All’inizio del 1979 trionfó la Rivoluzione in Iran e siccome da Parigi l’Ayatollah Khomeyni promise autonomía e autodeterminazione alle minoranze etniche che avessero liberato il loro territorio dalla monarchia di Reza Pahlevi decidemmo di intraprendere un avventuroso viaggio di conoscenza del Kurdistan iraniano autónomo e autodeterminato.
La decisione sorse nel Circolo Cooperativa di Santo Stefano (Varese- Italia), tra un bicchiere e l’altro, tra compagni di lotta del Circolo Giovanile e adesso, dopo quasi mezzo secolo, cercheró di ricordare l’evento su richiesta di alcuni amici giornalisti di Sulaymaniyah nel Kurdistan meridionale e del compagno Ardawan Ali, con il quale teniamo una amicizia su Facebook da vari anni.
Decidemmo di partire con le nostre due vecchie FIAT 127 con circa, ciascuna, 130 mila chilometri vissuti. Eravamo in 7, in modo da lasciare sempre un sedile posteriore per dormire a turno (4+3). Erano due macchine uguali per via dei ricambi e l’unica piccola modificazione fu di rafforzare gli ammortizzatori.
Nel Luglio del 1979 percorremmo circa 6 mila chilometri in un mese, senza nessun problema meccanico particolare, a parte varie forature di pneumatici: Italia, Yugoslavia, Bulgaria, Grecia, Turchia, Iran.
Nella frontiera nord Turchia/Iran (Gurbulak – Bazargan) inventammo la idea del turismo artístico/archeologico a Teheran e ci vollero varie ore per convincere i doganieri rivoluzionari che, alla fine, ci diedero un permesso di una diecina di giorni con ritorno dalla stessa dogana ….(cosa che, come vedremo, non successe mai).
Dalla frontera in avanti, ogni cittadina era governata da una organizzazione político-militare differente: Fedayyin del Popolo, Mujaheddin Islamici, Pasdaran ecc. e i giovanissimi guerriglieri seriosi e nervosi dei molti posti di blocco ci puntavano il Kalashnikov nel naso.
A Tabriz pernottammo, gratis, como unici ospiti, in un inmenso e devastato centro turístico 5 stelle tipo Disneyland Resort. Poi, invece di proseguiré verso oriente, da Tabriz girammo verso sud, convinti di trovare prima o poi qualche segnale che ci indicasse la regione libera del Kurdistan.
Effettivamente, dopo circa 80 chilometri, in mezzo al deserto, in una larga curva tra due colline, nel centro della strada incontrammo una bandierina rossa e ovviamente ci fermammo. Era un posto di blocco peró con tre guerriglieri di mezza etá piuttosto tranquilli e con il Kalashnikov sulla spalla. Uno di loro parlava inglese e con il nostro único traduttore in inglese cercammo di stabilire una certa comunicazione. Ci dissero che li finiva l’Iran e iniziava la Repubblica Democrática del Kurdistan……e che pertanto dovevamo voltare le macchine e tornare indietro.
Ci volle abastanza tempo per spiegare loro, molto scettici, che proprio per conoscere il Kurdistan autónomo eravamo arrivati fin lí. Alla fine riuscimmo a convincerli e allora inizió una grande festa.
Dalle due colline scesero una cinquantina di guerriglieri festeggianti. Scoprimmo solo allora che stavano tutti nascosti puntandoci con delle grosse mitragliatrici. Furono baci e abbracci: noi 7 italiani assaporammo il dolce sapore di un ricevimento trionfale.
Con le nostre due vecchie FIAT 127 fummo scortati in carovana fino allá cittá di Mahabad e lí ci rimanemmo una diecina di giorni, coccolati e circondati da una grande fratellanza e rispetto.
Eravamo ospiti delle Istituzioni Rivoluzionarie del Kurdistan indipendente e del PDK (Partito Democrático del Kurdistan). Ogni giorno ci portavano in visita a situazioni sociali o culturali (cooperative agrícole, la diga, Universitá ecc.) e incontri con le autoritá politiche e religiose. Sperimentammo davvero un mondo di libertá, di Socialismo, di fratellanza, uguaglianza e felicitá, con emozioni forti che non scordammo mai, ed ancora oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, scrivendo queste note, riaffiorano come se il tempo si fosse fermato.
Alla fine ci accompagnarono in visita al Lago di Urmia e successivamente alla frontiera con la Turchia.
La frontiera di Esendere era chiusa, praticamente distrutta dai combattimenti della Rivoluzione e in mano dei guerriglieri del PDK.
Aspettammo qualche ora in una casa di sicurezza con vista sulla frontiera, sorseggiando il delizioso e rinfrescante té nero, con le tradizionali tortille giganti, miele, mozzarelle di bufala e yogurt. Al momento opportuno ci accompagnarono giú, in basso, al portone della frontiera, aprirono il lucchetto e passammo i 200 metri di terra di nessuno fino allá dogana della Turchia. Nei nostri passaporti non resulta che uscimmo mai dall’Iran.
Ad ogni posto di blocco i poliziotti della Turchia ci allertavano della presenza di banditi pericolosi sulle strade e della necessitá di non fermarsi mai fino allá successiva cittá.
In realtá ci fermammo molte volte per conoscere i “banditi” che erano i nostri fratelli del Kurdistan occupato dalla Turchia e, in particolare fummo ospitati con incredibile fratellanza e familiaritá nel villaggio di Mutluka Koy, a una trentina di chilometri da Hakkari, nella frontera con il Kurdistan dell’Iraq.
In questo villaggio ci ritornammo l’anno seguente, in Luglio 1980, con le nostre solite due vecchie FIAT 127 piene di medicinali, giocattoli per i bambini, vestiti e cose varie, che avevamo raccolto durante le molte iniziative promosse dal nostro nuevo COMITATO KURDISTAN che creammo al nostro rientro in Italia.
Triste nota finale: poco dopo il nostro rientro in Italia arrivó la trágica notizia dell’assalto delle truppe di Khomeyni al Kurdistan Democrático…tradendo tutte le promesse di autonomía e autodeterminazione declamate dallo stesso ayatollah Khomeynī a Parigi. La cittá di Mahabad pare che sia stata messa a ferro e fuoco e dei nostri amici non sapemmo più nulla.
La nostra spedizione del successivo 1980, come dicenmmo, fu positiva fino al villaggio di Mutluka Koy, peró alla frontiera di Esendere i doganieri della Repubblica Islamica dell’Iran di Komeini non ci lasciarono entrare.