Jack, ragnetto rosso, ha fermato i processi. Vi sottopongo la dichiarazione di guerra di un altro ospite del tribunale, oltre ai miei compagni roditori. Come un caporibelle libico è in cerca di un francese, che possa fare giustizia, o quanto meno che possa farlo entrare in una barzelletta di quelle che si raccontano ai vertici internazionali. Sulla vicenda, invece, gli italiani hanno già deciso di fare piazza pulita. I rossi in un palazzo di giustizia sono troppo scomodi, lo dicono i sondaggi. Al contrario delle vedove nere che, invece, creano meno imbarazzo e solleticano i ricordi dei nostalgici di ben altri palazzi.
“Sì sono Jack, sono un trombide e anche io sono finito in procura. Trombide nel senso biologico e non un malato di bunga bunga, come si potrebbe pensare con fin troppo facili allusioni: sono nipote di John l’acaride, altro trombide di razza, ma con Mubarak non ho nulla a che fare. Mentre in Parlamento si discute del fine vita, che scopro dal nostro presidente essere anche questo un privilegio dei pm, qui in tribunale il fine vita l’hanno deciso senza troppi complimenti: fine vita per noi ragnetti rossi. Ma io intendo sopravvivere: provate a schiacciarci tutti, ma quel colorino rosso sulle vostre manine resterà indelebile o quasi. Impossibile estinguerci: cercate, andate pure a cercare nelle vostre enciclopedie, di cosa ci nutriamo. Escrementi, escrementi soprattutto di volatili… ecco, allora, un ragnetto rosso che mangia stronzi, che fastidio vi dà?
Al quinto piano di questo magnifico tribunale, mi aggiro tra i faldoni del caso Ruby e ne leggo di tutti i colori: cara Milano, un ragnetto rosso potrebbe un giorno testimoniare e mandare tutto a p. Un giorno, ve ne accorgerete, parlerò: e saranno guai per tutti”.