Topi di campagna, imbarcatevi!

Non più un binario, bensì un molo. Un giorno, che ancora è prematuro definire bello o brutto, un topo salirà su un pontile e si metterà in viaggio. Destinazione Milano centrale. Già, la terza via sarà il futuro: non a destra, non a sinistra, ma sull’acqua, galleggiando a seconda della corrente. E ci si ricorderà di un illuminato arciduca che, in tempi non sospetti, l’aveva detto e fatto, il gran progetto: «L’imperatore ci taglia i fondi, noi fermiamo i treni. Anzi, li renderemo più cari di un volo Alitalia». E così fece.
Tuttavia l’arciduca, memore dei fasti di un predecessore, tal Giangaleazzo del Biscione, pensò che fosse immorale tagliar ogni comunicazione tra la provincia e la sua Milano, sua in quanto signore di tutta la regione, benché feudo di una dama dal cuor gentile che, tuttavia, l’arciduca sospettava di lei quale perfida megéra.
E così, mentre alla corte romana l’imperatore s’intratteneva con saltimbanchi, nani, giullari, giocolieri, ballerine e cortigiane, il savio arciduca progettava il futuro, attorniato dai gran visir dell’urbanistica e dalle confraternite più laboriose, fedele al voto di castità ed estraneo a qualsivoglia pensiero lubrìco. Viva Leonardo, che per primo ci pensò e viva l’arciduca che secoli dopo ci ripensò. E per realizzare tal progetto, mise a dimora, dapprima, intere piantagioni di alberi degli zecchini d’oro. Interrava il magro contributo dell’imperatore e ne traeva frutti rigogliosi, svariati milioni di zecchini.
E di quel tempo, ancora si racconterà di quell’imprudente funzionario che, al cospetto dell’arciduca, volle sottoporre una questione: «Mio signore, i treni sono al collasso, si fermeranno presto. Tutto va in rovina, benché il popolo chieda i treni… Non sarebbe più opportuno, qualora lo ritenesse, che i frutti degli alberi degli zecchini vengano impiegati per i treni, anziché per i canali?».
Ma la risposta dell’arciduca non si fece attendere, dura, ma illuminata: «Taci tu che i trasporti non sai nulla. La via d’acqua, la terza via, sarà la panacea di tutti i mali di questa città e della mia regione. Così l‘imperatore vedrà, lui che non mi volle a Roma, di quale maestrìa sono capace». Il funzionario degradato a mozzo non parlò mai più.
E quel topo di campagna sarà là con il suo computerino portatile a scrivere aggrappato a un pontile, a bordo di un meraviglioso barcone: placido, il Naviglio, ispirerà ben altre storie e poesia di un modesto, arrugginito e puzzolente binario… morto.