Un libro da treno e la mia bicicletta

Sono abituato a prestare biciclette, lo faccio da più di trent’anni. Eppure, io, figlio di un ciclista, non ricordo di aver mai avuto una bicicletta nuova. Perché nella bottega di mio padre, negli angoli più polverosi di un’officina che funziona da settant’anni, c’era sempre qualche piccolo bijoux a pedali che, una volta ripulito e rianimato, diventava come nuovo. Come la mia prima Learco Guerra, gialla, alta mezzo metro e che, quando mio padre me la regalò, quella bici aveva visto molto più mondo di me, piccolo Gimondi di quattro anni. Una bici da cucciolo, ma con il manubrio dei campioni, quello da corsa. Ecco, la differenza tra una Saltafoss recapitata da Babbo Natale nelle case degli amici e le mie bici era negli accessori: c’era sempre qualche particolare che la rendeva unica, che faceva spalancare la bocca agli altri bambini. E poi finiva sempre con un: «Me la fai provare?». «Sì, ma solo per un giro» rispondevo. In realtà non sono mai stato geloso della mia bicicletta, ma lo dicevo per non sembrare un “pappamolla”. Tra gli ex bambini oggi papà c’è ancora chi ricorda la mia Chiorda anni Settanta, blu: aveva due optional che suscitavano invidia, un sellino rosso e il cambio nel mozzo. E con quella bici arrivavo ogni mattina a prendere il battello, nella mia Angera, per andare a scuola sull’altra riva, ad Arona: sempre tirato coi tempi, sembravo Cipollini in volata, mentre il battello era già pronto a riprendere il largo.
Un mesetto fa, quasi due, ho incontrato Stefano a Torino. Teneva in mano un libro dal titolo curioso, “Via della Casa Comunale n°1”, scritto da lui: un’idea nata da un blog e trasformatasi in un piccolo sogno di pagine e carta. Un diario di un “senza dimora” è diventato la fiaba poco gentile e irriverente, anzi dura e cruda, per far scoprire un mondo diverso anche a chi ha avuto tutto dalla vita. Stefano era preoccupato, quel giorno, perché doveva restituire la sua compagna di viaggio al legittimo proprietario: e senza bicicletta, lui, aggrappato alla vita tenendo i piedi sui pedali, temeva di diventare un uccello con le ali tarpate. Non più un falco, ma un pollo, costretto a vedere un solo mondo reale, quello attorno alle sue zampe.
Era da tanto tempo che non prestavo più la mia bicicletta: ora è la casa di Stefano e gira l’Italia e scopre città, strade e mondi che mai aveva visto prima. E vive avventure che mai avrebbe potuto vivere. Stefano Bruccolieri ha ribattezzato la mia bici “la poderosa” ed è diventata una dimora viaggiante: bianca e verde, con il manubrio da cicloviaggiatore. E se vi capita d’incontrarli per strada, lui a vendere il suo libro meraviglioso, lei infagottata e piena di borse, li vedrete felici entrambi: due anime sensibili, una in carne d’ossa e una d’acciaio, che brindano idealmente alla vita.

Via i ragnetti rossi dalle procure!

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Jack, ragnetto rosso, ha fermato i processi. Vi sottopongo la dichiarazione di guerra di un altro ospite del tribunale, oltre ai miei compagni roditori. Come un caporibelle libico è in cerca di un francese, che possa fare giustizia, o quanto meno che possa farlo entrare in una barzelletta di quelle che si raccontano ai vertici internazionali. Sulla vicenda, invece, gli italiani hanno già deciso di fare piazza pulita. I rossi in un palazzo di giustizia sono troppo scomodi, lo dicono i sondaggi. Al contrario delle vedove nere che, invece, creano meno imbarazzo e solleticano i ricordi dei nostalgici di ben altri palazzi.

“Sì sono Jack, sono un trombide e anche io sono finito in procura. Trombide nel senso biologico e non un malato di bunga bunga, come si potrebbe pensare con fin troppo facili allusioni: sono nipote di John l’acaride, altro trombide di razza, ma con Mubarak non ho nulla a che fare. Mentre in Parlamento si discute del fine vita, che scopro dal nostro presidente essere anche questo un privilegio dei pm, qui in tribunale il fine vita l’hanno deciso senza troppi complimenti: fine vita per noi ragnetti rossi. Ma io intendo sopravvivere: provate a schiacciarci tutti, ma quel colorino rosso sulle vostre manine resterà indelebile o quasi. Impossibile estinguerci: cercate, andate pure a cercare nelle vostre enciclopedie, di cosa ci nutriamo. Escrementi, escrementi soprattutto di volatili… ecco, allora, un ragnetto rosso che mangia stronzi, che fastidio vi dà?
Al quinto piano di questo magnifico tribunale, mi aggiro tra i faldoni del caso Ruby e ne leggo di tutti i colori: cara Milano, un ragnetto rosso potrebbe un giorno testimoniare e mandare tutto a p. Un giorno, ve ne accorgerete, parlerò: e saranno guai per tutti”.

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Milano, quando il topo vi rimette piede…

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Mentre il nostro governo decide di portarci in guerra senza interpellarci, le cronache milanesi stanno per riprendere. Topo di campagna, dopo un mese di stress, è tornato ad aggirarsi tra storie e personaggi. Si ferma il nucleare, per gabbare un referendum, ma non le cronache del topo… Intanto, non è solo schifo, a Milano: ieri si è addirittura festeggiato Shakespeare. Il vecchio William ha compiuto 447 anni e, siccome, non è il caso di stare allegri, a Milano lo hanno festeggiato leggendo Macbeth… Pace, amore e viuleeenza!
Meglio così, meglio allenare le menti piuttosto che rincoglionirsi davanti a un reality che ieri si è concluso e oggi sui giornali pare sia più importante della campagna di Libia. Per tenere alto il morale delle truppe, i quotidiani oggi si sbizzarriscono in cavolate… spiccano l’ecografia di Carla Bruni e il possibile discorso del principe Harry al matrimonio reale del fratello William… Con quel briciolo di cervello che pare sia germogliato in lui, si teme che possa debuttare con: “La sposa e lo sposo adesso girino la faccia e si guardino bene negli occhi… statisticamente state fissando la persona che ha maggiori probabilità di assassinarvi”.
E nonostante anche questo, a Milano ieri si è trovato un motivo per ridare ossigeno ai cervelli: dopo 233 anni di storia, ieri al teatro alla Scala è andata in scena per la prima volta un’opera diretta da una donna.
Dal 26 aprile al 7 maggio, Susanna Mälkki, finlandese, dirigerà l’orchestra del teatro scaligero in «Quartett», la nuova opera di Luca Francesconi basata sulla storia delle «Relazioni pericolose» di Choderlos de Laclos.
Susanna, a 42 anni, ha diretto le maggiori orchestre del mondo e sapete perché dirige alla Scala? Perché è brava! Milano non è più la stessa…

Cari Fazio e Saviano, ecco il mio elenco

Cos’è un pendolare? Elenco (rigorosamente senza contradditorio) secondo un topo di campagna:

Il pendolare è colui che ha ispirato Darwin e il suo pensiero: l’istinto di sopravvivenza lo porta ogni giorno ad adattarsi a situazioni e ad ambienti all’apparenza ostili e invivibili.

Il pendolare è l’unico centometrista in grado di affrontare in apnea 30 metri di scalinata in discesa, 30 metri di sottopassaggio viscido, 30 metri di scalinata in salita, 10 metri di banchina e gran finale con plasitco salto al volo sul vagone, stabilendo lo stesso tempo di Usain Bolt… E una volta salito sul treno, il primo pensiero è darsi un’aggiustatina ai capelli.

Il pendolare è il vero emblema dello spirito sportivo di De Coubertin: teme soltanto la soppressione del treno, perché per tutto il resto l’importante è partecipare.

Il pendolare è come Ruby: il bunga bunga lo subisce tutti i giorni, suo malgrado, a ogni frenata brusca del macchinista, nelle ore di punta.

Il pendolare è certamente colui che ha inventato Facebook: tra ritardi e carrozze stracolme, un bel giorno si è trovato a cazzeggiare in una community e a farsi gli affari degli altri. E gli è venuta un’idea.

Il pendolare è un avido consumatore di amor platonico: a ogni viaggio c’è sempre un bel tipo o una bella gnocca con cui vivere, nell’immaginazione, una storia di passione della durata di poche fermate.

Il pendolare è colui che ha scoperto la differenza tra uomo e donna, grazie ai suoi piedi: a seconda del tacco che, nei momenti top, si sovrappone al proprio alluce.

Il pendolare uomo è colui che in una carrozza sovraffollata è in grado di eccitarsi per una supermaggiorata che si struscia sulla sua schiena, per poi scoprire che alle sue spalle c’è soltanto un idraulico con le braccia conserte.

Il pendolare donna, viaggiando pressata come in una scatola di sardine, si accorge presto dell’inutilità di un impiegato di banca, al contrario invece della sua valigetta, che in taluni casi può regalare sensazioni indicibili.

Il pendolare è l’unico lettore che per consolarsi della tristezza della propria situazione, si rifugia tra le pagine della trilogia di Stieg Larsson, Giorgio Faletti, Dan Brown o Stephen King, ovvero nella dolce serenità di belle storie di morti ammazzati.

Il pendolare, in inverno, è come il minestrone: se riscaldato è più buono.

Il pendolare, a differenza dei fagioli in scatola, può contare su una spiegazione ufficiale se non riesce a tornare in libertà: “porta non utilizzabile”.

Il pendolare è filosofia in carne e ossa: anche di fronte alle difficoltà apparentemente insormontabili, deve sempre andare avanti.

Il pendolare è l’unico elettore al quale i politici possono impunemente e costantemente raccontare balle: tanto, anche se non darà loro il proprio voto, sempre su quel treno dovrà salire.

Per lo stesso motivo, i politici potrebbero anche non raccontare, al pendolare, costantemente e impunemente balle: tanto, anche se non darà loro il voto, sempre su quel treno dovrà salire.

Topi di campagna, imbarcatevi!

Non più un binario, bensì un molo. Un giorno, che ancora è prematuro definire bello o brutto, un topo salirà su un pontile e si metterà in viaggio. Destinazione Milano centrale. Già, la terza via sarà il futuro: non a destra, non a sinistra, ma sull’acqua, galleggiando a seconda della corrente. E ci si ricorderà di un illuminato arciduca che, in tempi non sospetti, l’aveva detto e fatto, il gran progetto: «L’imperatore ci taglia i fondi, noi fermiamo i treni. Anzi, li renderemo più cari di un volo Alitalia». E così fece.
Tuttavia l’arciduca, memore dei fasti di un predecessore, tal Giangaleazzo del Biscione, pensò che fosse immorale tagliar ogni comunicazione tra la provincia e la sua Milano, sua in quanto signore di tutta la regione, benché feudo di una dama dal cuor gentile che, tuttavia, l’arciduca sospettava di lei quale perfida megéra.
E così, mentre alla corte romana l’imperatore s’intratteneva con saltimbanchi, nani, giullari, giocolieri, ballerine e cortigiane, il savio arciduca progettava il futuro, attorniato dai gran visir dell’urbanistica e dalle confraternite più laboriose, fedele al voto di castità ed estraneo a qualsivoglia pensiero lubrìco. Viva Leonardo, che per primo ci pensò e viva l’arciduca che secoli dopo ci ripensò. E per realizzare tal progetto, mise a dimora, dapprima, intere piantagioni di alberi degli zecchini d’oro. Interrava il magro contributo dell’imperatore e ne traeva frutti rigogliosi, svariati milioni di zecchini.
E di quel tempo, ancora si racconterà di quell’imprudente funzionario che, al cospetto dell’arciduca, volle sottoporre una questione: «Mio signore, i treni sono al collasso, si fermeranno presto. Tutto va in rovina, benché il popolo chieda i treni… Non sarebbe più opportuno, qualora lo ritenesse, che i frutti degli alberi degli zecchini vengano impiegati per i treni, anziché per i canali?».
Ma la risposta dell’arciduca non si fece attendere, dura, ma illuminata: «Taci tu che i trasporti non sai nulla. La via d’acqua, la terza via, sarà la panacea di tutti i mali di questa città e della mia regione. Così l‘imperatore vedrà, lui che non mi volle a Roma, di quale maestrìa sono capace». Il funzionario degradato a mozzo non parlò mai più.
E quel topo di campagna sarà là con il suo computerino portatile a scrivere aggrappato a un pontile, a bordo di un meraviglioso barcone: placido, il Naviglio, ispirerà ben altre storie e poesia di un modesto, arrugginito e puzzolente binario… morto.

Signor Vargas Llosa mi perdoni

Un premio Nobel non si discute, lo si dovrebbe solo citare: “La letteratura è impegno, non intrattenimento”, ha detto Mario Vargas Llosa in una recente apparizione in Italia. Ha ribadito un cardine del suo pensiero. Tuttavia, visto da una carrozza viaggiatori intrisa di sporco, l’impegno è qualcosa di più complicato. Innanzitutto, per un topo di campagna, il primo impegno in letteratura è economico: infatti, non c’è uno straccio di editore che sia pronto a scommettere su un roditore pendolare, a meno che questi non sia disposto a pagare di tasca propria. La dice facile, Vargas Llosa, ma qui in basso, l’impegno ha ben altro sapore. Basta uscire dai salotti snob e dai talk show, per essere scrittore impegnato? No e non basta nemmeno scrivere dalle trincee di chissà quale periferia degradata.
Bisognerebbe prima cominciare a pubblicare… E il virtuale, purtroppo, è troppo evanescente, impalpabile. Lo sanno bene certi pendolari tutta ferraglia e tatuaggi, con bombolette e pennarelli, così come insegnano i grandi saggi della narrativa contemporanea… Chi? Scrittori impegnati? No, bensì writer da toilette, quelli che intrattengono il lettore nei momenti più intimi, con poesie, aforismi, massime impresse e pubblicate sulle pareti più luride di Milano (e non solo).
Che illusione, allora, la vita quotidiana di un topo di campagna in cerca di mecenati. Un pendolare roditore che vuol fare lo scrittore: non ha via di scampo, caro signor Vargas Llosa, se non premunendosi di pennarello indelebile. Come l’anonimo poeta che, sul finestrino di un interregionale con capolinea Domodossola, ha scritto e sottopone a lettura quotidiana il suo componimento: “Avvicinati, dai, avvicinati, ancora un po’, di più….. Ora appiccica la fronte perché se ti frena il treno ti pigli ‘na craniata”.
Ognuno ha il salotto che si può permettere, ogni salotto ha i propri scrittori impegnati.