“La mafia è buona!”… Ma lo Stato vince sempre

Il magistrato Catello Maresca si racconta ai microfoni degli studenti dei Licei del viale dei Tigli

“Lo Stato vince sempre, lo so.”

Sono queste le ambigue parole pronunciate dal boss mafioso Michele Zagarìa la notte del 7 Dicembre 2011 che riecheggiano ancora nella mente di Catello Maresca. Noto magistrato italiano, PM alla procura di Napoli, autore del libro “la mafia è buona!” -il cui argomento cardine è la lotta alla mafia casalese- e coordinatore della cattura del boss della mafia casalese Michele Zagarìa, Maresca ha preso parte alla conferenza tenutasi ai Licei del Viale dei Tigli di Gallarate lo scorso 30 Marzo 2019.

Foto di De Sarno Antonio

La conferenza ha avuto inizio con un fragoroso applauso degli studenti, i quali, non riconoscendo il volto del dottore tra quelli della scorta e dei carabineri della Compagnia di Gallarate, azzardavano ipotesi su chi potesse essere il famoso relatore. Dopo un’ampia e doverosa presentazione, il magistrato Maresca e il giudice del tribunale di Busto Arsizio Nicoletta Guerrero hanno raggiunto gli studenti moderatori sul palco.

Il magistrato ha esordito con la cronaca del caso di cattura di Zagarìa, avvenuta in un blitz delle forze dell’ordine il 7 Dicembre 2011. Maresca ha inoltre enfatizzato concetti che molto spesso la collettività dà per scontati, come ad esempio accettare uno sconto su un acquisto dal commerciante di quartiere per non ritirare lo scontrino. Talvolta ironizzando, il magistrato ha illustrato come è avvenuta la cattura del latitante casalese, affermando infine che “non sempre i mali maggiori sono evidenti: Zagarìa aveva l’aspetto di un uomo comune, non certo di un boss mafioso. Era abbastanza basso a dire il vero”.

Con l’attenzione degli studenti totalmente puntata su di lui, Maresca ha successivamente portato il discorso su un piano molto più umano, descrivendo le difficoltà che lui stesso, a causa del suo lavoro, incontra nella sua vita privata. “Avendo dodici uomini di scorta al seguito è chiaro che si perda l’intimità della famiglia. Ma nonostante ciò sono fiero della mia scelta: era un bivio che prima o poi avrei dovuto affrontare. La soddisfazione più grande è mia figlia di quattro anni che all’asilo, alla domanda della maestra “che lavoro fa il tuo papà? risponde “il cacciatore di cattivi”.

Foto di De Sarno Antonio

Al termine della conferenza, il dottor Maresca ci ha rilasciato un’intervista, durante la quale sono state approfondite le tematiche trattate nelle due ore precedenti.

Cosa, ma soprattutto, quale avvenimento le ha fatto decidere di intraprendere questo percorso?

Già a quattordci anni ero sicuro di voler diventare magistrato, ma vi fu una scelta particolare fatta intorno ai quindici anni e legata al mio percorso di studi che mi indirizzò definitivamente su quella strada. Quando ero in primo liceo classico, giocavo a calcio. Questa mia passione mi prendeva molto tempo e a causa di ciò non riuscivo a studiare molto. Al termine del primo quadrimestre, dopo una pagella non molto buona, mio padre mi mise a un bivio: continuare gli studi e perseguire una carriera lavorativa di successo o giocare a calcio. Mi ricordo che piansi tre giorni. Consegnai il borsone alla sede della squadra e cominciai a studiare. Seriamente questa volta.

Ha mai avuto dubbi o ripensamenti riguardo questa scelta?

No. Mai.

A ripensare agli avvenimenti che l’hanno coinvolta, come il blitz del 7 Dicembre 2011 a Casapesenna, che emozioni prova?

Non penso si possano descrivere le emozioni: si tratta di un misto tra soddisfazione e gioia, ma anche di ricordi e momenti difficili. E’ anche questione di soggettività; ogni grande persona che sta dietro a questi fatti prova emozioni e ha ricordi diversi.

Prova rancore verso Zagarìa e la mafia casalese?

No, non sono una persona che porta rancore. Penso solamente a fare il mio lavoro nel miglior modo possibile.

Come si inserisce la mafia nella nostra quotidianità?

Come spiego nel mio libro “la mafia è buona!” si inserisce in ogni momento in cui noi deliberatamente decidiamo di violare le regole, dalle più banali, come il caso del commerciante di quartiere, alle più complesse. Che poi si tratti di crimine isolato, mafia o criminalità organizzata poco importa; nel nostro piccolo stiamo aprendo uno spiraglio di accesso a soggetti che sono abituati a violare queste regole. Basta poco per creare meccanismi da cui poi è difficile uscire.

Qual è il suo ricordo più vivido del caso Zagarìa?

Sicuramente quando sono sceso nel bunker e ho incontrato per la prima volta “Capastorta”, come lo chiamano a Napoli. C’è stata un po’ di delusione nel guardarlo e trovarlo… semplicemente un uomo. Non c’era neanche quell’aura di mitologia criminale che si era creata attorno alla sua figura.

Durante la conferenza ha citato Zagarìa dicendo “lo Stato vince sempre”. A oggi, che significato ha per lei questa frase?

Significa tutto. Significa che lo Stato, quando c’è la volontà reale di estirpare un male e ci sono le condizioni per farlo, riesce a vincere sempre. Significa che la potenza di una Nazione unita è al di sopra di tutte le mafie.

 

La mafia è un cancro sociale: si infiltra nei muscoli della collettività, sviscera, distrugge e lascia dietro di sè solamente una scia di sangue e degradazione. Davanti ai nostri occhi abbiamo le stragi di Falcone e Borsellino, del magistrato Livatino e purtroppo innumerevoli altre. Ma così come un malattia, la quale, se individuata in tempo, si può curare, anche nella società odierna si può rimarginare la ferita inflitta dalla mafia parlandone, denunciando e sensibilizzando la collettività. Perchè come affermava Peppino Impastato: “La mafia uccide. Il silenzio di più”.

                                                                                                                                    Carlotta Lunardi

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