L’allevatore di farfalle: v’invito a conoscerlo

La psicologa del Sert mi ha chiesto «Allora sei felice Stefano?». Le ho risposto «No dottoresa, è ancora diverso. È che vivere mi diverte, spesso ho la sensazione di essere come un bimbo alle giostre. Ogni tanto ho la sensazione, che dura frammenti di secondo, di essere malato di percezione di realtà. Insomma, sarei dovuto essere infelice e invece non lo sono».

Tutto questo mi sorprende, poi allargo le tasche dei pantaloni per ficcarci l’impossibile fino a farle scoppiare.

Questo non è tutto il libro e nemmeno lo riassume, ma in quelle poche righe c’è l’autore, Stefano Bruccoleri. E non chiedetemi di raccontarvelo, questo libro: perché io non ci ho capito niente. E allora? Bisogna per forza saper spiegare tutto, per dire di apprezzare un libro? L’allevatore di farfalle è un bel libro: e chi l’ha detto che bisogna sempre capire tutto? Chi mai entra nella testa, nella vita, nei pensieri di una persona e capisce tutto? Basta con la presunzione di voler spiegare tutto, di aver tutto codificato.

Perché l’allevatore di farfalle non è codificabile non rispetta le regole dei benpensanti della scrittura, non regala serenità agli ossessionati che devono per forza trovare uno scaffale preciso nel quale catalogare un libro: è una storia? Un insieme di storie? Poesia? Racconti? Pensieri? Boh, tuttavia in questo libro c’è Stefano Bruccoleri, con quella sia genuina e intima assenza di regole, forse solo apparente, ma con una costante ricerca: insegue la poesia, la trova, la respira, ne assapore le emozioni. Guai a ostinarsi a codificare un’emozione, se ne perderebbe il valore autentico: non esiste una formula matematica per le emozioni. Per fortuna. Come non esiste un’addizione di elementi per riassumere Stefano Bruccoleri.

E Stefano Bruccoleri, con la sua sensibilità quasi infantile, geniale, ti accompagna pur sempre in strada: la strada è la costante della sua vita. Una strada che un uomo che è abituato a una vita standard, tutta regole precise, non ha mai visto.

Non avrò mai la presunzione di raccontarvi L’allevatore di farfalle, perché non si può entrare nei pensieri di Stefano Bruccoleri come una guida turistica al Colosseo. Tuttavia, L’allevatore di farfalle ve lo farà apprezzare lui stesso, con la sua dialettica spontanea, quel suo modo di comunicare, tra emozioni spontanee, gesti, silenzi e occhi di uno che avrebbe dovuto essere infelice, ma non lo è.

Stefano Bruccoleri presenterà il suo libro domenica 16 dicembre, alla pasticceria San Gabriele di Ispra, dalle 18.

 

Sto con Kundera, per i libri e la memoria reali

Il problema è la memoria. Come il pil, assurdo concetto di ricchezza infinita, anche il mondo virtuale non ha ancora risolto e non è in grado di risolvere il problema della memoria: memoria reale, concreta e non virtuale (concretamente elminabile con un semplice click o con un black out). Una memoria che non si tocca con mano si tramanda come le vendite allo scoperto alla borsa di New York.

«Quel che mi sta a cuore in questo momento è una cosa più concreta: la biblioteca. Questa parola dà al premio che avete la bontà di accordarmi una strana nota nostalgica, perché il nostro tempo comincia a mettere i libri in pericolo. È a causa di questa angoscia che, da molti anni ormai, aggiungo a tutti i miei contratti, in qualsiasi Paese del mondo, una clausola in base alla quale i miei romanzi non possono essere pubblicati che sotto la forma tradizionale del libro. Affinché li si possa leggere solo su carta, non su uno schermo». Chi lo dice è un certo Milan Kundera, uno scrittore francese di origine cecoslovacca: uno che non ha bisogno di tane e blog per farsi ascoltare, come topo di campagna. È uno che può permettersi di scrivere e parlare al mondo intero e farsi ascoltare. Milan Kundera parla e i suoi concetti sono riportati da un giornalista del Corriere, che tuttavia, non resta imparziale, ma si sente in dovere di prendere posizione in favore della civiltà e del progresso (ce n’era bisogno? Boh). Io, umile topo, sta con Kundera: lo appoggio e lo difendo. Con questo, non significa che io sia retrogrado e contro gli e-book, ma rivendico il diritto di chiunque di difendere la propria memoria e la propria opera. Che, finché sarà messa a rischio solo da noi roditori, al massimo finirà rosicchiata su qualche scaffale.

L’articolo del Corriere della sera:

http://www.corriere.it/cultura/12_luglio_24/montefiori-no-kundera-libro-elettronico_34dab056-d577-11e1-8344-73c80d6dcb3d.shtml

Racconti contro la povertà

«Adesso ti spiego…», sembrava dire quel faccione sul grande manifesto. Sotto, lapidaria, la frase: “Le elezioni sono il cuore della democrazia”. Sarga rilesse un paio di volte: «Il cuore della democrazia… Pensa te. La volta scorsa ci han detto che, se li avessimo votati, ci avrebbero regalato dolci e vestiti. Adesso questo tizio mi spiega che è addirittura una questione di cuore».

Si sistemò la borsa sulla spalla e spinse la bici verso la strada. In circa tre ore sarebbe arrivata a destinazione. Un viaggio assolutamente alla sua portata, nulla di cui preoccuparsi, a parte quel rumore che aveva cominciato a sentire. Beninteso: la sua bici era un concerto di cigolii, ma quello era qualcosa di nuovo, era profondo e diffuso, non si capiva bene da dove arrivasse.

Sarga vive e pedala in India: per sapere come va a finire questo racconto, frutto della fantasia e dell’esperienza di Daniele Scaglione, si può acquistare il suo libro, oppure (prima di acquistarlo) si può partecipare a uno dei due incontri che sono in programma giovedì 23, a Varese oppure a Ispra.

“La bicicletta che salverà il mondo” è il titolo di un libro che unisce la passione dell’autore (quella per la bicicletta) e la sua esperienza di vita accanto agli ultimi, ai poveri del mondo. Ne è uscita una raccolta di racconti molto piacevoli, intelligenti e scritti con passione. L’obiettivo è quello di catturare il lettore e condurlo dentro a realtà attuali, storie di povertà e di fame, attraverso i continenti.

E l’elemento costante è la bicicletta, mezzo e strumento di libertà, emblema di un mondo a misura d’uomo: la bicicletta invita a scoprire il mondo, invita a viaggiare slow, la bicicletta è tolleranza concreta, è ecologia quotidiana, è una scelta compatibile con il mondo che ha bisogno di cambiare.

Daniele Scaglione lavora per Action Aid un’associazione internazionale e indipendente che da trent’anni  si batte contro la povertà e l’esclusione sociale. Ha scritto i suoi racconti con grande sensibilità: e benché il suo libro sia tutto sommato minuscolo, ha sia una prefazione (firmata da Francesco Moser) e una postfazione (scritta da Edoardo Maturo).  I proventi dei diritti d’autore di questo libro vanno a sovvenzionare la campagna “Operazione fame” di ActionAid.

Mi piace la narrativa che fa del bene concretamente: un fine nobile, per il quale bisogna dare merito sia all’autore, sia ai lettori. Per incontrare e conoscere Daniele Scaglione vi aspetto a Varese, il 23 febbraio, alle ore 18 presso la sala Film Studio, in via De Cristoforis 5.

Dopo cena, alle 21, Daniele Scaglione presenterà il libro e incontrerà amici, lettori e simpatizzanti di Action Aid a Ispra (Va), sul lago Maggiore, presso la sala Serra del palazzo comunale.

 Guarda il video: la bicicletta che salverà il mondo

Quando il calcio è da romanzo

«Damiano Tommasi, l’attuale presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, è stato il primo italiano a giocare nel campionato professionistico cinese. Lo dice anche Wikipedia. Ma non è vero. Ad anticiparlo, di qualche anno tra l’altro, è stato Arnold Schwellensattl da Merano. Uno che nel gigantesco Paese asiatico ha rischiato la vita, due volte. Prima quando è finito in ospedale per una ginocchiata al fegato, poi quando i dirigenti del suo club, il Chongqing Lifan, gli hanno comunicato che non gli avrebbero più garantito l’incolumità. Volevano ingaggiare un altro straniero al suo posto. Un serbo, non Tommasi….».

Mauro Corno parla sempre volentieri dell’altro calcio, anche se è un gigante che non stonerebbe in un quintetto base di una squadra di basket: fisico da cestista per uno tra i più sensibili giornalisti di calcio italiani. No, lasciate pardere le mille tribune sportive delle tv locali e nazionali: questo cronista brianzolo non è il tipo che troverete ogni sera a sbraitare in diretta tv a proposito di calciomercato e gossip.

Mauro Corno si è invece ritagliato una spazio tutto suo, è tra gli ultimi “romantici” di uno sport che vive sempre più di vanità e aria fritta. Ha scritto un libro con dentro decine di storie di un altro calcio: e ogni storia potrebbe essere una valida trama per un romanzo. Emigranti del pallone, sconosciuti o quasi, avventurieri che sembrano di un altro pianeta, se paragonati alle primedonne del campionato italiano.

Ora vi sorprendo: come è bello il calcio quando ritorna povero ed essenziale! Ecco accontentato, dunque, chi mi credeva allergico al pallone.  Quando lo sport s’intreccia con le storie di vita, anche i calciatori possono evocare poesia.

Qual è il vostro campione da romanzo?

Ah, mi raccomando, vi consiglio il libro di Mauro:  

Mauro Corno

Ai confini dell’impero. Storie di emigrazione del calcio italiano

Sedizioni, 126 pagine, 11 euro

Un libro da treno e la mia bicicletta

Sono abituato a prestare biciclette, lo faccio da più di trent’anni. Eppure, io, figlio di un ciclista, non ricordo di aver mai avuto una bicicletta nuova. Perché nella bottega di mio padre, negli angoli più polverosi di un’officina che funziona da settant’anni, c’era sempre qualche piccolo bijoux a pedali che, una volta ripulito e rianimato, diventava come nuovo. Come la mia prima Learco Guerra, gialla, alta mezzo metro e che, quando mio padre me la regalò, quella bici aveva visto molto più mondo di me, piccolo Gimondi di quattro anni. Una bici da cucciolo, ma con il manubrio dei campioni, quello da corsa. Ecco, la differenza tra una Saltafoss recapitata da Babbo Natale nelle case degli amici e le mie bici era negli accessori: c’era sempre qualche particolare che la rendeva unica, che faceva spalancare la bocca agli altri bambini. E poi finiva sempre con un: «Me la fai provare?». «Sì, ma solo per un giro» rispondevo. In realtà non sono mai stato geloso della mia bicicletta, ma lo dicevo per non sembrare un “pappamolla”. Tra gli ex bambini oggi papà c’è ancora chi ricorda la mia Chiorda anni Settanta, blu: aveva due optional che suscitavano invidia, un sellino rosso e il cambio nel mozzo. E con quella bici arrivavo ogni mattina a prendere il battello, nella mia Angera, per andare a scuola sull’altra riva, ad Arona: sempre tirato coi tempi, sembravo Cipollini in volata, mentre il battello era già pronto a riprendere il largo.
Un mesetto fa, quasi due, ho incontrato Stefano a Torino. Teneva in mano un libro dal titolo curioso, “Via della Casa Comunale n°1”, scritto da lui: un’idea nata da un blog e trasformatasi in un piccolo sogno di pagine e carta. Un diario di un “senza dimora” è diventato la fiaba poco gentile e irriverente, anzi dura e cruda, per far scoprire un mondo diverso anche a chi ha avuto tutto dalla vita. Stefano era preoccupato, quel giorno, perché doveva restituire la sua compagna di viaggio al legittimo proprietario: e senza bicicletta, lui, aggrappato alla vita tenendo i piedi sui pedali, temeva di diventare un uccello con le ali tarpate. Non più un falco, ma un pollo, costretto a vedere un solo mondo reale, quello attorno alle sue zampe.
Era da tanto tempo che non prestavo più la mia bicicletta: ora è la casa di Stefano e gira l’Italia e scopre città, strade e mondi che mai aveva visto prima. E vive avventure che mai avrebbe potuto vivere. Stefano Bruccolieri ha ribattezzato la mia bici “la poderosa” ed è diventata una dimora viaggiante: bianca e verde, con il manubrio da cicloviaggiatore. E se vi capita d’incontrarli per strada, lui a vendere il suo libro meraviglioso, lei infagottata e piena di borse, li vedrete felici entrambi: due anime sensibili, una in carne d’ossa e una d’acciaio, che brindano idealmente alla vita.

Libri da treno: Eco no, Gramellini nì, Buzzati sì

Eccomi alle prese con nuovi libri. Nel fare il “guardone” sulle carrozze dei treni locali, ho sbirciato abbastanza per notare l’abnorme diffusione de “La caduta dei giganti” di Ken Follett, roba da bulimici della lettura e decisamente scomodo da sfogliare in una carrozza affollata, come il Taf per Varese… Ci sono segretarie che si stanno scolpendo i bicipiti grazie alla lettura in equilibrio di questo tomo. Tuttavia, mi sono fatto convincere ad acquistarlo, dal mio libraio di fiducia. Con il libraio, inoltre, ho discusso anche del Cimitero di Praga di Umberto Eco: ricevuto in regalo, accattivante, ma assolutamente impossibile da leggere in treno. Formato da palestrati, come il romanzo di Follett, e soprattutto contenuti che richiedono troppa concentrazione: ho iniziato a leggerlo tra Legnano e Busto Arsizio, tuttavia, mi perdoni professore, non c’è il giusto clima per gustare certi testi fino in fondo. E’ come se il mio vecchio professore di filosofia venisse a prendermi per il bavero e mi riportasse a forza in biblioteca, costringendomi a fare uno sforzo notevole per ricordare personaggi e idee studiate qualche anno fa: e dopo una giornata a digerire il mio capo e altre gatte da pelare, è sinceramente troppo. Per il professor Umberto ci vuole un bel tavolo su cui appoggiare il suo romanzo, una sedia rigorosamente non imbottita, silenzio o musica classica in sottofondo, e un buon caffè. Tornando al mio libraio, si discuteva con lui dell’ostentazione di cultura che sembra diventata quasi un’ossessione del nostro più autorevole scrittore italiano: si vendono comunque parecchie copie, una parte finisce nelle mani di chi la prende come una sfida e prova a misurarsi con le conoscenze storiche e filosofiche sconfinate di Eco, ma c’è anche una parte molto consistente di copie che è destinata al ruolo di soprammobile “radical chic” dei salotti.
Molto meglio, dal mio punto di vista (vista finestrino o corridoio, ma pur sempre in treno), il saggio di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini, La Patria, bene o male, soprattutto per la scelta di suddividere in capitoli brevi, la loro lunga, personale (ma piacevole) storia dell’Unità d’Italia: ma un saggio, pur piacevole che sia, consente davvero poca evasione.
Dove ho trovato rifugio? In un vecchio classico, il Deserto dei tartari di Dino Buzzati. A tu per tu con Giovanni Drogo, nella sua Fortezza, alla ricerca della “grande occasione”, tra le stazioni di Parabiago e Vanzago.
E voi? In quali pagine vi siete nascosti? Non dite tra i fogli di “Io spio”, vi supplico.

Dal blog al libro: da treno, scritto in treno

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Libri da treno, li chiamo così, quelli che fanno compagnia ai pendolari. Anche quando i pendolari sono autori o protagonisti…
Ecco cosa ho scritto in quarta di copertina:
Lorenzo Franzetti è nato e viva ad Angera, in provincia di Varese… Quello che di solito si legge in questo punto di un libro dovrebbe essere la parte più noiosa. Tutti gli autori si augurano che sia così. Io sono cresciuto sul Lago Maggiore e, da bambino, avevo un sogno: “voglio fare il giornalista” pensavo. Un giorno ci sono riuscito, ma mi hanno detto: “Questo è un mestiere finito, i vecchi giornali non esisteranno più”. Dopo qualche anno, allora, ci ho riprovato: “voglio fare lo scrittore” mi sono messo in mente. E non appena ho trovato un editore disposto a darmi una chance, molti altri mi hanno avvertito: “Questo è un mestiere finito, la gente legge sempre meno e i libri non saranno più come un tempo”. Ecco, io avrei anche il sogno di fare il cuoco, tuttavia, visto l’andazzo, eviterei di causare catastrofi all’umanità intera. Per ora insisto nel raccontare storie, vere o di fantasia, nella convinzione che ne varrà sempre la pena.
Anche grazie a questo blog!

Lorenzo Franzetti
Dove finisce Milano.
Nebbia pendolari e altre storie
Pietro Macchione editore
152 pagine

Un libro da treno: Agnes Browne, mamma

Niente morti ammazzati, storie di serial killer o mostri perversi: in treno, per fortuna, ci si può rilassare anche con un buon libro che fa sorridere e che fa riflettere. Fa sorridere, questo splendido romanzo di Brendan O’Carroll, ma in alcune pagine arriva anche a farti spanciare, senza mai sfociare nel volgare delle battute gratuite di certe cabarettiste del momento, così in voga anche in libreria. L’editore Neri Pozza, da qualche anno, sforna romanzi che mi hanno davvero entusiasmato.
Agnes Browne, come vorrei averti conosciuta! Magari in un pub, mentre sorseggiavi una birra o al mercato, impegnata nel vendermi un sacchetto di patate. Oppure mentre ballavi con il tuo mito, Cliff Richard. Viva l’Irlanda proletaria degli anni Sessanta, viva i piccoli eroi che, con le loro vicende quotidiane, insegnano a prendere la vita con dignità: sempre e comunque, anche quando per sbarcare il lunario bisogna fare sacrifici.
Che donna, Agnes Browne! Bella, ma così lontana dai modelli che, a quanto si legge e si vede in tivù, fanno successo e arrapano. Non ha un sedere a disposizione di un miliardario, Agnes Browne, non frequenta festini e non scende a compromessi: i soldi per vivere li guadagna con il sudore della fronte. La sua bellezza è virtù, esteriore e interiore, non uno strumento di guadagno.
agnesbrownmamma

Letture da treno: l’orribile karma della formica

Sul solito lercio treno delle 6,43, stamane rischiavo di perdere la fermata: dialogavo mentalmente con Arcadio Buendia (il protagonista del romanzo che sto leggendo) a proposito di formiche e reincarnazioni.
Già, perché Desi, che lavora per una compagnia di assicurazioni, mi aveva appena parlato in modo entusiasta dell’ultimo libro terminato, tra andate e ritorni in ferrovia: “L’orribile karma della formica”, un romanzo di David Safier.
Kim è una donna in carriera, conduttrice televisiva di successo si ritrova spesso a mettere in primo piano la sua carriera anziché la famiglia, ovvero un marito e una figlia dolcissimi. Ma un giorno Kim muore per un incidente assurdo e rinasce come formica. Tuttavia, a ogni karma positivo si reincarna in un animale ogni volta più grosso, fino a tornare uomo.
Mi chiedo a quale punto di questa scala verso la redenzione siano posizionati i pendolari: secondo Darwin saremmo l’evoluzione della specie, oltre l’uomo e l’automobilista. All’opposto, ovvero secondo il pensiero metafisico, saremmo più simili a peccatori in purgatorio, reincarnati da una cimice, forse (visto l’odore che si avverte nelle carrozze del treno). Pensieri balzani di una mattinata grigia grigia…

Dimmi cosa leggi, pendolare…

Al bando la freepress, dunque, tra le prime cause d’inquinamento ambientale dei treni pendolari e d’inquinamento mentale degli stessi viaggiatori che ne fanno un uso smodato, spesso improprio. Sui locali del mattino e della sera, i libri, per fortuna, resistono… Anzi continua a essere il feticcio ideale del pendolare, è la finestra su un mondo parallelo, la scorciatoia verso una fantasia che permette di evadere almeno con la mente da una carrozza lercia e maleodorante che, stamane, ha raggiunto livelli al limite della vivibilità.

Treni, metrò, autobus: a ogni mezzo un libro. In genere la differenza sta nel formato e nel numero di pagine, ma a volte anche nel contenuto: questo vale soprattutto per chi, ogni mattina, prende un solo mezzo pubblico. Per chi, invece, si barcamena su più mezzi, la scelta dipende semplicemente l’umore del momento. Il libro da treno, in genere, è di un formato che si può tranquillamente appoggiare sulle ginocchia mentre si sta seduti. Io non faccio testo, poiché sto leggendo “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez, edizione economica, scritto piccolo: questo mi costringe a leggere lentamente, a soffermarmi di più e a rileggere spesso i passaggi più intensi. Insomma è un po’ più faticoso di un bel tomo scritto grande, come per esempio un rassicurante “Libro dei morti” di Patricia Cornwell elegantemente sorretto da un’avvenente signorina seduta di fronte a me, stamane. Chissà quali idee avrà per il week-end…

C’è poi il libro da metrò, in genere di dimensioni ridotte dal peso e formato minimo, facile da tenere in mano mentre si sta in piedi, nella vettura strapiena di gente: spesso la scelta cade su autori con ritmo veloce, dalla scrittura facile, immediata, che usa capitoli molto brevi. Andrea Vitali, per esempio, ha lo stile ideale per chi ama ingoiare capitoli che durano un paio di fermate o tre. Il libro da autobus, invece, è più light soprattutto come contenuto, in genere umoristico: la Littizzetto e Oreglio spopolano alle fermate.

Come accennato, chi usa più mezzi sceglie in base all’umore: e com’è l’umore dei pendolari, in questi giorni? Sbircio a destra a sinistra nella mia carrozza e vedo, lì accanto, un ragazzo assorto nella lettura di “A ritroso” di Joris Karl Huysmans. Chiedo di parlarmene e il giovane, sicuramente uno studente, risponde in poche parole: «È il manuale del perfetto decadente». Il protagonista è un nobile parigino, stanco della vita. Il libro racconta le fobìe di un uomo che vive in una stanza arredata come fosse una nave… Coraggio, pendolari: su con il morale!