Polipropilene, l’invenzione del secolo, quella che gli porta il pane. E quel senso di potere su bambini, burattinai e giocattolai: un potere da riempirsi le tasche di caramelle. Come una sorta di cleptomania da dolci. L’ultima volta aveva ceduto proprio nell’ufficio del giocattolaio, il suo miglior cliente: un attimo di distrazione generale e zac, si era già riempito mani e tasche di gommose alla frutta, tanto gli sembravano lì per lui. E per chi sennò?
Rughe seminascoste da una barba spelacchiata, come il più randagio tra i gatti, a colorare di grigio un volto che, per ogni istante in cui gli balena un pensiero folle, si colora a festa, seguito da una risata secca tipica del venditore che ha fumato parecchio. Vendere polipropilene è come vendere la rivoluzione del Novecento: “Ci fai tutto: a cominciare da palette e secchielli, formine e racchettoni, e tanto altro, tutto quanto fa giocare i bambini d’estate” e ghigna da solo, sulla carrozza di un treno che lo porta, appunto, dal cliente prediletto: l’ultimo giocattolaio, l’ultimo donatore di sogni in un’Italia che ha smesso di giocare con la fantasia più innocua.
Tra i pendolari, sghignazza e pensa a un’offerta da mettere sul tavolo: si beccherà del pirla, pirla a ripetizione, lo farà sbraitare il giocattolaio, ma alla fine il prezzo lo decide lui. O così, o la Cina: il suo polipropilene muove un’economia, ma non la strozza. Non fa comodo a nessuno, a cominciare dalla sue tasche piene di caramelle.
Sacchi, bancali di polipropilene: lui ridacchia e l’altro, il giocattolaio, mugugna e già pensa a una nuova invenzione, a qualcosa da provare sul mercato. Un mercato che dipende dai sorrisi dei più piccoli, dalle loro manine protese verso oggetti colorati, dai loro occhietti illuminati a tal punto da far cedere mamma e papà. Egli, il venditore spelacchiato, si nutre della debolezza dell’ultimo giocattolaio, di quella tenerezza che, già sa, gli farà guadagnare a monte. E lascia sfogare il suo cliente, si prende del pirla e, una volta fuori dall’ufficio festeggia, con le caramelle che strabordano dai pantaloni e una stravaganza improvvisata: una bella verticale, fatta lì sulla strada, appoggiato alla saracinesca di un negozio. Come il più folle tra i giullari: a 65 anni, gli riesce ancora bene e se ne vanta spesso, anche coi clienti che gli danno del pirla. Ma che gliene importa, ha già il contratto firmato e il biglietto di ritorno, su quel treno in cui ridono in pochi. Chissà perché si ride così poco sui treni, pensa ogni volta. Dal giocattolaio, invece, si ride eccome, anche se amaramente, mentre fa la verticale e scatena litanie di “se l’è, matt?” dalle labbra di pettegole di paese nascoste dietro le persiane.
Il contratto è firmato, il giocattolaio è ai suoi piedi, anche se gli ha dato trenta volte del pirla. Sul treno, ora, eccolo là, è risalito al suo posto, ma dentro a un vagone che non ride: e, allora, gracchiando come una cornacchia, con la rapidità di un felino, balza a testa in giù in grande equilibrio, nel corridoio della carrozza, sul treno lanciato a gran velocità. Occhi sgranati, applausi e sorrisi. Compresi quelli della procace signora, scollacciata e accaldata, seduta lì accanto: era triste e annoiata, dentro alla sua abbondanza, ora ride, sì ride proprio come sperava lui… il venditore della rivoluzione.
«Dovrebbe passare col piattino, ora, a raccogliere monete» si allarga la signora.
«No, mi basta molto meno. Lei avrebbe qualche caramella?» domanda lui, con lo sguardo che indugia non alle sue grazie, bensì alla sua borsetta.
«Certo, gommose alla frutta, ma è roba che piace ai bambini»
«Non si preoccupi, sono perfette. Sentivo che c’era del feeling, tra me e lei». Complicità di sguardi, pensieri impuri che durano un istante, ma già pregusta il vizio che, questione di un minuto, andrà a consumare.
Sei tornato alla grande Topo Franz, con un bel ritratto davvero.
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