uomo è un artista. Tutto ció che fate è arte”. Questa pseudo-demagogia generalizzata fornirà una straordinaria opportunità politica ai governanti, che ai nostri giorni si occupano con grande interesse di arte contemporanea, nella misura in cui una simile propaganda consente di avvalersi dell’arte e di atteggiarsi a spirito illuminato, e quindi “moderno”, risparmiandosi la fatica dell’apprendimento e gli investimenti che esso presupporrebbe. E’ proprio in nome del totalitarismo degli imbecilli alla Beuys che la storia dell’arte, per fare un esempio, in Francia continua a non essere materia di insegnamento.
Questo atteggiamento lo si ritrova in alcuni commenti in cui si parla non piú di creazione di forme ma di “produzioni di immagini”.
E’ esattamente ció che intendo. Cosí facendo, peró, l’artista si trova spiazzato di fronte alle tecnologie sofisticate dei produttori di immagini. Da questo punto di vista, nelle nostre scuole d’arte, chi si dichiara “artista” ha diritto a corsi di strategia, marketing e linguaggio dell’arte contemporanea, ma non riceve alcuna formazione pratica per l’esercizio della sua arte. Il corso di disegno è tollerato, mentre quello di anatomia si svolge al di fuori del normale programma di insegnamento scolastico (quasi sempre si tratta di un corso serale per dilettanti). In compenso, nelle classi di design o di video, si impara una tecnica specifica, dal momento che la realizzazione di immagini presuppone delle conoscenze ben determinate. Curiosamente, l’artista plastico è quello che piú di ogni altro rifiuta l’insegnamento di una tecnica e di un mestiere, mentre questo tipo di apprendimento è scontato nell’ambito del cinema, del video, della televisione o della danza. Prendendo ad esempio la musica, persino John Cage ha seguito un percorso didattico tradizionale, frequentando la Juilliard School di New York.”…
…”Se si identifica l’inizio dell’arte moderna con il 1905, questo quasi coincide con la morte di Cézanne (1906), al quale si richiamano ancora molti artisti contemporanei.
Non ne sarei cosí sicuro. Credo che Cézanne sia stato dimenticato, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta. I giovani artisti non fanno piú riferimento al passato, ignorando quasi del tutto la storia, vivono unicamente nel quotidiano, nel presente perpetuo, nella postilla giornalistica di chi non ha piú memoria. Per loro Cézanne è troppo distante; non leggono piú, non vanno piú ai musei. Da anni nessun giovane entra nei negozi dei librai specializzati vicino all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi. Questo è un evidente segno del cambiamento in atto. Quando va bene, il punto di riferimento per un giovane artista, che abbia già una discreta conoscenza del settore, è Beuys o Warhol. Altrimenti ci si limita all’ultima Biennale di Venezia e alla piú recente Documenta di Kassel. Si è perso il corpus culturale dell’arte.
Se l’arte moderna copre un periodo che va dal 1905 al 1968, è possibile in una certa misura riscontrarvi la valorizzazione o la liquidazione dell’eredità di Cézanne?
Se proprio vogliamo sí. La valorizzazione e la liquidazione sono andate di pari passo verso l’esaurimento e l’eccesso, finché non è rimasto piú nulla. Quando Roger Caillois parla di Picasso come del “grande liquidatore”, vuole riferirsi in primo luogo all’eredità di Cézanne e, di conseguenza, all’eredità in toto della pittura europea. Dagli anni Venti alla fine degli anni Sessanta, ci sono ancora degli artisti profondamente legati alla pittura, alla rappresentazione piana sulla tela con forme e colori, che si possono considerare eredi di Cézanne e fors’anche di Bonnard. In Inghilterra potremmo citare Stanley Spencer(1) negli anni Venti-Trenta, ripreso da Lucian Freud negli anni Settanta. In Francia abbiamo Balthus i cui maestri furono Bonnard e Giacometti.
Tutti questi artisti sono accomunati dalla volontà di continuare a dipingere, pur sapendo che la pittura non ha speranze di sopravvivenza poiché praticata nella solitudine e non piú come fenomeno comunitario. Si auto-percepiscono come gli ultimi eredi di una lunga tradizione, che si accaniscono a perpetuare ad ogni costo. Le nozioni di fratellanza, di confraternita, di comunità, che erano vive all’epoca del Surrealismo (basta vedere, ad esempio, l’”Appuntamento degli amici” di Max Ernst) sono ormai completamente estinte. Nelle parole di questi spiriti inquieti ricorrono spesso lamenti desolati sulla precarietà della loro condizione: “Sono l’ultimo”, “La pittura è finita”, “La pittura è una passione ormai spenta”…. Ognuno di loro si sente come “l’ultimo dei Mohicani”, sopravvissuti di un mondo in cui gli uomini si sono estinti e i cani hanno preso il potere.
Nonostante tutto, questa discendenza perdura e produce ancora dei capolavori. Per riprendere l’esempio di Lucian Freud, questo artista ha alle spalle una certa e ben determinata tradizione, viennese innanzi tutto, le carni tumefatte alla Schiele, e poi inglese, la tradizione del cromatismo e del nudo che si rinviene in Spencer qualche decennio prima. La gloria recente di Freud ha rivalorizzato Spencer, confinato nel purgatorio dell’arte ormai dagli anni Ottanta, ma oggi messo su un piedistallo dai londinesi. Lo stesso Freud, durante il soggiorno a Parigi a metà degli anni Cinquanta, incontra Balthus, il suo punto di riferimento per la pittura francese. Esiste tutta una stirpe di artisti che si cercano, si riconoscono e si incoraggiano. Lo stesso puó dirsi dell’amicizia tra Giacometti e Balthus o di quella tra Balthus e Bonnard. E’ una concatenazione segreta di incontri e di influenze reciproche che finisce per scrivere una storia ben diversa da quella ufficiale.
Fintanto peró che questa storia “parallela” non verrá riconosciuta, continueremo a non sapere come catalogare Freud o Balthus. Verranno ancora considerati marginali, isolati, eccentrici, inclassificabili e quindi fastidiosi per lo storico dell’arte. Ma in questo caso è la storia che sbaglia ed è l’opera, irriducibile, ad avere ragione. Non riuscire a cogliere le origini di un’opera, il suo contesto intellettuale e formale significa condannarsi a non vederla. E’ ció che succede con l’opera di Szafran, ammirevole ma incomprensibile, e con quella di Zoran Music (2). A novantadue anni, la stessa età di Balthus e Cartier-Bresson, Music è senza dubbio uno dei piú grandi artisti viventi. Il suo lavoro offre una testimonianza unica sui campi di concentramento e sul terrore della morte industriale.E’ il solo ad essere riuscito a trasformare l’orrore in una sorta di grazia straziante. Se peró non conosciamo le sue origini, l’impero austro-ungarico all’interno del quale è stato allevato, l’influenza di Kokoschka e di Kubin, l’eco della grande pittura spagnola con il suo gusto per il macabro, non capiremo mai il significato profondo dell’arte di Music, né coglieremo la sua grandezza.
La storia cosiddetta ufficiale non riscontra peró il favore del pubblico. Se si organizza una mostra di Bonnard si formano file interminabili in attesa davanti all’ingresso, ma un’esposizione di installazioni attirerà un pubblico molto piú ristretto e “specializzato”.
E’ vero, ma si puó anche andare oltre. Al Beaubourg, Freud ha fatto registrare un’affluenza di piú di 60mila visitatori, e Raymond Mason, uno scultore contemporaneo, ha conosciuto un grande successo di pubblico con la sua retrospettiva al museo Maillol, nonostante il silenzio assoluto della stampa “artistica”. Questo non succede perché entrambi producono delle immagini, ma è dovuto alla loro sensibilità sensuale, carnale, umana e al fatto che si interessano a problematiche sociali e talora addirittura politiche che incontrano il favore del pubblico. Dalla loro arte traspare un significato profondo, un impegno umano, un dramma. Senza questo dramma l’opera non varrebbe niente, non trasmetterebbe niente, sarebbe completamente “irresponsabile”.
A partire dagli anni Settanta, periodo che lei identifica con la morte dell’arte nel xx secolo, non si parla quasi piú di avanguardia. Questi sono gli anni in cui è stata finalmente riconosciuta, anche se troppo tardi, l’importante influenza esercitata da Marcel Duchamp. Lei è stato tra i primi a ridimensionare il peso attribuito all’eccentricità di questo artista e a dissipare il malinteso di cui era vittima.
Duchamp è morto nel 1968, alla fine dell’epoca che stiamo esaminando. Negli anni successivi, è stato etichettato come colui che avrebbe autorizzato chiunque a definirsi artista, riconoscendo in ogni oggetto un’opera d’arte. Il ready made, “oggetto comune promosso alla dignità di un’opera d’arte dalla sola decisione dell’artista”, è la formula magica che avrebbe consentito a qualsiasi “merda d’artista”, titolo di un’opera di Manzoni, di trasformarsi in oro e moneta sonante. Duchamp è un re Mida che in parte si merita questa odiosa reputazione. Quello che peró voglio far capire è che questa accezione del ready made, successivamente inventata da Breton, non puó essere applicata agli oggetti fabbricati da Duchamp negli anni Dieci e Venti, pezzi straordinariamente preziosi, sofisticati, raffinati, lavorati con amore.”….
…”Se, in qualità di osservatore, cerco un denominatore comune alla produzione contemporanea, mi trovo a priori in imbarazzo di fronte alla sua diversità. Se peró metto insieme l’orinatoio di Duchamp, la merda d’artista di Manzoni, le grandi manifestazioni, Kassel, il Whitney Museum o “Sensation” a Londra e a Brooklyn, riconosco un punto in comune che emerge prepotentemente: il gusto per l’abiezione e per l’orrore, il fascino per i fluidi corporei, il sangue, il liquido seminale, l’urina, gli escrementi, il muco nasale (pensiamo a Serrano, Pierrick Sorrin ecc.). la seduzione per l’automutilazione, la mostruosità (Orlan, Van Leemswerde, Cindy Sherman). L’estetica del disgusto ha ormai preso il sopravvento su quella del gusto che ha dominato l’arte dal 1750 fino all’incirca al 1970. E’ ancora troppo presto per trovare una spiegazione a questo fenomeno. Nella misura in cui le autorità pubbliche sembrano incoraggiare le manifestazioni apparentemente scioccanti, sarei tentato di credere che ci troviamo di fronte all’espressione di una sacralità nuova, nella quale fondere il “socius”, ma una sacralità ribaltata, negativa, alla Georges Bataille, un Sacer arcaico e di cattivo auspicio. Ma, ancora una volta, si tratta di semplici intuizioni.”…….
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1- Stanley Spencer (1891-1959), pittore inglese. Fu autore di paesaggi, vicini ai modi dei preraffaelliti, e di quadri religiosi contrassegnati da un’iconografia non convenzionale e da un singolare gusto dell’enfasi e della deformazione: Cristo che porta la croce, Resurrezione (Londra, Tate Gal.).
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2- Zoran Music (Gorizia 1909), pittore dalmata. Formatosi a Zagabria e poi, dal 1933, a Madrid, inizió la sua attività affrescando chiese veneziane, per dedicarsi poi a una pittura di memoria che lo porterà a esiti di astrattismo lirico. Dopo un viaggio in Dalmazia (1945) dipinse luoghi silenziosi e figure di antica tradizione popolare (Natura dalmata, 1948). A parigi dal 1952, appiattí il suo stile in una ricerca di luce dove affiorano tracce improvvise, aloni di riconoscimento (Ombre sul Carso,1958, Parigi, Gal. De France). Dopo il 1962 la sua pittura si é affidata a una materia di consistenza plasmatica densa di scorie e di grumi (Eclat d’été).
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E’ l’assenza del LAVORO nell’arte contemporanea, la chiave di lettura. Senza lavoro non c’è arte, senza un pensiero dal lavoro non c’è arte. Dai soldi non nasce la ricchezza, solo dal lavoro nasce altrimenti è usura , grande peccato ……………..
Maurizio, hai toccato il NOCCIOLO della questione…..mi piacerebbe avere la opinione di qualche “curatore” o “direttore” o “politico” o “ammiratore” o “artista” di questa infamia omologata chiamata “Arte Contemporanea”!
Oggi l’ignoranza (in arte e in tutto) è molto diffusa. E quest’articolo ne è il titpico esempio in buona fede. Il Sig. Clair dispensatore di ignoranza accreditata all’accademia più retriva (testimonianza ne è il suo linguaggio falsamente idealistico)è distante anni luce dall’arte quasi sempre parte del reale.
E anche l’arroganza è molto diffusa caro Marcello.Il Sig. Clair (che ha sicuramente più conoscenze ed esperienze di quelle che hai tu) ha motivato seriamente tutto il suo ragionamento nell’intervista, mentre tu lo hai liquidato con una superficialità impressionante. Ti consiglio un pochetta di umiltà…e cerca di leggere attentamente prima di emettere giudizi senza spessore.
Interessante, anche se credo che i sistemi non hanno colpe; sfruttano “fisiologicamente” la stupidità umana: Sta a ognuno di noi, individualmente, svegliarci e riconoscere il benefico nutrimento dell’arte: esattamente come con il cibo! Troppo zucchero, a lungo andare, non fa bene; troppo alcol può provocare danni irreparabili; il fumo anche… Poi ognuno, della sua vita, è libero di fare ciò che vuole, anche se si dovrebbe sempre tener conto dell’insieme: chi fa male a se stesso inevitabilmente danneggia anche qualcun’altro. Quindi la cura potrebbe essere di lavorare per aiutare chi non “vede”, a “vedere”. Lavoro arduo… poiché tutti crediamo di vedere 🙂
avevo , credo, già letto asuo tempo questo articolo con cui sono completamente daccordo.E’ un analisi precisa della realtà, quello che è grave e che dopo 10 anni sia ancora attuale!!! per dirla con Daverio da 30 anni non cambia vento, di solito arrivano dei giovani che ribaltano tutto. Da 30 anni questo non avviene! Inacredibile!
Però tutto sommato a me dispiacciono di più gli pseudo pittori che dipingono per stupire o per scandalizzare…(vedi quel pittore americano di cui avevi parlato o lo steeo Ventrone, presentato anche da Sgarbi!!!! etc.) piuttosto che un Beuys, un Manzoni o altri concettuali. Sono Artisti? senza la pretesa di essere pittori. Insopportabili sono quell’ultima serie di artisti DELL’ESTETICA DEL DISGUSTO; mi è capitato a Vienna di Visitare il MOMUK, e dopo gli artisti storici, nel contemporaneo mi sono imbattuto in questo tipo di roba.
La miglior cosa è non parlarne nemmeno!
Per un ulteriore riflessione ti mando queste righe di PLINIO IL VECCHIO (morto nel 79 DC non casuale)
STORIA DELLE ARTI ANTICHE.
QUI FINISCE LO SPAZIO !!! TE LO MANDO VIA MAIL
cONTINUO QUI. LIBRO 35:
“e per prima cosa parleremo di ciò che resta ancora da dire sulla pittura, arte un tempo famosa, quando era ricercata da re e da popoli e che rendeva famosi gli altri, quelli che essa si degnava tramandare ai posteri; e che ora invece è stata completamente scacciata e sostituita dal marmo, anzi addirittura dall’oro; e non solo …..” e ANCORA
“La pittura del ritratto, con la quale venivan tramandate nei secoli figure al massimo grado somiglianti, è del tutto caduta in disuso. Si dedicano ora scudi bronzei, effigie d’argento, con somma indifferenza figurativa e ritrattistica……”
“… tutti vogliono che si veda in prevalenza il materiale prezioso anzichè la propria immagine. E intanto tappezzano le loro pinacoteche con vecchie tavole e celebrano le immagini altrui facendo consistere l’onore nel solo prezzo; sicchè l’erede possa fare apezzi l’oggetto per venderlo più speditamente…”
Come si vede le stagioni vanno e vengono….
e questa stagionaccia speriamo che si trasformi in una qualche primavera prima o poi.
Molto bella la citazione di Plinio, vedo se più avanti riusciamo a farci un articolo per stimolare questo dibattito sulla schizofrenia artecontemporaneista.E anche sulla invasione di pseudo-pittori ruffiani lecca-lecca si dovrebbe iniziare a discutere….Grazie Gianfranco!
Molto interessante.
vedo che dal tempo di Plinio si continuano a dire le stesse cose, evidentemente non si è ancora imparato che ‘vecchio’ e ‘nuovo’, arte e non-arte, sono concetti estremamente relativi, mentre ‘assoluto’ è il senso di nostalgia per un passato visto come ‘migliore’ rispetto ad un deludente presente, che ogni epoca manifesta in modi fin troppo simili e ripetitivi.
Per la gioia di Sergio Michilini ecco l’opinione di un ex artista, ex curatore e critico, tuttora ‘ammiratore’ (per usare un suo termine) dell’infame arte contemporanea.
Mi domando come faccia a sapere che il sig. Marcello abbia meno esperienze e conoscenze di Jean Clair, illustre studioso che da anni sputa nel piatto dove mangia, ma ognuno a diritto a dire quel che vuole.
Dal mio punto di vista Jean Clair non ha assolutamente motivato ‘seriamente’ il suo ragionamento, che al contrario mostra diverse ‘sfilacciature’, pur inserite in un impianto teorico discutibile per quanto abbastanza solido, perlomeno all’apparenza.
Le faccio un esempio:
‘I giovani artisti non fanno piú riferimento al passato, ignorando quasi del tutto la storia, vivono unicamente nel quotidiano, nel presente perpetuo, nella postilla giornalistica di chi non ha piú memoria’
Questa dichiarazione, per mia esperienza personale, dovuta alla frequentazione di anni con molti artisti operanti nell’infame contemporaneo è assolutamente falsa. Gli artisti conoscono, studiano, visitano le mostre ed i musei che ospitano l’arte del passato.
Io stesso, per esempio, nel mio ultimo viaggio a Monaco di Baviera, ho visitato sia il centro di arte moderna e contemporanea come l’Alte Pinakothek (che ho visitato più volte negli anni).
Certo, gli artisti sono naturalmente più interessati a ciò che gli è più vicino, ma credo si potesse dire lo stesso dei pittori del rinascimento (che certo non guardavano all’arte dei 500 anni precedenti), come agli impressionisti, già a loro tempo diffamati come ‘distruttori dell’arte’ e ciarlatani da chi la pensava come lei.
Circa l’idea della ‘morte della pittura’ invocata da Jean Clair, niente di più falso: basta farsi un giro per le più importanti gallerie del mondo per rendersene conto, invece che fondarsi sui gossip da rotocalco che prendono di mira i soliti tre o quattro artisti: Damien Hirst in primis.
L’arte contemporanea, come già lucidamente teorizzato da Hans Belting e Arthur Danto, non è – come si vorrebbe far pensare – un blocco monolitico di ‘monnezza’, ma presenta una produzione assai variegata, non più contraddistinta da un’unità stilistica imperante, dove coesistono pittura astratta, figurativa, scultura ‘classica’ e non, neo concettualismi, performance, fotografia, mixed media etc.
consiglio la lettura di questo articolo su Jean Clair
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-12-18/jean-clair-catastrofista-081811.shtml?uuid=Aac3kKVE
Gentile Alessandro, grazie per la sua riflessione. Effettivamente ha ragione quando afferma che l’Arte di oggi non è “un blocco monolitico di ‘monnezza’”. In questo stesso Blog abbiamo presentato anche artisti di oggi che stimiamo molto come per esempio, tra i più conosciuti Sandro Chia, Peter Doig, Niki De Saint Phalle, Armando Morales ecc. e tanti altri meno consciuti o sconosciuti del tutto. Cosa ben diversa è parlare di “SISTEMA dell’ARTE CONTEMPORANEA”…
Già conoscevo questo articoletto della Vettese…e, mi scusi, ma mi sembra abbastanza frivolo. Ma forse altri possono considerarlo, a tutto diritto, “consistente”. Va bene lo stesso.
Carissimo Sergio,
anzitutto la ringrazio per darmi l’opportunità di metter voce a quello che mi pare essere il ‘suo’ blog.
Lei avrà già capito che io e lei abbiamo due punti di vista ben diversi, ma credo che l’importante sia di poterli sviluppare nel reciproco rispetto, qualità che spesso viene meno in questo genere di piattaforme.
A questo proposito mi domando cosa trova di frivolo nell’articolo della Vettese.
Certo la Vettese fa parte di quella categoria che offre supporto all’arte contemporanea (o come la si preferisca chiamare), ovviamente – dal mio punto di vista – questo non rappresenta un difetto, l’importante sono i contenuti di quel che si dice, e mi sembra che quelli dell’articolo siano chiari e documentati.
Vorrei aggiungere: credo che una sorta di ripensamento su quelle che sono le prassi del ‘sistema dell’arte’ e sulla produzione artistica degli ultimi 40 anni, nel senso di una sana messa in discussione di quello che oggi rappresenta uno ‘status quo’, possiamo chiamarlo anche una sorta di ‘revisionismo’ con tutto il dibattito che ne può conseguire (e che è già in atto) non possa essere che la benvenuta.
Io stesso ho letto con piacere alcuni testi di Jean Clair, Robert Hughes, ed ho appena iniziato la faticosa impresa di leggere il libro di Marc Fumaroli.
Ma vorrei riprendere l’espressione della Vettese: un conto è una sana riflessione dialettica, altro è ‘buttare il bimbo con l’acqua’.
Quindi, in questa delicata questione, dobbiamo stare attenti a non cadere nel tranello (fin troppo comune, oggigiorno) del generalismo e delle trappole dell’ideologia, da qualsiasi parte della barricata si stia.
Gli scrittori che ho citato, dal mio punto di vista, pur toccando tasti condivisibili e manifestando lecite perplessità sulle derive del ‘postmoderno’, sembrano aver perso di vista alcune linee direttrici che hanno – ci piaccia o meno – fondato la ‘sensibilità contemporanea’.
La pittura, pur ancora ben presente nel circuito contemporaneo, non può più rappresentare il ‘nocciolo’ dell’arte e deve convivere con altre forme di espressione.
E non è neanche vero – come afferma Jean Clair nell’intervista – che non si studi più disegno, o che conseguentemente non ci siano più eccellenza in questo campo.
La verità è che la competenza in questo campo si è spostata dal campo dell’arte a quella, per esempio, del fumetto e dell’illustrazione, dei cartoon e dei nuovi media.
Così come non si fanno più affreschi rivolti a lasciar memoria di importanti avvenimenti e figure storiche: oggi abbiamo i grandi servizi giornalistici o anche le fiction televisive che servono a quella stessa antica funzione.
Il mondo gira, la nostalgia per il passato è lecita e comprensibile, ma nel bene o nel male noi non viviamo più nel mondo dei nostri antenati e dovremmo farcene una ragione.
Sono completamente d’ accordo , credo che questi mondi spesso si uniscano ed anche la pittura più legata a gli elementi più tradizionali del lino della tela e dei pigmenti abbia bisogno di nutrirsi dell’informazione e dell’azzardo di certe forme di comunicazione.
Carissimo Alessandro,
effettivamente questo è il “mio” BLOG “in difesa della Pittura e dei Pittori”, e quindi aperto a tutti i contributi di chicchessia. Ho già pubblicato circa 500 articoli (POST) su molti argomenti dell’Arte e sul mio lavoro di Pittore in esilio (sulla destra della Home Page puo’ trovare tutto questo materiale diviso in 7 Categorie). Ho la fortuna di avere un buon “veicolo” o “traino” nel Web dovuto al quotidiano varesenews.it , per cui attualmente ho come media giornaliera 350 visite e 800 pagine viste. Facciamo una cosa: siccome le sue argomentazioni sono interessanti e la “carne al fuoco” è tanta, (e parecchie questioni le ho già trattate ampiamente in POST precedenti), LE PROPONGO di scrivere un POST lungo quanto vuole e con le illustrazioni che vuole, che io pubblichero’ intergralmente. Così poi trovero’ il tempo di risponderle con calma e al dettaglio su tutto.
La ringrazio e prendo atto delle sue indicazioni.
Avevo già precedentemente dato una scorsa ad alcuni post molto interessanti presentati da lei, ed anche al suo lavoro pittorico, ma non avendo il tempo (nè l’energia necessaria) per commentare le molte riflessioni in corso ho scelto di concentrarmi su questo articolo.
Per seguire il suo consiglio e creare un mio post ho però bisogno di alcune ‘dritte’, devo forse scrivere a ‘redazione@varesenews.it’ o comportarmi altrimenti?
Grazie ancora.
PS
può contattarmi direttamente al seguente indirizzo:
alessandroquerci@gmail.com
Mi invii tutto il materiale scritto ed eventuali foto al mio email: neoarcaico@yahoo.it Sarebbe interessante inserire anche due sue righe biografiche o eventualmente , se ha del materiale nel web, qualche LINK a suoi lavori o attività, così da dare un idea dell’autore.
sono una pittrice, un mostro meno sacro di quanto si tenda a pensare attualmente. Sono certa che la pittura non è capitolo chiuso e molto grata alle voci dissidenti, per ora isolate, come questa di Jean Clair, o di Avelina Lesper. Voci autorevoli, per di più. Ci sono molti ottimi pittori anche adesso, che non abdicano a favore del solito “soldo”, che si mantengono fedeli a ciò che credono a costo di fare la fame, adesso come un tempo…La pittura è un’attività meravigliosa, segno di cultura e di progresso, e se al momento è tagliata fuori perfino dalle scuole (e se ne vedono i frutti) evidentemente si devono inventare, per accedervi, nuovi percorsi: questo è quanto noi pittori siamo chiamati a fare, a iniziare dall’esempio, vale a dire dalla ricerca personale di una BUONA PITTURA.