C’è già aria di sud a Gaeta. Te ne accorgi da come parlano. Tony, come tanti suoi coetanei, avrebbe potuto perdere il dialetto, e invece ci tiene e ne conosce la storia. Fa il comandante di navi e, dopo aver girato il mondo, ora lavora sui traghetti per Ventotene. “Nella nostra parlata c’è un po’ di ciociaro e un po’ di napoletano, con una punta anche di pugliese”. Tanto sud. Del resto queste cittadine, fino a quando il Duce non fondò Littoria, erano in provincia di Caserta. Latina è una storia recente. Appena settantasei anni. Un vanto del fascismo che bonificò la zona paludosa. Ancora oggi, insieme con i treni in orario e la previdenza sociale, gli estimatori di Mussolini si fanno grandi ricordando le imprese di quando c’era Lui.
Cambia il paesaggio e cambiano pure alcuni prezzi. Un caffè costa sessanta centesimi, ma questi sono solo dettagli.
Lasciata Ostia ho fatto una corsa contro il tempo. Una sorta di “mission impossible” per raggiungere Chiara Valerio a Formia, per la presentazione del suo libro Spiaggia libera tutti. Mi interessa conoscerla perché i suoi racconti descrivono in modo avvolgente le atmosfere di provincia. Lei è di Scauri, a due passi da Formia, Gaeta e Sperlonga, che messe insieme fanno quasi centomila abitanti ai confini della Campania.
«Scauri è un po’ come Macondo. Ci sono gli zingari, gli ossessionati, le famiglie che rincorrono da generazioni e qualche puttana. Solo che a Scauri c’è il mare, anche se gli scauresi non se ne accorgono nemmeno. Il mare è come una tovaglia di tutti i giorni o come la polvere controluce. Sta lì, da sempre, non ci fai caso».
Ci fanno caso invece quelli di Gaeta e Sperlonga. Loro vivono di turismo e gli stabilimenti balneari si susseguono uno dietro l’altro negli spazi che lascia libera la montagna. La strada litoranea è la ricchezza e la disperazione degli abitanti di quelle cittadine. È trent’anni che combattono per realizzare una variante della SS7 Appia, che chiamano Pedemontana, ma nel frattempo, come racconta Chiara, questa è «irrealizzabile a causa dell’abusivismo edilizio».
Il traffico però non riguarda solo le vie di collegamento tra le cittadine. La via Vitruvio, l’arteria pulsante di Formia, è una lunga e continua fila di auto e motorini. Una strada stretta, densa di negozi e attività commerciali che, chiusa al transito dei mezzi, diverrebbe luogo di incontro e passeggio senza il rischio di venir schiacciati.
In questo centro di quarantamila abitanti ci sono due monumenti imperdibili. La tomba di Cicerone, ma soprattutto il “cisternone”, una delle più grandi strutture idrauliche romane sotterranee giunte sino a noi. Lunga 65 metri e larga 25, venne costruita nel I secolo a.C. e fungeva da centro di raccolta dell’acqua proveniente dalle colline sovrastanti, e da qui veniva ridistribuita tramite un ingegnosa rete idrica.
Le città sono una dietro all’altra, divise solo dai cartelli stradali. Arrivo a Gaeta e scopro che da oltre quarant’anni nel suo porto c’è la nave di Hitler. La storia me l’ha raccontata Georgette Ranucci. Una splendida signora, sigaro in mano, viene da queste parti da quando era bambina, ed è la figlia del protagonista di una vicenda che lega la storia, la passione per la vela e il mare.
L’antefatto. Nella notte del 31 maggio del 1916 a Skagerrak, un braccio di mare tra la Danimarca e la Scandinavia, si combatté la più importante battaglia navale della prima guerra mondiale. Oltre ottomila morti. Uno smacco per la marina inglese che ne perse seimila contro quella tedesca.
Alla fine degli anni ’30, Hitler decise di farsi costruire una nave per partecipare alla coppa America. Una due alberi che veleggiasse e conquistasse l’ambita gara, con il nome di quella cruenta battaglia.
Lui non salì mai su quella barca. Se la presero gli inglesi come bottino, e rimase a Brema per diversi anni.
«Skagerrak arrivò poi nel Mediterraneo attraverso i canali della Francia e venne acquistata da un imprenditore italiano. Finché un giorno mio padre non la vide al porto di Anzio e fu subito innamoramento. Nel 1963 l’acquistò. Da allora la usiamo noi, e c’è un pezzo di Hitler a Gaeta».
Sul litorale di Gaeta, a Porto salvo, questa settimana si festeggia la Madonna. La seconda domenica di agosto, dopo la processione lungo i vicoletti del quartiere, la statua viene caricata su una barca e portata a fare un giro del promontorio dove sorge Gaeta vecchia. In quella zona vengono gettate in acqua delle corone di fiori in ricordo dei caduti della seconda guerra mondiale. Me lo raccontano madre e figlio seduti su una panchina, mentre aspettano l’inizio del concerto di Orietta Berti, la star della festa.
Quei morti, a cui la Madonna, o meglio i suoi fedeli, fanno omaggio, non trovano pace, almeno nei numeri. Quanti furono? Duemila è sempre stato raccontato fino a quando don Paolo, un parroco solerte e studioso di storia, non è andato a spulciare i registri dell’anagrafe. Secondo lui non furono più di 209. E intorno a questo, anche recentemente, si è riaperta una polemica. La gente di Gaeta e dintorni non sembra però così preoccupata per queste dispute numeriche. Alcune migliaia hanno riempito la piazza e adesso cantano con l’Orietta nazionale che fa stare tutti sulla corda, ma poi alla fine l’ intona: “finche la barca va, lasciala andare…”