Cicciuzzo non prende l’autobus di linea, ma un furgone sgangherato che lo scarica giusto davanti al cantiere, nella periferia Ovest: lavora alla Milano del futuro, è manovalanza del progresso. Parte che è ancora notte, dalla piazza del paese dormitorio, fagotto umano appoggiato alle colonne di un porticato. Lo sveglia la frenata, con scricchiolìo incorporato, del mezzo che proviene dalle baracche vicino al fiume, dopo aver caricato i fantasmi a giornata, uomini invisibili per il resto del mondo, caricati dietro, nascosti dal portellone. «Salire amigo», lo chiama Karim, l’autista senegalese. Sei posti, basta stringersi diventano sette: con le molle sfondate, ogni sedile sembra un nido di cornacchia nel quale sprofondare, mentre l’autoradio anni Settanta, a valvole, diffonde musica araba.
Papà Salvatore con mamma Rosalia erano saliti al Nord quarant’anni fa, per dare un futuro migliore ai propri figli: l’Italia del miracolo economico ha partorito una generazione di mantenuti, ma Cicciuzzo dalle case popolari non si è mai emancipato. Papà Salvatore faceva il magutt, come dicono qui, lui fa il magutt, anche se oggi il dialetto milanese non è più una lingua da imparare nei cantieri, oggi è meglio impratichirsi con i dialetti marocchini e rumeni. Il destino non gli ha concesso un gradino in più del padre, nella scala gerarchica degli operai edili: è stato superato da molti disperati, arrivati qui a bordo di un barcone di legno marcio, ma solido quanto basta per fuggire dalla fame. Non ha fatto carriera per via del suo carattere, permaloso quando non deve, bonaccione quando non conviene: «Mi arrabbio quando mi chiamano porco. Con quella parola, perdo la testa». E così, quasi apposta, i capicantiere incontrati negli ultimi anni finivano sempre per apostrofarlo in quel modo, per il gusto di vederlo andare su tutte le furie, come fanno i veterani di caserma con le reclute. «Sposta quel sacco di calce, brutto porco», gli disse un capo, quattro anni fa. E lui, come preso da raptus, prese il sacco e lo lanciò nel vuoto da trenta metri d’altezza, dal nono piano di una palazzina in costruzione, fortunatamente senza conseguenze per qualche malcapitato al piano terra. Ovviamente Cicciuzzo fu costretto a trovarsi un altro cantiere, però. Un’altra volta spaccò una pila di dieci tegole con un pugno, roba da guinness dei primati. Al cantiere del Musocco, dove lavora da un anno, tra Cicciuzzo e il maiale sembra essere tornata la pace, soprattutto perché i colleghi, quasi tutti stranieri, lo insultano in altro modo, tutta roba incomprensibile, in quattro lingue.
Di conseguenza, trascorre intere giornate sulle impalcature senza quasi scambiare una parola con nessuno, soltanto qualche parola sulle donne in generale, durante l’ora di pausa: si siede lì sulle assi, a venti metri da terra, e si rifocilla con il muso immerso nella schiscetta. Piatto unico: fagioli con cipolle e, quando mamma è generosa, vi trova anche una salsiccia. Lo sfama, ma non basta per placare la sua ossessione, il rapporto difficile con l’altro sesso: «Tu ti tromberesti la cassiera del bar lì sotto?», chiede di frequente al collega marocchino. «Que, trombesti?» risponde l’altro. E Cicciuzzo traduce nel linguaggio universale, con un gesto con la mano, e il marocchino ride. Il collega si chiama Rachid e ogni tanto si è addirittura confidato con lui: «Non è possibile che alla mia età, a trentacinque anni suonati, non abbia ancora fatto l’amore con una donna».
Centocinque chili di verginità. Cicciuzzo ci soffre parecchio e, per sfogare gli istinti, ogni giorno ci dà dentro con la mazza demolitrice: «Dammi un’ora e ti butto giù trenta metri di cemento», avverte Rachid. A volte arriva a sera che, a furia di mazzate, non è in grado nemmeno di tenere in mano la forchetta o il bicchiere della cena perché, per via dei colpi, ha le mani che gli tremano per molte ore dopo il lavoro. Una volta, alla ricerca di una terapia, aveva persino tentato un blitz dalla Chantal, la gattona, ma la scarsa abitudine alle curve femminili aveva finito per creargli il blocco del principiante, come un trapezista che, improvvisamente, scopre di soffrire di vertigini. E Chantal, impietosita, gli restituì pure i soldi: un flop a costo zero è, però, un colpo micidiale alla virilità di un magut irsuto e corpulento.
Oggi, però, Cicciuzzo ha l’aria meno depressa, anzi sembra persino sereno. Tanto che Rachid ne è incuriosito: «Che c’è oggi, hai trombato?»
«No, ma potrebbe accadere. Una donna si è innamorata di me»
«E chi è, la conosco?»
«La barista là sotto»
«Davvero? Che è successo, racconta?»
«Oggi mi ha sorriso e mi ha persino regalato un pacchetto di cicche»
«E allora? Che hai fatto, l’hai invitata fuori?»
«No, ma forse lo farò. E poi in questi giorni sto anche mettendo a posto l’appartamentino vicino a casa dei miei»
«Ma che c’entra?»
«Se la cosa dovesse andare in porto…»
«Non ti sembra di andare un po’ troppo di corsa? Un pacchetto di cicche può bastare per fare un fidanzamento?»
«No, ma è come mi guardava mentre me l’ha regalato….. ho capito che c’era qualcosa di strano»
Stasera, dunque, niente viaggio in furgone. Cicciuzzo ha deciso di tornare a casa in treno: «E se mi va bene, non rientro più, rimango lì al bar». Si precipita al bar con nobili intenzioni e il cuore che fa “bum bum”: al cantiere ha cercato di ripulirsi alla meglio, rubando un deodorante al capocantiere. Ora non è un bijoux, ma almeno sembra presentabile. In pochi secondi è già al tavolo di fronte alla cassa, ma al momento la postazione è vuota, niente barista. Ma eccola comparire: è una femmina giunonica che ama essere civetta e, per provocare i clienti, non nasconde le grazie che possiede. Che in realtà sono concentrate sul petto, enorme e prosperoso, taglia fortissima per due meloni da circo, che sembrano sempre esplodere da un momento all’altro da una scollatura generosa, ma tiratissima. Difficile guardarla negli occhi, ma Cicciuzzo è un uomo tutto d’un pezzo e con lei ha deciso di adottare la linea del massimo rispetto: se ne resta lì timido timido, sorseggiando un Crodino e mangiucchiando olive verdi.
Improvvisamente, la svolta: la donna dei sogni le si avvicina come per chiedergli qualcosa, Cicciuzzo pensa tra sé che è giunto il momento di dichiararsi. E mentre lo pensa, sente il cuore esplodere dentro di sé e una vampa di calore risalire dal petto verso il volto, paonazzo come non lo si era mai visto. Un istante, un non so che, un colpo gobbo del destino: «Ehm signorina?». Lei si china verso di lui, porgendogli il davanzale: lui, con uno stuzzicadenti in mano, prova a infilzare nervosamente un’oliva che, bastarda, rimbalza altissima, come un rigore sopra la traversa, ma finisce in rete, tra le mammelle della barista e sparisce nel buio. Imprevisto che scatena la reazione scomposta e… zac! Cicciuzzo si ritrova senza volerlo, in una frazione di secondo, con la mano infilata nella scollatura: l’istinto di voler riparare al danno l’ha rovinato.
E ora, in quei pochi secondi, è lì con la mano che brancola tra due palloni di carne, alla ricerca di un’oliva ormai dispera: è la tragedia. «Porco!! Brutto porco!», urla la barista. Tutto poteva dirgli, tranne quello: cuore infranto e cervello impazzito in una sola volta. Cicciuzzo scappa fuori dal bar, in preda all’ira: è diretto a tutta velocità contro la saracinesca di una vecchia drogheria dismessa. Impatto mostruoso e un corpo di uomo vergine che rotola scomposto e privo di sensi sull’asfalto. Ambulanza impazzita, corsa all’ospedale verso la salvezza: trauma cranico con amnesia è il verdetto per Cicciuzzo. Non ricorderà più nulla e Rachid, che gli vuole bene, gli ricorderà presto fantasie e conquiste, storie di donne ai suoi piedi, che l’hanno amato e venerato: al settimo piano di un condominio in costruzione, la vita sembra tutta diversa da laggiù.