Piazza di Porta Romana a Firenze non è solo uno snodo cittadino assai trafficato, ma ha un suo fascino particolare grazie alla stratificazione di varie opere e alla ricchezza di sbocchi e aperture tutte da scoprire.
Situata all’estremità sud della città, dalla piazza si diramano varie direttrici; da un lato, sul versante sud-est, due grandi viali alberati, il primo è il cosiddetto Viale dei Colli, realizzato durante la grande rivoluzione urbanistica ottocentesca a firma dell’architetto Giuseppe Poggi.
Il viale, che si distende per curve sinuose nel verde dei colli prospicienti alla città, collega la parte est alla parte ovest della città, e al suo vertice troviamo il famoso Piazzale Michelangelo, che offre una delle viste più ‘mozzafiato’ dell’intera città. All’ingresso del viale due sculture ignee in stile neo-rinascimentale che rappresentano da un lato il Marzocco (il leone simbolo della repubblica fiorentina), dall’altro la lupa capitolina, emblema dell’Italia riunificata.
Fra il Viale dei Colli e la via Senese, antica via di collegamento della città col sud della regione, si apre il Viale di Poggio Imperiale, che porta alla cinquecentesca Villa del Poggio, ampliata nei secoli successivi fino alla veste attuale che testimonia dell’ultima ristrutturazione in stile neoclassico, già dimora di Paolina Bonaparte.
A sorvegliare l’inizio della strada, le sculture di due leoni in stile neo-egizio, anch’esse di origine ottocentesca.
Alla destra del Viale dei Colli, una cancellata in ferro che porta a un parco, oltre il quale sorge la costruzione ottocentesca che ancora, come in origine, ospita la prima scuola tecnico-artistica di impronta moderna: L’Istituto Statale d’Arte, oggi liceo artistico.
Il piazzale, denominato Giardino delle Scuderie giacchè ospitava le scuderie militari della nuova capitale del regno, confina a destra con la parte a sud del cinquecentesco giardino di Boboli.
Al centro della Piazza di Porta Romana, all’interno della rotonda dello svincolo urbano, una statua bizzarra, che da un lato è rivolta a sud, dall’altro sembra orientarsi verso il centro della città.
Si tratta di ‘Dietro-front’ dell’artista contemporaneo Michelangelo Pistoletto, uno dei maggiori esponenti del movimento dell’Arte Povera, scultura acquistata in occasione grande mostra personale dell’artista a Forte Belvedere nel 1984.
La porta trecentesca è la più tarda nella terza e più recente delle cinte murarie. L’arco centrale nel lato interno presenta un affresco cinquecentesco opera del pittore Francabigio, la ‘Madonna con Bambino e quattro Santi’.
Una volta oltrepassata la porta, all’interno della città, si apre un piccolo spazio denominato Piazza della Calza, dal quale convergono le due lunghe strade di Via Romana (dove troviamo uno degli ingressi di Boboli e l’antico Museo di Storia naturale della Specola) e Via dè Serragli, dove si apre il più grande giardino privato d’Europa, progettato nella metà dell’800 secondo una simbologia massonica dalla famiglia nobile Torrigiani.
Ma se ho fatto tutto questo panegirico non è per magnificare una delle tante piazze, nemmeno poi così bella, della mia città, quanto per approdare ad un’opera pittorica che per quel luogo è stata realizzata, all’inizio degli anni ’50 da un pittore quasi sconosciuto, Mario Romoli, e che nel settembre di quest’anno ha visto inaugurare un museo a lui dedicato nel suo paese natale, La Rufina, a poche decine di chilometri da Firenze.
Riporto alcune note del curatore, il figlio Marco:
“Romoli è stato un artista scomodo, un personaggio ferocemente intransigente e polemico, severo nei confronti di molti critici e avverso alle leggi che sempre più dominano il mercato dell’arte..
Romoli ha preso parte attivamente anche alla vita artistica e culturale di Firenze, soprattutto in due momenti. Il primo quando ideò e realizzò, insieme ad altri due artisti e con l’adesione di Annigoni, l’occupazione della Torre di Palazzo Vecchio per ostacolare la progettata esportazione di importantissimi quadri degli Uffizi per un’esposizione negli Stati Uniti, in un pericoloso momento di aspre tensioni internazionali. La protesta ebbe successo e le opere non partirono.
Qualche anno più tardi fu costituita la cooperativa Torre d’Arnolfo che riuniva artisti con l’idea di realizzare a Firenze un museo per le arti contemporanee.
E’ di questo periodo il suo avventuroso viaggio in Costa Azzurra per conoscere
Picasso, e ottenere un’opera come dono per un’asta, per contribuire a finanziare l’opera”.
L’affresco del palazzo di Piazza della Calza va a sostituirne uno di origine seicentesca, deterioratosi completamente col tempo.
Per la sua esecuzione fu bandito nel 1953 un concorso dall’allora sindaco Piero Bargellini, insigne storico, che fu vinto dal Romoli.
Lo stile dell’affresco ricorda la rigida maniera di un Max Beckmann, come anche certe soluzioni di Sironi e altri pittori degli anni ’30, confesso che a me fa tornare in mente il quadro ‘Au Rendez-vous des amis, di Max Ernst, 1922, che ritrae la compagnia dei surrealisti, chissà che il pittore non ne abbia preso, lontanamente, spunto…
L’affresco, intitolato ‘La vita a Firenze’, voleva sintetizzare – come prescindeva il bando – la vita artistica di Firenze attraverso i secoli.
La soluzione formale adottata dal Romoli sfrutta l’accidente’ della presenza di una finestra al centro della parete, andando a dividere in due aree distinte la superficie.
A destra troviamo ritratti di personaggi del tardo medioevo-rinascimento: Dante, Giotto, Masaccio, Leonardo, Lorenzo il Magnifico ed altri.
Nell’altra metà sono ritratti gli artisti più insigni della Firenze moderna, secondo l’interpretazione del Romoli stesso, quindi troveremo Rosai, Papini, Primo Conti e l’artista stesso.
Sopra la piccola finestra quadrata due figure femminili, sedute, si fronteggiano: probabilmente una nobildonna fiorentina, o forse una Madonna, ed una sorta di suo alter ego moderno.
Si dice che in un angolo, utilizzando una fessura nel muro, sia stato collocato un barattolo con articoli di giornali e foto, quale messaggio dei fiorentini del futuro.
A dire il vero io non sono mai riuscito a trovarne traccia.
Per la descrizione dell’affresco riporto un brano tratto dal volume ‘Guida alla scoperta delle opere d’arte del ‘900 a Firenze’ Leo S. Olschki editore, Firenze, 1996:
“Il pittore ha voluto dare all’opera un aspetto popolaresco perchè fosse comprensibile a tutti e nello stesso tempo assicurare una forte visibilità delle fisionomie, per questo ha calcato sui contorni e geometrizzato i personaggi, fino a renderli un pò troppo rigidi. Risulta comunque la capacità compositivo-narrativa e il gusto acceso e vigoroso del colore che mettono in luce un talento chiaro, razionale e quasi scientifico, secondo la buona tradizione toscana.”
this painting is so good.and i like any more
Dimenticavo un dettaglio:
nel riquadro centrale superiore dell’affresco – quello con le due figure femminili – è dipinto il segno (che non si distingue dalle foto) IHS, il cosiddetto ‘cristogramma’.
Il significato allude al nome di Gesù, ΙΗΣΟΥΣ, in greco antico (Lesous).
IHS indica anche la frase attribuita all’imperatore Costantino nella vittoria contro Massenzio, alludendo al segno della croce: “In Hoc Signo (vinces)” – “con questo segno vincerai”.
grazie per l’importante e attento articolo. Rilevo solo poche piccole inesattezze: M.R. è nato a Firenze e non a Rufina. La bottiglia col messaggio si trova murata dietro l’affresco, dunque non visibile; le due figure al di sopra dela finestra sono la Madonna e il protettore di Firenze San Giovanni Battista. Comunque mi piacerebbe poterla guidare alla isita del museo a Rufina e volentieri l’accompagnerei.
Il mio telefono 339 4173319
grazie e cordiali saluti
Mi scusi Marco vedo solo adesso la sua cortese replica…
La ringrazio molto per le sue precisazioni, so bene che non bisogna fidarsi troppo di quel che si trova su internet, ed ho cercato per quanto mi fosse possibile di fare comparazioni e cercare le fonti.
A presto!
Il ragazzo o uomo in ginocchio con il cappello da muratore è mio zio Vittorio, gemello di mio babbo, così mi hanno sempre raccontato la storia, era lì a lavorare e lo hanno inserito nell’opera