Lettura da Artista dell’opera di un Artista. Questo scritto assolutamente inedito è una preziosa riflessione sull’Arte Pubblica e sulla Pittura Murale di MICHELANGELO da parte di uno dei più grandi affreschisti italiani del ‘900: ANTON LUIGI GAJONI.
Il maestro A.L.Gajoni, nato a Milano nel 1889 e morto a S.Miniato (Pisa) nel 1966, fu uno dei piú notevoli pittori della cosiddetta ECOLE DE PARIS, che fiorí nel periodo tra le due guerre, e che ebbe come protagonisti anche gli italiani DE CHIRICO, SEVERINI, TOZZI, DE PISIS, CAMPIGLI, SAVINIO ecc..
Visse a Parigi in sodalizio con artisti come LEGER, PICABIA, METZINGER, LEBRUN. Rientrato in Italia nel dopoguerra, praticamente si ritiró (dal mercato e dalla pubblicità), nelle campagne pisane, continuando la sua intensa attività di pittore, di muralista, nonché di maestro di giovani e validissimi artisti.
Queste riflessioni del maestro A.L.Gajoni, che abbiamo il privilegio di pubblicare per la prima volta, sono un lavoro prodotto negli ultimi anni della sua vita. Racconta uno dei suoi alunni, Marcello Frosini, che in particolare Gajoni si sentiva di dire qualcosa di nuovo, di ancora non detto sulla volta della Sistina ed ha colto l’occasione per un escursus su tutta l’opera fino alla Pietà Rondanini.
Sono cose nuove che riguardano tutto il percorso Michelangiolesco. In particolare, per quanto riguarda la Pittura Murale, sono intuizioni sulla “Integrazione Plastica” che il Barocco riuscirà poi in parte a sviluppare e successivamente il Muralismo Messicano sperimento’ a livelli scientifici con la “Poliangolarità” (cioè con la composizione strutturata sui coni ottici dovuti al libero movimento dello spettatore nello spazio architettonico).
Questo scritto non è una cosa comune. Il maestro A.L.Gajoni ci teneva a scrivere queste riflessioni, e i suoi alunni toscani raccontano che ci ha lavorato moltissimo. Il testo manoscritto è datato 1964, ed è rimasto inedito, perchè non ebbe il tempo di pubblicarlo.
Questa che oggi pubblichiamo è la prima parte. Tra qualche giorno la seconda e ultima parte. Qualsiasi commento è benvenuto. Grazie
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ANTONIO LUIGI GAJONI
L’Arte di Michelangelo
Criteri e intendimenti
L’intento di questo studio su Michelangelo è porre in luce quelle parti della sua opera che caratterizzano la sua arte nei vari periodi della sua vita; ciò che ci interessa appunto è mettere in evidenza le ragioni della sua grandezza attraverso quello che ha scolpito e dipinto.
La caratteristica delle opere di Michelangelo è quella di inserirsi nell’ambiente come un elemento costitutivo e sostanziale dando allo spazio una dimensione non solo armonica ma anche animata di forme vive e reali.
E’ certo che Michelangelo per temperamento era portato alle proporzione normali. Le prime statue come Bacco, Cupido e la Pietà stessa, in San Pietro rientrano nella tendenza a fare statue di normale impostatura e che di grandioso hanno solo l’aspirazione segreta. Della suddetta pietà, per esempio, la figura del Cristo, a parte le geniali amplificazioni del grembo della Madonna, è di una verità normale, e risente di un gusto nordico, gotico, dei più nobili. Anche quelle dell’età matura come il David, l’Apollo, la Pietà del duomo di Firenze, la pietà Rondanini lo dicono.
Il suo Grande divenne bensì subito grandioso, ma non cadde mai nel colossale. Si ricordi la cupola di San Pietro che nella sua mole grandiosa conserva l’aspetto di un gioiello.
Per la tomba di Giulio II° Michelangelo era partito con un concetto massimamente ambizioso, saldo com’era nelle sue capacità realizzatrici,dopo le prove della Pietà di San Pietro e del David di Firenze. Garantiva al Papa con un superbo scritto che sarebbe stata la migliore del mondo. Nella sua fantasia vedeva certo una montagna di marmi ricoperta di figurazioni cesellate. Ma l’artista non aveva ancora finito di misurarsi con le proprie possibilità, non aveva ancora intuito il vuoto cubico ambientale come un elemento base della composizione classica figurativa.
Perciò se la tomba, realizzata nelle sue parti scultoree in cantiere fosse stata messa in opera al posto prescelto, al centro del coro, non sarebbe stata certo per la mole ad imporsi, se prendiamo come valide le proporzioni ambientali della “cattedrale di San Pietro” realizzata dal suo seguace Bernini, ma per la sublime bontà dell’opera nel suo aspetto di grandioso splendido gioiello.
2° – LA “BATTAGLIA di CASCINA”
Nel Cartone della “Battaglia di Cascina” Michelangelo aveva steso le figure a fregio come usavano i greci, cosicchè le figure avevano valore ciascuna per se stessa più che nell’insieme di cui facevano parte. Egli in questo cartone, come si può vedere dai pezzi o dalle copie dell’epoca, rientra nella concezione dell’aspetto normale delle figure.
Mentre Michelangelo disegnava il suo cartone Leonardo disegnava il cartone della “Battaglia di Anghiari”. Qui Leonardo aveva creato con figure di cavalli, uomini, armi, bandiere un groviglio vorticoso ma globale, organico, in cui le particolari figure avevano valore anche per il loro insieme e da questo acquistavano significato. Mai fino ad allora le parti ed il loro insieme avevano raggiunto tale equilibrio con tanta coscienza di questo risultato. Ma le figure del Buonarroti avevano un’altra plasticità, un’altra movenza e preannunziavano anch’esse nuovi sviluppi. Comunque le due opere, ciascuna a suo modo, furono determinanti per il futuro dell’arte.
3° – LA VOLTA DELLA SISTINA
Michelangelo dopo una breve permanenza a Bologna, andò a Roma. Qui dopo varie peripezie iniziò l’affresco della Cappella Sistina. La volta di questa cappella ha la forma di una botte e nei suoi posamenti è a lunette che sono sei per la lunghezza e due per la larghezza. Per prima cosa egli tracciò per il lungo le due parallele che dividono in tre parti la volta: sono le cimase dell’architettura disposta con le facciate a cortile allacciate da bande sul cielo. Nei peducci triangolari inserì gli stalli formati da pilastri in rilievo, per prospettiva, ottenendo uno spazio ridotto e limitato ove collocò le figure delle sibille e dei profeti.
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Nella prima metà dell’opera Michelangelo lavorò con simmetria tradizionale, preoccupato dell’ordine generale della composizione. Appunto quest’ordine,questa staticità, sono la caratteristica di questa parte. Qui sibille e profeti stanno a loro agio tutti ben composti nei limiti loro assegnati. Anche i “giovani” posti sui dadi stanno ben tranquilli e in armonica positura, con le gambe, il busto e le braccia in atteggiamento simmetrico. Sono figure modellate ampiamente a tutto tondo, isolate ognuna per proprio conto e come legate strettamente al loro posto. Nei riquadri le storie di Noè, del diluvio sono puramente d’ordine narrativo.
Tutta questa armonica proporzione torna a scapito della vitalità dell’opera e corre il rischio di comprometterne la monumentalità. Perciò Michelangelo ne tenta il recupero con la “Creazione di Eva”, “Il peccato originale” e la “Cacciata dal paradiso”.
Per questa prima metà rimangono fra i disegni del nostro alcuni abbozzi, schizzi per lo più, ove egli ha gettato le sue idee. Sono delle forme geometriche che ricordano schemi quattrocenteschi e che, per un certo sfarzo, preludano al maturo ‘500.
Quando alla fine furono tolti i ponti di questa prima metà si può ben comprendere che l’artista fosse in orgasmo (agitazione estrema, ansia incontenibile.N.d.R.). Sospettoso e fantasioso com’era dava più credito del necessario alle voci ventilate sulla velleità di Raffaello di condurre a termine l’altra metà della cappella. Michelangelo sapeva che la migliore qualità artistica di Raffaello era la composizione e forse temeva di avere dato qualche appiglio. La sua sospettosità lo spingeva a formulare l’idea che Bramante e Raffaello suggerissero a Papa Giulio di far dipingere a lui,scultore, la Sistina per metterlo in difficoltà. Ma queste supposizioni non potevano avere alcun fondamento veridico perché i due artisti capivano benissimo che gli ostacoli tecnici non potevano costituire una vera difficoltà per un par loro che li avrebbe facilmente superati. Il Bramante stesso, pur essendo architetto, aveva eseguito molti affreschi riuscendo egregiamente in quelle nuove opere.
L’orgasmo di Michelangelo era infondato, perché,come si sa, fu un vero trionfo. Il solo a non essere contento fu proprio lui. Ciò lo dimostra il fatto che rimessosi al lavoro si scatenò con tutta la sua potenza compositiva ed interpretativa lasciando da parte il tradizionale rispetto per l’architettura la quale gli era d’ostacolo.
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Così strappò sibille e profeti dai limiti degli stalli rubando ed invadendo spazi, urtando altri limiti. Ruppe tutte le simmetrie dei “giovani” rivolgendo una Sibilla la Libica e ponendola di spalle; poi rovescio’ indietro l’ampia figura del Profeta Giona compromettendo il sito di un pilastro e rivelando tutta l’impazienza per gli impacci dei limiti.
Ormai manda tutto con un rincorrersi di linee, di andamenti che le amalgama, unifica. L’architettura risulta quindi rigettata in un secondo piano, come una cosa venuta a noia, ma in realtà ne valorizzò il suo vero fine di sorreggere l’insieme dando (lo) appoggio alla composizione pittorica senza chiuderla in limiti precostituiti.
In tal modo Michelangelo operò un tal cambiamento nel concetto di pittura murale che fu una vera rivoluzione per sé e per quelli che lo seguirono.
La caratteristica tipica del suo genio sta dunque nella concezione della posizione che deve avere la figura umana nello spazio ambientale, con una proporzione non da subordinata ma addirittura da dominatrice. La figura primeggia e risalta nello spazio che la contiene imponendosi ed esprimendo una potenza fisica e morale inusitata, suggestiva fino ad incutere un imbarazzato disagio panico in chi la guarda. (….continua, seconda parte cliccare qui)
San Miniato (Pisa)
Antonio Luigi Gajoni 1964
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Estuve allí el pasado otoño – ¡Fantástico!