Una volta ad Alassio c’erano gli inglesi. Con i loro giardini, le loro ville, i tennis club, le loro Rolls Royce. Una vera colonia che ha toccato punte di tremila presenze fisse.
Ora, segno dei tempi che cambiano, una delle perle, Villa Della Pergola, è in mano ad Antonio Ricci. Il patron di Striscia e delle veline l’ha acquista e ristrutturata per farne un Bed & breakfast di lusso (da 350 a 550 euro per dormire).
Impossibile intervistarlo o anche solo parlare con il direttore. La signora (inglese) che mi accoglie è gentilissima, ma non posso far altro che aspettare. La telefonata con il responsabile della Villa non sblocca nulla. «Non posso dirle niente e non può far foto. Si deve rivolgere all’ufficio stampa».
Senza nemmeno accorgercene, siamo diventati il paese degli uffici stampa e delle società di comunicazione.
Chissà cosa ne avrebbe pensato Daniel Hanbury, che non poteva certo immaginare che gli avrebbero dedicato la via principale di Alassio. Come tanti suoi connazionali aveva scelto l’italian riviera per il suo clima.
«Oggi purtroppo gli inglesi non vengono più qui. È cambiato il tipo di clientela e di turismo. Con meno soldi prendi un aereo e vai dove ti pare. Noi abbiamo dormito per troppo tempo sugli allori. Si capisce perché negli ultimi anni, solo ad Alassio, abbiano chiuso settanta alberghi». Gianni Gaibisso è uno che ci crede alla possibile riscossa della sua città. Ha ristrutturato il piccolo hotel di famiglia passando da 14 a 28 camere. Un servizio impeccabile (a parte un’angusta scaletta provvisoria per raggiungere il terzo piano) e una camera nuovissima con ogni tipo di comfort a un prezzo davvero popolare.
«C’è anche un problema immobiliare perché i prezzi sono arrivati alle stelle e i proprietari preferiscono chiudere e fare piccoli appartamenti. Per la città però è una politica sbagliata perché il turismo delle seconde case non porta nessun vantaggio. Inoltre, è finito il periodo in cui tutto il bel mondo faceva tappa fissa ad Alassio».
In effetti basta darsi un’occhiata in giro per capirlo. Un discreto movimento di gente, ma oltre un tentativo di animare la città il venerdì sera con varie iniziative non si va.
Sembra passato un secolo da quando Mario Berrino organizzava le serate al suo Caffè Roma. Mitiche quelle del 1973 con Walter Chiari, Modugno, Bramieri, Silvan, Dorelli, Patty Bravo, la Zanicchi, Milva e per chiudere Celentano.
Il fondatore del celebre Muretto arriva sulla sua cinquecento decappottabile rossa. Il 22 di questo mese compie novant’anni. Avevo perfin timore a chiedere di lui e la sorpresa per me è doppia. Gli occhi vivaci si nutrono dei colori con cui trasforma le tele. È un uomo di mare e di collina e si vede nei suoi quadri.
È contento e si diverte quando gli racconto del mio viaggio sulle tracce di Michele Serra venticinque anni fa.
«Che persona stupenda quel Michele Serra. Abbiamo fatto tanto di quel ridere con lui. Oggi è cambiato tutto. Ci vorrebbe più fraternità, più amore per la città e invece chi amministra litiga in continuazione e pensa solo ai propri interessi. Si potrebbe fare ancora tanto per Alessio e abbiamo bisogno di piccole cose. Da un’idea semplice come il Muretto guardi cosa è venuto fuori. Arrivano qui da tutto il mondo ed è la prima cosa che chiedono di vedere».
In nessuna altra parte della città c’è un via vai così continuo di gente che va alla ricerca delle firme conosciute. Nato tutto per caso, per condividere la gioia della relazione con Hemingway. «Abbiamo iniziato con lui, il Quartetto Cetra e Cosimo Di Ceglie. Per evitare guai con il Comune le mettemmo su all’alba. Dopo qualche giorno altre sei mattonelle e ora ne abbiamo centinaia. Miss Muretto è arrivata dopo, nel 1953, ed era figlia della festa della Gran Cagnara. Una sfilata dei costumi più divertenti e ridicoli che serviva per animare la città».
Altri tempi, altra spensieratezza, ma anche altre teste. E Berrino chiude la chiacchierata pensando al suo prossimo compleanno. «Si diventa vecchi quando si smette di usare la testa».
Auguri Mario
Il libro
Hanno seguito il viaggio
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