Nel 1988 ho disegnato i bozzetti sul tema della CROCIFISSIONE per un affresco nella chiesa parrocchiale di San Martino al Tagliamento, in Friuli. Basandomi su di una composizione che consideravo particolarmente interessante, da allora questi bozzetti li ho ripresi in varie opportunità e nel corso degli anni ho realizzato tutta una serie di lavori con lo scopo di approfondire la ricerca sul colore, sulla forma, sullo spazio ecc.
In questa opportunità presento la sequenza (al rovescio) di quasi tutte queste opere a partire dall’ultimo dipinto del 2010 fino al primo bozzetto del 1988 . Intervallate da varie riflessioni sul medesimo tema della CROCIFISSIONE.
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Da “La pena della croce” di Massimo Biondi
“La pena della crocifissione era diffusa presso molte popolazioni antiche, come gli Assiri e i Persiani, gli Indiani, gli Sciiti, ed è stata portata in occidente da Alessandro Magno. Il primo vero «successo» l’ha conosciuto soprattutto presso i Cartaginesi, ma furono forse i Romani il popolo che ne fece il ricorso più frequente e spietato: in seguito alla rivolta di Spartaco, nel 71 a.C., oltre seimila ribelli furono giustiziati in quel modo.
La crocifissione per legge era riservata agli schiavi, ai prigionieri di guerra e ai rivoltosi, e in quell’occasione fu esercitata con fredda efficienza su tutti coloro che si erano ribellati al potere centrale: chiunque viaggiasse tra Capua e Roma poté vedere per giorni, ai lati della strada, i corpi rimasti sulle croci che venivano straziati dagli animali predatori e dalla forza degli agenti atmosferici.
Ma faceva parte della pena che il cadavere non trovasse sepoltura ancora intatto e fosse esposto allo sguardo dei passanti, in segno di disprezzo per i morti ma anche di monito per i vivi.
Nel 4 a.C. venne sconfitta una insurrezione giudaica che predicavano il rifiuto del tributo a Roma: duemila ribelli furono catturati, flagellati e crocifissi.
L’imperatore Tito, nel 71 d.C., concluso con successo l’assedio di Gerusalemme, fece crocifiggere fuori della città gli sconfitti al tasso di 500 al giorno, fintanto che non ci fu più posto ove piantare le croci (o almeno così la racconta lo storico ebreo Giuseppe Flavio).
Soltanto con Costantino, nel 341 d.C., la crocifissione venne ufficialmente abolita dal novero delle condanne a morte, anche se già da tempo vi si faceva ricorso assai di rado. E ciò malgrado la storia di questa infamante pena capitale non giunse a termine. Casi di giustiziati sulla croce si ritrovano nelle cronache di vari secoli successivi. Tra gli altri, sono ben documentati i casi di un giovane turco che subì questo martirio nel 1247 a Damasco e quelli di alcuni gesuiti e altri religiosi giapponesi ed europei che a motivo della loro fede vennero crocifissi a Nagasaki il 5 febbraio del 1597.
Nel 1824 il capitano inglese Clipperton vide in Sudan un uomo agonizzare per tre giorni sulla croce e da un autore posteriore è stato riferito che il reverendo McElders, anch’egli inglese, avrebbe constatato intorno alla metà dell’Ottocento che questo tipo di condanna a morte veniva comminato con una certa frequenza nel Madagascar.
Ci sono testimonianze secondo le quali anche nei campi di prigionia austroungarici, nel corso della prima guerra mondiale, si praticava la crocifissione e almeno un testimone oculare ha parlato di atti simili compiuti dai nazisti nel campo di concentramento di Dachau durante la seconda guerra mondiale.
Ovunque e da chiunque – compresi coloro i quali la infliggevano – questa forma di pena capitale è stata giudicata come la più crudele, la più infamante, la più disumana. Consisteva nel dare la morte con lentezza allo scopo di aumentare e portare a un limite insopportabile la sofferenza del condannato. Il corpo di quest’ultimo si sfigurava orribilmente e non è un caso che i giustiziati, con una scritta che denotava il loro crimine, venissero lasciati per giorni sulla croce esposti allo sguardo dei passanti: la vista di uno spettacolo tanto drammatico era considerata il deterrente migliore contro chi avesse la tentazione di commettere lo stesso reato che già aveva prodotto una morte simile”.
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Da “La Crocifissione” di Giuseppe RICCIOTTI
“Roma ebbe sempre della crocifissione un vero spavento: è il meno che si possa dire, anche restringendosi alle frasi impiegate da Cicerone quando accenna ad essa nei suoi discorsi contro Verre (specialmente in II, 5, 62-67) e la chiama ora “supplizio il più crudele e il più tetro“, ora “estremo e sommo supplizio della schiavitù“, o in altre maniere somiglianti. Era infatti la pena riservata ordinariamente agli schiavi, e solo per delitti assai gravi…….Nessun cittadino romano poteva essere legalmente crocifisso secondo l’opinione di Cicerone, il quale esclama inorridito: “Che un cittadino romano sia legato, è un misfatto; che sia percosso è un delitto; che sia ucciso, è quasi un parricidio; che dirò, dunque, se è appeso in croce? A cosa tanto nefanda non si può dare in nessun modo un appellativo sufficientemente degno!” («In Verrem», II, 5, 66).
……..Avvenuta poi la morte, nei tempi più antichi il cadavere rimaneva ancora sulla croce fino alla decomposizione, e fino al totale scempio che ne facevano i cani saltando dal basso e gli uccelli calando dall’alto, invece, dai tempi circa d’Augusto (63 a.C.-14 d.C.), si concedeva ordinariamente il cadavere ad amici o parenti che l’avessero richiesto alle autorità per seppellirlo”.
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Da “La Crocifissione” di Claudia Rapetti
“Nei primi secoli parlare di questo tipo di morte era disonorevole e vergognoso. Per tale motivo i cristiani, iniziarono a utilizzare dei simboli: l’àncora, l’agnello, il sacrificio di Isacco…
Quando nel IV secolo la religione cristiana diventa religione dell’impero, viene rappresentata la croce gloriosa ornata di pietre preziose. Essa inoltre veniva cucita e dipinta su stendardi, labari, scudi a mo’ di protezione delle armate e delle città.
Dal V sec. troviamo le prime raffigurazioni di Gesù sulla Croce (Basilica di Santa Sabina in Roma).
Rappresentare Gesù in croce voleva affermare che anche se era Figlio di Dio egli aveva realmente sofferto la Passione (alcuni eretici, infatti, affermavano in quel periodo che egli non fosse realmente uomo).
Abbiamo dapprima il Cristo in croce, ritto, vestito di un lungo colobium (tunica manicata), con gli occhi aperti simbolo della non corruzione della morte chiamato Christus triumphans.
Solo dopo il 1000 Gesù viene rappresentato con il corpo incurvato e nudo e con gli occhi chiusi. La curvatura del corpo spostato tutto da un lato viene chiamata “curva bizantina” e secondo alcuni studiosi è da attribuire all’immagine sindonica. Addirittura in alcune icone il corpo di Gesù è filiforme, ha le sembianze quasi di un verme, perché riprende il Salmo 21,6: “io sono un verme e non un uomo, l’infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo”.
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Domande/Risposte
“Nel mondo romano la crocifissione era la pena destinata ai latrones ( termine con il quale i romani indicavano i fuorilegge, banditi, predoni, pirati….) e veniva eseguita sul luogo del delitto come monito per chi si trovava ad osservarla. Fino all’ età repubblicana la crocifissione era riservata unicamente agli schiavi. Pertanto, per i primi artisti cristiani, che erano di cultura romana, era considerata una pena talmente infamante da non ritenere opportuno rappresentare Cristo mentre la subiva. Tra i secoli III e IV d. C. si iniziò a raffigurare la croce come simbolo della salvezza in virtù di Gesù, ma fu soltanto nel V secolo d. C. che Cristo venne rappresentato sulla croce. La croce, per completare, era rappresentata da 2 elementi il lungo palo infisso in terra ( stipes) ed il braccio corto della croce ( patibulum). Quest’ ultimo veniva portato a spalla dal condannato e congiunto allo stipes al momento dell’ esecuzione.
Una delle famose rappresentazioni della crocifissione ( V secolo) la puoi osservare nel portale della basilica di Santa Sabina a Roma – Cristo in croce tra i due ladroni.”
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…………Da una lettera di Vincent Van Gogh al fratello Theo, agosto 1888:
“E’ UNA PROSPETTIVA MOLTO TRISTE QUELLA DI SAPERE CHE FORSE LA PITTURA CHE FACCIO NON AVRA’ MAI NESSUN VALORE“.
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