Tra tutte le 6 pitture murali che compongono il Ciclo Pittorico-Monumentale nella chiesa di San Giovanni a Rocchetta Sant’Antonio, la prima sulla destra, entrando, mi pare essere la piú interessante per vari motivi ed in primis, per quall’atmosfera di ri-inizio, di ri-apertura, di ri-nascita, di neo-arcaico, di ossigenico che forse sono riuscito a creare.
Dopo le riflessioni sulle prime tre pitture murali corrispondenti al lato sinistro della navata unica della chiesa di San Giovanni osserviamo ora tra le pitture murali sulla destra della navata, questa del SAN GIOVANNI E IL BATTESIMO DI GESÚ.
SAN GIOVANNI E IL BATTESIMO DI GESÚ
Questo San Giovanni Battista é chiaramente ispirato ad una delle piitture murali che piú mi hanno emozionato nel trascorrere dellla mia vita professionale: il Battesimo di Cristo di Masolino da Panicale a Castiglione Olona-Varese.
Mi ha sempre impressionato tutto di questo affresco, ma soprattutto quel fiume Giordano azzurro luminoso, misterioso e magico, tra il turchese, ceruleo, forse azzurrite, che ricorda l’azzurro maya del centroamerica (nelle foto qui riprodotte i colori sono disastrosi, come quasi sempre succede con le fotocolor d’arte, e per questo motivo gli archivi fotografici seri, come per esempio quello di Federico Zeri hanno le foto in bianconero).
Anche Giotto e Beato Angelico e tutti i “Battesimi” del ‘300 e ‘400 (che sono il periodo piú alto della Storia dell’Arte italiana ed europea) sono commoventi, e non solo per l’azzurrite o il contrasto con l’oltremare appena scoperto, ma anche per il loro carattere fresco, vivo, luminoso, primigenio, di un nuovo inizio…per quello che la filosofa messicana Katya Mandoki definisce “EL INDISPENSABLE EXCESO DE LA ESTÉTICA” (l’indispensabile eccesso dell’estetica) che é emozione, sensualitá ed allegria per la vita……che é quello che vorremmo ricreare oggi, in questa epoca opaca e oscura che ci tocca vivere.
Il San Giovanni Battista era un predicatore ebreo che visse nel deserto vicino al fiume Giordano, conducendo una vita di penitenza e di preghiera. “Giovanni portava un vestito di peli di dromedario e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico” (Vangelo secondo Marco 1, 6). Nei Vangeli è definito “voce di uno che grida nel deserto”.
Questa vita da eremita, dedicata alla solitudine e alla meditazione nel deserto mi ha ricordato il Sant’Antonio Abate che avevo dipinto nel pannello di fronte, sulla sinistra dell’entrata.
Ho rivisto lo studio sul Sant’Antonio Abate della Chiesa Madre di Rocchetta che avevo fatto da poco e l’ho modificato leggermente per caratterizzare il San Giovanni, come uomo dalla intensa spitritualitá e ovviamente magrissimo, logoro e consunto, mentre Gesú é rappresentato trentenne all’inizio della sua vita pubblica, dopo gli anni di adolescenza e giovinezza trascorsi a Nazaret.

Nella iconografia tradizionale vengono spesso rappresentati tre angeli “per sottolineare la valenza trinitaria del battesimo” ma anche simboleggiando le virtù teologali, la pace e la concordia. Attualizzando questo tema iconografico abbiamo pensato che i migliori rappresentanti delle “virtù teologali, la pace e la concordia” del giorno d’oggi in qualitá di angioletti non potevano che essere tre bambini di diverse nazionalitá, a sottolineare i maltrattamenti, gli abusi e le violenze all’infanzia nell’ opprimente, pesante e soffocante mondo attuale.
“...Ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui (Mt 3, 16)”…é l’inizio della missione pubblica di Gesù, con la manifestazione della Trinità attraverso lo Spirito Santo che scende su di lui.
La rappresentazione luminosa di Gesú e Giovanni si staglia sulla luminositá del cielo “squarciato” per la discesa della colomba: é una scena di luce in controluce che sono riuscito a realizzare approfittando della linea obliqua strutturale sul fondo, come una lacerazione chirurgica netta e decisa che divide la serenitá metafisica del cielo azzurro, la pace, l’armonia e l’equilibrio dall’agitazione, inquietudine e ansia delle nuvole scure all’orizzonte.
Risulta molto interessante la riflessione dello storico dell’Arte Gianfranco Piemontese che rimanda questa opera alla pittura italiana del novecento (forse comparando il contesto sociale in rapida trasformazione di allora con questo nostro periodo incerto e conflittivo), che propugnava iconografie di grande potenza espressiva, solenni e monumentali, superando le rotture avanguardiste e ricucendo le nostre ricerche al grande ‘400 italiano con il suo forte impegno umanista, morale e sociale.
Molto probabilmente questa giusta percezione del Piemontese é anche scaturita dal tono madreperlaceo generale che ho voluto dare a questa opera, con toni che includono una vasta gamma di colori bianchi con riflessi argentati o rosati o grigi, blu, verdacci e neri anche puri e che, se ci fossero state possibilitá di tempo avremmo magari fatto uso anche di pigmenti metallici come oro, argento o bronzo.
La madreperla è considerata una pietra che promuove l’equilibrio emotivo, la serenità e la pace interiore e filosoficamente puó simboleggiare anche la crescita spirituale e la resilienza di fronte alle difficoltà.
In questo senso, chissá sarebbe bello che questa opera diventasse nella percezione dei visitanti, come una rappresentazione della anelata pace, fratellanza e concordia tra i popoli, per superare questa ondata vioplenta e guerrafondaia che ci sta atrofizzando i cuori e le menti.


