Ho realizzato un altro studio del viso di Lev Nikolàevič Tolstòj, immaginando un fondo freddo, nebbioso, nevoso, della grande Russia. Lavorando con colori chiari su fondo chiaro, che è sempre stato, per noi pittori, un tema o problema affascinante da risolvere. “Dipingere bianco su bianco” ritrovando le materie, gli spessori e i pesi visivi delle cose. E in più con questo volto espressivo e stravolto, di quest’uomo, che “di verità ne aveva scritte tante, ma non ne aveva trovata nessuna”. Il grande intelletuale dissidente, scomunicato, Lev Nikolàevič Tolstòj, che sempre avrà da insegnare qualcosa agli esseri umani, soprattutto in momenti critici, come quelli che viviamo oggi.
LEV TOLSTOJ E LA VITA VERA
di Lorenzo Vitelli
“Come tutto è quieto, calmo e solenne, affatto diverso da quando correvo […] da quando correvamo gridando e ci battevamo! […] In modo diverso strisciano le nuvole su questo cielo alto, infinito. Come mai prima questo cielo alto non lo vedevo? E come sono felice di averlo finalmente conosciuto! Sì! Tutto è vuoto, tutto è inganno tranne questo cielo infinito. Nulla, nulla esiste, tranne questo. Ma anche questo non esiste, non c’è più nulla, fuorché il silenzio e la quiete.” (Guerra e Pace)
1910, ottobre. Il treno di terza classe sfonda i cieli russi, grigi e densi. Un vecchio con la barba incolta tossisce raucamente e, seduto nella cabina, ripensa a qualche passo di Dostoevskij. Poi ecco la stazione, l’ultima stazione: Astapovo. Gli occhi accessi, sotto i segni del tempo, sembrano ancora quegli occhi verdi e chiari di quando aveva diciotto anni, di quando passava le notti a bere e a parlare di frivolezze con chi non avrebbe mai potuto capire i suoi dubbi. Lev Tolstoj si spense il 7 novembre del 1910, accerchiato dalla calca che voleva godersi l’ultimo respiro di un uomo libero.
Scrittore, letterato, pedagogo, filosofo, attivista, nacque nel 1829, a Jasanja Poljana, un paesino poco più a sud di Mosca, da una nobile famiglia delle prime aristocrazie russe.
Il palazzo bianco, dote della madre, si stagliava nei verdi della natura umida e nei grigi nuvolosi. Le finestre erano celeste acqua. L’infanzia di Tolstoj, descritta nel primo ed omonimo romanzo, fu un susseguirsi di piccole emozioni nella vecchia casa, in un’età innocente e spensierata, anche se la madre, Marja Nikolàevna Volkonskaja, morì nel 1830: “Non la ricordo proprio. E’ strano, ma di lei non è rimasto nessun ritratto, sicché non posso immaginarla come un essere reale, fisico. In un certo senso sono contento, perché quando provo a raffigurarmela ho solamente il suo volto morale, e tutto quello che conosco di lei è bellissimo.” (Ricordi 1903).
L’adolescenza invece fu piena di esperienze, ma anche di tragici sconforti. Tolstoj ebbe un rapporto particolari con gli studi, e si iscrisse alla facoltà di filosofia. Dopo scarsi risultati passò a legge, anche lì con molte difficoltà, tanto da abbandonare definitivamente l’università, qualche anno dopo, nel 1847. Intanto la passione per i grandi autori, quali Rousseau e Gogol, la coltivava separatamente. Jean-Jacques Rousseau, il filosofo ginevrino, esercitò su di lui un’influenza importantissima, tanto che decise di trasferirsi, dopo il suo soggiorno a Kazan, a Jasnaja Poljana, per prendersi cura della tenuta e rendersi finalmente utile. La vita a Kazan, prima del ritiro fu disordinata ed impetuosa, tra spettacoli e feste altolocate, e nel suo Diario egli la descrive così: “Poi quei venti anni orribili di grossolana depravazione al servizio dell’orgoglio, della vanità e soprattutto del vizio.”
Ma il soggiorno in campagna non fu certo da meno, e mentre aiutava i contadini nelle faccende agricole e provvedeva alla sua formazione intellettuale, rimase sempre esistenzialmente tormentato. Viveva – scrive nel suo Diario – “senza scopo alcuno”. La vita e il futuro rimangono per lui un grande punto interrogativo. Da Jasnaja allora, cominciò a muoversi verso Mosca e San Pietroburgo, dove frequentò salotti, balli, e perse ingenti somme al gioco d’azzrdo. Tolstoj in questo senso fu molto controverso. Di Rousseau aveva compreso profondamente le critiche rivolte alla società civile, all’uomo sociale dei costumi e delle mode. E ancora di più aveva inglobato l’importanza della natura come culla di ingenuità ed innocenza. Ma arrivato a Mosca, annota sempre nel suo taccuino, questi sono gli obbiettivi “1)giocare; 2)sposarmi; 3)ottenere un impiego”. Dopo aver giocato e perso, passando le notti a fare baldoria tra quelle maschere della civilizzazione che il filosofo ginevrino aveva demistificato così abilmente, partì per il Caucaso dove prestava servizio il fratello Nikolaj. Sottotenente d’artiglieria passò la vita tra i Cosacchi caucasiani, in un ambiente militare ozioso, rissaiolo, vizioso ma sempre romantico, immerso nei freddi siberiani. Tuttavia la vita da militare per il giovane Tolsotj, più che un impegno civile, fu una curiosità turistica ed insieme estetica: “fascino del pericolo”. In questi anni di guerra, dopo quella di Crimea sopratutto, il nobile russo completa una serie di romanzi che sconvolsero completamente l’opinione pubblica, descrivendo con minuziosa verosimiglianza crude scene di violenza. Nessun filtro di orgoglio sentimentale né di romanticismo guerriero. Intanto i contrasti e i conflitti verranno osservati attraverso una lente morale che finirà per avere conclusioni negativa sul ruolo della guerra, sicché Tolstoj giungerà ad una nuova concezione della vita, ad una conversione spirituale verso il pacifismo.
Tornato dalla guerra, dopo aver completato i primi romanzi, intrisi di un perfetto realismo e di una forte introspezione dei personaggi, Tolstoj negli anni 60′ dell’Ottocento viaggiò per l’Europa, dove conobbe l’anarchico Proudhon, Dickens, e lo scrittore russo Herzen. Si creò così in lui una profonda sensibilità per le miserie sociali e per le condizioni di vita dei contadini che poté constatare nei suoi viaggi. Cominciò a fare il giudice di pace, ed aprì una scuola a Jasnaja Poljana, dove istruì i figli dei braccianti. Tolstoj rimase sempre più affascinato dalla vita semplice, a stretto contatto con la natura, e disprezzò gli abusi di potere, la pena di morte, le ingiustizie sociali. Ma una personalità turbolenta come la sua, non riuscì a sopportare pienamente la vita del contadino, tanto che si sentì insoddisfatto della sua esistenza, delle sue opere, di sé stesso.
Nel 1862 si sposò con Sofia Andreevna, la figlia di un medico, dalla quale ebbe tredici figli. E un anno più tardi iniziò a scrivere Guerra e Pace, scritto di maggior successo insieme ad Anna Karenina. Entrambi i romanzi, molto crudi, comportarono critiche fondamentali ai valori tradizionali della società russa, e Anna Karenina fu un primo accenno di romanzo psicologico.
Gli anni 80′ furono per Tolsotj anni di crisi spirituale, sicché si convertì pienamente al Cristianesimo e ai vangeli, avvicinandosi inizialmente alla Chiesa ortodossa russa. Il Discorso della Montagna, pronunciato, secondo il Nuovo Testamento, da Gesù Cristo, divenne uno dei cardini del pensiero di Lev Tolstoj, ma si lasciò ugualmente trasportare dalle filosofie orientali, sempre in cerca di risposte esistenziali. Divenne poi vegetariano, ed è proprio in questi anni che gli ideali pacifisti del russo esplosero in un fervente impulso creativo, quell’impulso che lo rendese uno dei modelli più importanti di tutti i movimenti pacifisti del XX secolo. Egli infatti si impegnò socialmente per l’istruzione del popolo russo, pubblicando libri a prezzi stracciati, senza i diritti d’autore, e fece usò dell’arte come mezzo di espressione e manifestazione di valori morali. Incentivò la vita sana, in sintonia con la natura, come ambiente atto e propenso al bene. Si attivò pubblicamente contro le persecuzione delle minoranze religiose e criticò i poteri statali, accusando la falsa morale nobile e borghese. In Resurrezione criticò il sistema carcerario, l’ingiustizia del sistema giudiziario e burocratico. Negli ultimi decenni dell’Ottocento, i più fidati visitatori di Tolstoj – tra i quali Certkov – diedero vita al tolstoismo, un movimento culturale ispirato alla morale dello scrittore russo, dal quale però Tolstoj si distaccò sempre. Per le loro idee anarchiche e cristiane, questi attivisti furono perseguitati dal regime zarista, mentre il Santo Sinodo, che non poteva permettere l’accostamento della morale cristiana con l’anarchismo, decise di scomunicare e isolare il maestro in un monastero. Ma la sua enorme fama aveva raggiunto tutti gli strati sociali del popolo russo, sicché anche gli alti vertici della politica avevano paura che la sua eliminazione potesse scaturire una rivolta popolare.
Tolstoj, anche in età senile, non venne meno al suo impegno, e si oppose fermamente alla guerra russo-giapponese, continuando a scrivere articoli e saggi contro il suicidio, contro la violenza, proponendo nuove vie pacifiche e migliori organizzazioni sociali – tra le quali l’abolizione della proprietà privata della terra – che potessero salvaguardare il ruolo della vita tranquilla e rurale come fonte di benessere e giustizia.
Poco prima di morire ebbe un confronto epistolare con l’allora giovane Gandhi, che più tardi scrisse di lui:
“Quarant’anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio è dentro di noi , e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell’ahimsā . Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità. Fu l’uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l’aveva trovata. […] Fu il più grande apostolo della non-violenza che l’epoca attuale abbia dato.”
Ma Tolstoj, dalla personalità controversa e paradossale, prima dubbiosa, poi certa, tormentata, poi quieta, non poteva resistere a lungo in quella casa di Jasnaja Poljana, dove litigava spesso con una moglie oppressiva, e con i figli, e all’età di ottant’anni decise di partire per un viaggio che voleva fare da tempo, decise di abbandonare tutto per Cristo, andando lontano, in cerca di un’altra vita. Tuttavia questa lo fermò prima, a quell’ultima stazione di Astapovo, dove una folla piangente, venuta da tutti i confini della grande Russia, si apprestava a dare l’ultimo saluto a quel vecchio con gli occhi di una ragazzino, che di verità ne aveva scritte tante, ma non ne aveva trovata ancora nessuna.
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