«Mille per mille e il libro di Marco Polo, tre orizzontale». Parole crociate in libertà, di prima mattina, condivise ad alta voce dal tavolino del bar dell’angolo e per tutto il marciapiede: ecco uno dei passatempi preferiti di Nebbia che corruccia lo sguardo, si passa la matita nel cespuglio che ha al posto della barba, conosce la risposta, ma tace per qualche istante. L’enigmistica a lui serve per socializzare, per sentire una voce che si unisce al gioco e poi, chissà, finisce a parlare della vita, delle donne o dell’Inter. E intanto fuma un pezzo di toscano.
Il primo di agosto, però, i cruciverba a Certosa sono cantilena nel deserto di un quartiere chiuso per ferie, non morto, ma assopito. Non in vacanza, ma ritirato chissà dove, dietro persiane semichiuse verso strade che sprigionano calore e umidità. C’è Sandro, il barista, ma è rintanato là dentro, in compagnia della sola aria condizionata, e c’è il ragionier Ponchio che sembra non aver voglia di giocare, ma la risposta gli vien fuori così, come d’istinto per uno come lui che con i numeri ha una certa dimestichezza: «Mille per mille fa un milione, quello che mi ci vorrebbe per mandare affanculo tutti». Nebbia risponde con una risata soffocata da un colpo di tosse, perché non gli era mai capitato di sentire la voce del Ponchio e mai si sarebbe immaginato che un signore così riservato potesse lasciarsi andare con simili espressioni. Sono quattro giorni che il ragioniere passa le giornate seduto al tavolino: arriva di buon mattino, alle otto. Sta lì seduto tra giornali e caffè, ogni tanto fuma, sbircia nella sua valigetta, guarda nel vuoto, si nasconde dietro a un cellulare microscopico e tace. Soprattutto, tace. Nebbia conosce la verità, non l’ha saputa da nessuno, l’ha semplicemente intuita: il ragionier Ponchio, da quattro giorni, non va in ufficio ed è un libro aperto al capitolo disperazione. «La situazione attuale, sa, ci costringe a scelte dolorose e lei capirà, il suo rapporto di lavoro con noi finisce qui. La ringraziamo e le auguriamo buona fortuna»: è andata, più o meno, così. Licenziato in due minuti, quanto basta per buttare nel cesso ventitré anni di sacrifici, per l’azienda, per la causa comune: «Già, ma ora come faccio da dirlo a mia moglie e ai miei figli?», sono state le sue parole intrise di magone pronunciate davanti al direttore del personale. Sono passati quattro giorni e la famiglia Ponchio non sa nulla. E un ex ragioniere continua a prendere il treno al binario uno di Canegrate, convoglio carrettone privo di ogni comfort e con fermata a Certosa: a seguire, dieci minuti a piedi tra fabbriche dismesse e un cavalcavia dell’autostrada e altri cinque lungo un viale che, invece di condurre al suo ufficio, ora si ferma prima, a quel tavolino tra i platani e il marciapiede. La moglie a casa, i figli all’oratorio e lui lì seduto a consultare annunci di lavoro.
«Ditzamo, guardi, ditzamo che lei Ponchio, qui, non conta un cazzo», era stato l’avvertimento di un perfido manager di origine emiliana, ma che della sua terra, ora, non conserva che la parlata. Era un messaggio chiaro, quello, dopo che il superiore aveva scoperto che il Ponchio si era incautamente confidato al collega Perelli, noto aziendalista e spione, dicendo di volersi iscrivere al sindacato. Poi, dopo qualche settimana, altri segnali poco confortanti. «Sa, la crisi, ditzamo che richiede un’attenta valutazione, ditzamo, che prenda in esame la congiuntura che porterà probabilmente, ditzamo, a un riassetto strutturale in attesa che il mercato, ditzamo, riprenda a dare segnali confortanti»: aria fritta mirabilmente modellata da un supermanager da ottomila euro al mese, più buona uscita da nababbo, in caso di affondamento dell’azienda. Si fregia del titolo di bocconiano, l’emiliano, mica come un ragioniere qualunque, qual è il Ponchio. Studente a pieni voti presso il santuario milanese del “fàa danée” e oggi autentico sacerdote dell’unico grande credo che esalta i cattedratici della finanza: gli utili a monte, le perdite a valle. A monte ci sta lui, a valle i poveri cristi con le loro famiglie. E il Ponchio era un povero cristo, anche se non completamente scemo, tant’è che aveva colto il senso del discorso: il riassetto strutturale sarebbe passato dalle chiappe di qualcuno, forse anche le sue.
«Il milione, ragioniere, la risposta esatta è proprio milione. E lei che ci farebbe con un milione?», prova a sdrammatizzare Nebbia, lontano da lui non più di tre metri e due tazzine di caffè.
«Prima bisogna averlo davvero in mano il milione, poi quando si è sicuri di avercelo, si può ragionare. Io comincerei con l’andare fino a quell’azienda là, nell’isolato qui vicino, salirei le scale e andrei da un certo signore: “ditzamo che ora lei se ne va a fare in culo, ditzamo, a fare in culo lei, la congiuntura e il riassetto strutturale”, sarebbe il primo sfizio, poi al resto ci penso».
«Se l’avessi io, forse glieli regalerei, sa. Non me ne frega, io ci ho paura dei trop danée, caso mai mi vadano alla testa. E a proposito di testa, già sono messo male così, figuriamoci se i soldi la guastassero ancora di più. Anzi no, magari del milione farei metà: una a lei e l’altra metà me la tengo per assumere una badante brasiliana superaccessoriata, “solo distinti”. Già perché con un milione sei un distinto, mica un puttaniere qualsiasi». Ci aveva provato a dipingersi come l’uomo del gran gesto, Nebbia, ma anche in sogno sbraca sulla gnocca: ecco il vero difetto che gli impedisce di passare per filosofo professionista.
Intanto, però, il Ponchio riprende morale: «Se la mettessimo sulla fantasia, allora avrei un sacco di idee anch’io. Intanto manderei i figli a studiare in America e io e la mia signora ci passiamo un bel periodo da coppia di mezza età. Eh, la mia signora… già che ci sono, la manderei anche dal carrozziere, ma uno di quelli buoni, quello dei vip, a rifarsi un paio di taglie o tre di seno: è un regaluccio che ogni tanto mi chiede, ma che indubbiamente farebbe piacere anche a me. Mia moglie dice che la signora Santucci, la donna dell’idraulico, ha trovato una clinica in Brianza che faceva pure gli sconti e già che c’era si è fatta gonfiare davanti e tirare su dietro».
«Eccola, la piccola borghesia che si perde nel silicone!».
«Sì, ma fare l’idraulico, oggi, è quasi come fare il gioielliere. Però ha la figlia che si droga».
«Con la mamma che vuol fare la soubrette, è il minimo…io che pensavo che voi in provincia avevate le mogli che pensano a fare la salsa di pomodoro, visto che siamo ad agosto».
«La passata la troviamo al discount, quanto al resto, da noi in provincia, l’importante è che sembri tutto normale, tutto perfetto».
E anche il ragionier Ponchio, egli lo sa bene, è uomo di provincia, di una provincia troppo vicina alla città e troppo lontana dalla campagna, troppo piccola per soffocare il pettegolezzo, troppo cresciuta per essere immune dai mali tipici della periferia di una metropoli: meglio tacere, non dire, non far sapere e tutto sembrerà come sempre. Ma a fine mese qualcosa accadrà, la verità verrà a galla… È più o meno così che scoppiano le tragedie di provincia. Ma un ragioniere non può perdere la testa, dice lui, gesti insani e folli non ce ne saranno. «Domani vedremo», dice sempre. Intanto sorseggia il suo caffè davanti a Nebbia, fissando un telefonino muto.
«Quasi quasi vendo questo aggeggio al marocchino là al semaforo. L’altro ieri mi ha offerto cinquanta euro… almeno con quello ci porto la mia signora in pizzeria anche domenica, come facciamo sempre».
«Ah, per me quella è chincaglieria, ma per lei, ragioniere… meglio che lo tenga da conto, caso mai arrivasse la telefonata della svolta».
«Ah, allora per me è già venduto».
La mattinata scorre lenta e appiccicosa, il pomeriggio ancora di più. Nel mezzo, una michetta col salame e spuma nera mischiata al vino rosso, come nelle vecchie osterie meneghine. L’indomani arriva comunque, presto, nonostante la noia.
Poche ore e un nuovo caffè è sul tavolino del ragioniere, che prima di sedersi si aggiusta la cravatta proprio come se stesse per appoggiarsi alla scrivania dell’ufficio, un gesto che non ha mai perso, è come un tic. Anche Nebbia è sempre là, dove l’aveva lasciato il giorno precedente, con il cruciverba sotto gli occhi, la matita che scrolla un po’ di forfora dalla nuca e un dodici verticale da completare. Ma stavolta è Ponchio a rompere il silenzio: «Oggi te lo faccio io l’indovinello: dove va a dormire un cornuto?»
«Quelli veri dormono sempre nello stesso letto, con la moglie. Che è successo, ragioniere?».
«L’idraulico, boiavacca…Ieri ho preso il treno prima perché mi annoiavo qui al bar e l’idraulico Santucci aveva un gran lavoro sulla nostra lavatrice. Ma tra lui e la lavatrice, c’era in mezzo la mia signora…. Chela troia!».
«Oh Madonna! E il telefonino, cosa cavolo lo tiene in tasca per fare? Lei non sa, ragioniere, che è sempre buona regola telefonare alla moglie prima di rientrare in casa? E che ha fatto quando ha scoperto il fattaccio?»
«Chi ha fatto cosa? Lei, come niente fosse, è andata a farsi la doccia e almeno quella funzionava. Io, invece, sono stato cacciato di casa perché le ho detto che mi hanno licenziato, ma l’ho chiamata zoccola. L’idraulico, invece, ha tirato su i pantaloni e prima di andarsene ha pure salutato. Perché l’educazione viene prima di tutto».
«Non se la prenda ragioniere. Certo che l’idraulico è un tipo strano… manda la moglie a gonfiarsi come un canotto in clinica, ma poi si riconverte alle tardone vecchia maniera. La riparazione della lavatrice almeno l’avrà fatta gratis e le persone per bene si vedono dal saluto».
Ragionier Gianantonio Ponchio, disoccupato reo confesso e pigro nell’utilizzare il telefonino, torna sul mercato e, nel frattempo, alloggia da mamma Esterina: «Ecco dove va a dormire un cornuto di provincia. Una pensione minima in due può bastare, almeno per un po’». La povera donnetta che l’ha allevato lo considera ancora un ragazzotto che deve farsi le ossa: quarantasei anni sono pochi per capire come vanno il mondo e le donne di oggi, dice lei. «Sicuramente mi metterà a zappare nell’orto, mi ha già detto che ci sono i pomodori da cogliere. Quando ha saputo che torno da lei, è rifiorita, dice che vuol fare la salsa come tanti anni fa».
Le mamme di provincia, ad agosto, cuociono e imbottigliano passata di pomodoro. Lo fanno ancora, ma soltanto quelle dai settant’anni in su. La metropoli è lontanissima per loro, lavano a mano e non hanno tempo per i cruciverba. Nebbia farà a meno delle risposte del ragionier Ponchio, ma sui pomodori è sensibile: «Lei è fortunato! Pensi che io ho dei gran pomodori giù in fondo, vicino al cimitero, ma non ho nessuno che mi faccia la salsa».
«Se lo sapesse mamma Esterina… c’è un treno locale che ferma alla mia stazione già di buon mattino. Portali su, i pomodori, che domani facciamo giornata».