Pizzo e raso: Chantal nutre da sempre una passione quasi morbosa per questi dettagli, nella lingerie. E da una sottoveste di pizzo e raso, nella notte, ha ricavato un velo da chiesa, l’ha cucito con grande dedizione ed è venuto pronto per il mattino. Non entrava nella Certosa da molti anni, ma ora, pensa tra sé, è il momento di chiedere un intervento dall’alto, anzi «non resta che affidarsi all’Altissimo», ha sussurrato a Nebbia, incrociandolo sul marciapiede che porta al sagrato. Un minuto, non di più, per confrontarsi con la croce e accendere un cero e domandare una grazia, giusto il tempo per fare venire una vampata d’inquietudine a don Nicola, quanto basta per sollevare nell’aria il chiacchiericcio di due pettegole, come il borbottìo di una pentola di fagioli in una stanza vuota.
La litania sacra non la conosce, Chantal: intona il suo lamento profano poco dopo, al tavolino del bar, davanti al suo confessore pagano, il Nebbia, che finge di leggere una pagina delle Metamorfosi di Ovidio, con gli occhi su una frase che suona beffarda: “Apprendemmo troppo tardi dai contadini, in quella pianta si era nascosta, per sfuggire alle voglie oscene di Priàpo, la ninfa Loti, mutando aspetto ma non il nome”. La ninfa Chantal chiede rifugio a Nebbia e lui, invece, fa quel che può, tenendo a bada una ormai rara impennata di desiderio.«E ora che faccio, i saldi? Chi me la dà a me, la cassa integrazione? L’affitto lo devo pagare lo stesso». Chantal, capelli rossi raccolti, occhi verdi, curve sinuose che scendono fino ai piedi, mostrando pelle liscia che fuoriesce dai vestiti, ombre tra carne e tessuto, un ‘opera d’arte un po’ attempata, ma che ancora regge bene il confronto con ben altre gatte di vent’anni più giovani: una vita a vendere intimità, a lavorare sodo con emozioni e piaceri comprate o affittate da uomini soli, deboli che fanno i duri soltanto grazie a maschere di opportunismo, benestanti annoiati, operai e dirigenti, giovani e vecchi. Ha vissuto per anni all’ombra di un’economia discreta e ipocrita, tra fabbriche, uffici, grandi concessionarie di auto, ricevendo i suoi clienti in un dignitoso appartamentino a due passi dal cimitero Musocco. Ora, con la crisi, le aziende o hanno chiuso o sono in cassa integrazione, molte si sono trasferite all’esterno della città: palazzi e capannoni si sono svuotati in pochi mesi.
Al quartiere rimane soltanto l’economia del caro estinto, ovvero pompe funebri e dintorni. Ma, seppur brava nel suo genere, Chantal non è ancora in grado di resuscitare i morti: con loro, la scollatura non fa più effetto, non gli resta che qualche fedelissimo o pochi principianti sovraeccitati da un annuncio sul giornale, gente da cinque minuti compreso il bidé. Ottanta euro gettati sempre più di rado sulle lenzuola sfatte di un letto che, in altri tempi, ha visto ben altro. Ora anche il materasso sembra soffrire la carestia e sembra incurvarsi sotto il peso dell’usura, come la gomma piuma sulle reti di San Vittore. Chantal è dama di compagnia per uomini d’altri tempi, non certo per pornografi dopati dai siti internet, non ha futuro nella Milano bulimica del sesso che sa di cocaina. E sul marciapiede non ci vuole più tornare, sono vent’anni che non lo fa più così.
«La commessa? Potrò mai fare la commessa?»
«Ah, perché no? – la consola a suo modo Nebbia-. Ne cercano uno, di commesso, giù in ferramenta. Uomo o donna, non stiamo a sottilizzare, meglio donna, no? Secondo me, tu vai bene in ferramenta».
«In una ferramenta ci sono entrata una sola volta nella vita. Per una scommessa con la Wanda, quella che lavorava a piazza Firenze».
«E hai vinto?»
«Certo, ma erano solo diecimila lire. Dovevo entrare e mangiare una banana».
«E com’è andata?»
«L’ho fatto. Solo che la banana mi è un po’ rimasta sullo stomaco, non la digerisco bene».
«Potresti rifarlo. A scopo promozionale, diciamo così».
«Non rimedierei neanche una sveltina, in ferramenta girano certi calendari… con tutte quelle bambolone gonfiate dal silicone».
«Ah se non c’è partita in ferramenta, prova giù al centro anziani, con certe pilloline oggi si fanno i miracoli anche a settant’anni. Guarda cosa succede in Parlamento».
Chantal sorride e non dice nulla, si fuma una sigaretta lì al tavolino e, dopo il caffè, si alza e sparisce dietro l’angolo con un ancheggiare da ragazzina. Nebbia china di nuovo il capo su Ovidio “Se scompare il mare, la terra e la reggia del cielo, nel caos antico ci annulleremo. Salvalo dalle fiamme quel poco che ancora resta: abbi a cuore l’universo!”.
L’indomani, verso mezzogiorno, il silenzio unto di afa di una mattinata di luglio è rotto da sirene d’ambulanza. Nebbia, dal marciapiede del viale, allunga il collo e cerca di capire dove è diretta: proprio giù in fondo, all’altezza del condominio della Chantal. Centoventi passi, non di più per scoprire l’ennesima “tragedia sul lavoro”.
I portantini si affrettano a varcare l’uscio e a caricare sull’autolettiga le spoglie del povero Brambilla. Sì, proprio lui, il Vanni Brambilla, ex partigiano duro e puro, da anni asserragliato al circolo per anziani dietro bandiere di una rivoluzione mai avvenuta, vittima della sua unica debolezza: il veleno del capitalismo si è impossessato della sua mente con l’illusione dell’elisir di lunga vita e lunga durata, sottoforma di pastiglie azzurre acquistate sottobanco alla farmacia di Pero. Un solo errore, una sola volta, quella fatale. Vanni Brambilla saluta il mondo dalle lenzuola della Chantal. Nell’ultimo bagliore di luce ha visto e accarezzato morbide fantasie di pizzo e raso: caduto sul campo di battaglia, non sotto i colpi dell’artiglieria tedesca, ma per troppo ardore, per aver creduto in una finta giovinezza.
Nebbia sta lì, seduto sul marciapiede, guarda l’ambulanza allontanarsi senza più la sirena accesa. La strada del Vanni, verso l’obitorio è breve: «Tanto poi torni domani da queste parti, rifarai la strada fino giù in fondo». Pensa ad alta voce, guardando verso il cimitero Maggiore. Cinque minuti dopo scende Chantal con una valigia in mano e il magone negli occhi: «Nebbia, ciao Nebbia. Io glielo dicevo al Vanni di frenare. Va piano Vanni! Sta fermo! E invece al sa tegneva mia e l’è scoppiato».
«La resistenza. Tradito dalla resistenza. Segno dei tempi. Forse era meglio la ferramenta, con ‘sti vecchietti si corrono dei rischi».
Solo un cenno di saluto, prima di salire sull’autobus, con la valigia in mano: Chantal saluta Musocco e il suo mondo finito in cassa integrazione. Destinazione ignota, ma Nebbia non si rassegna: «Prima o poi torna. Finire come il Vanni, magari a 99 anni, sarebbe il mio sogno».