Buon Natale e Buon Anno Nuovo

Per il NATALE e per il NUOVO ANNO, che ricordano entrambi la nascita di Gesù Cristo, dedichiamo a tutti voi che visitate ogni tanto questa“Bottega del Pittore” una bella riflessione di Alex Zanotelli (del 2002 ma attuale più che mai), un’altra di Frei Betto (sull’infanzia) e alcune fotografie di bambini del mondo.

GRAZIE per le vostre visite e per i vostri commenti ai POST e tanti auguri a tutte e a tutti di serenità, pace e amore!…………………….

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Alex Zanotelli

UN ALTRO NATALE E’ POSSIBILE

Con il Natale la vita vince nonostante tutto.
Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell’umanità (Tagore).

Viola, la perla bianca di Anna, nata nel cuore della ricca Brianza ha davanti a sè ottanta anni di vita (se tutto va bene) e una dote iniziale di 25.000 euro.
Njeri, la perla nera di Rachele, nata nella baracca di Korogocho ha davanti a sè quaranta anni di vita (se tutto fila liscio) e una dote iniziale di soli 250 euro.
Due mondi, due bimbe, divise da un invisibile muro di vetro.
La prima, Viola, fa parte del 20% dell’umanità che si “pappa” l’83% delle risorse mondiali.
La seconda, Njeri, fa parte dell’ oltre un miliardo di ‘esuberi umani’ che devono accontentarsi dell’ 1,4% delle risorse, costretti a vivere con meno di 1 dollaro al giorno: sono gli innocenti di cui si rinnova la strage oggi. E Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché essi non ci sono più.


Milioni di bimbi muoiono di fame, malattie, aids: un bimbo muore di fame ogni due secondi, 11 milioni ne muoiono all’anno per malattie meno gravi di un raffreddore, centinaia di milioni non inizieranno neanche la prima elementare.
Due mondi, due Natali.

Il nostro è il Natale dell’opulenza, delle luci, dei regali, del consumismo, degli affari. È un business senza fine, è uno shopping anche di domenica.
Questo sfavillio di luci natalizie sembra un meraviglioso “acquario” in cui guizzano costosissimi pesciolini esotici. A scrutarlo centinaia di milioni di bimbi dal volto scuro che guardano affascinati l’acquoso ed esotico luccichio.

Fino a quando la parete di vetro proteggerà il banchetto degli esotici pesciolini?

Per assicurarci che la parete di vetro sia davvero infrangibile e ci protegga eternamente da quei visi sognanti di bimbi affascinati noi investiamo somme astronomiche in armi: Usa ed Europa nel 2003 programmano di spendere 750 miliardi di dollari.
Un altro Natale non solo è possibile ma è urgente e necessario!

Boicottiamo il Natale dei pesciolini esotici: il Natale dei consumi, dei regali, degli affari, un Natale ‘pagano’ che ha ben poco da spartire con quel Bimbo che nasce in una mangiatoia alla periferia dell’impero, fuori dell’acquario anche lui indistinguibile volto nero in mezzo agli altri volti scuri.

Diciamo no al consumismo vieppiù indotto e incentivato e diciamo sì alla festa natalizia della famiglia allargata a nonni, cugini, zii, nipoti ma anche alla famiglia dell’immigrato che lavora per noi o che ci è più vicino.

Diciamo no al decadente e ripetitivo tango di regali, e diciamo sì ad un consumo critico, al regalo fatto in casa con amore e con le proprie mani, o a quello equo e solidale di lavoro fatto “in dignità”.

Diciamo no alla stupida pervasività televisiva e diciamo sì alle relazioni umane in famiglia, ritornando a raccontarci gioie e dolori e a riprendere confidenza con l’immaginario, la fiaba prendendo a cuore anche la bellezza del celebrare insieme il fascino del Natale.

Diciamo no alla violenza e alla guerra e diciamolo con fierezza, e diciamo sì alla pace e alla nonviolenza con evidenza mettendo bandiere arcobaleno ai nostri balconi e camminando con uno “straccetto bianco di pace”.

Solo così il Natale ritornerà ad essere la festa della vita che farà rifiorire la speranza di un altro mondo possibile.
Coraggio, dunque, ci può ancora essere un Buon Natale!

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Frei Betto

QUEL BAMBINO SONO ANCORA IO

In questa Giornata dell’Infanzia, vado a incontrare il bambino che ancora sopravvive in me. Non appartiene a questo tempo di atrocità. Non che il mondo un tempo fosse migliore. Non lo era neanche per i bambini. Molti lavoravano duramente nei campi, sanguinavano l’infanzia rovesciando contenitori di immondizie, sbocciavano in grandi quantità, nel mezzo del XX secolo, dalle memorabili pagine di Charles Dickens.

La cosa diversa è che il mondo era lontano dal mio villaggio protetto tra le montagne. E io non avevo idea che la sofferenza non colpiva soltanto gli adulti…

Sono stato un bambino né ricco né povero: felice. Avevo due paia di scarpe, quello per la scuola e quello per le messe domenicali e i compleanni. La cosa divertente, tuttavia, era andare scalzo nel fango prodotto dalle piogge, infilare le gambe nel torrente d’acqua che lavava le strade in pendenza, sentire sotto i piedi il prurito aspro dei parallelepipedi che coprivano le strade di Belo Horizonte.

La mancanza dei giocattoli industriali, cari e rari, stimolava la nostra creatività. Con la mente popolata dai racconti dei fratelli Grimm e dalle storie di Hans Christian Andersen, da un manico di scopa nasceva un cavallo; da una tavola e quattro cuscinetti a sfera, un carretto; da una cassetta, un castello; da un pezzo di piombo fuso, l’imbattibile esercito dei soldatini di Napoleone…

I racconti di Monteiro Lobato ci spingevano a ricreare, nei cortili alberati, la fattoria del Picchio Giallo. Sì, c’erano case e, sul retro, orti assolati, alberi di jabuticaba e di goiaba che ci proteggevano, ponti e trapezi nelle nostre avventure di un Tarzan indigeno.
Ragazzini armati di arco e freccia e, a parte, bambine che si dedicavano alla cure delle bambole, preparando saporiti e immaginari bocconcini…

L’infanzia si spargeva generosa in quei giorni straordinariamente lunghi.
Per tutto c’era tempo: scuola, compiti a casa, sport, giochi e ne restava ancora. E la disciplina paterna ci imponeva limiti e protezione: fare il bagno prima di colazione e di cena, tutta la famiglia riunita a tavola alle ore dei pasti, pochi soldi per il cinema la mattina della domenica, il desiderio libero dalle ansie e immune dal consumismo.

La parola colesterolo non esisteva, di modo che si mangiava di tutto, soprattutto grazie alle vantaggiose offerte dei venditori del mercato, quando ci vedevano in compagnia della mamma: una fetta di ananas o di papaia, un cachi maturo; il dolce di latte nella coppetta del gelato; un pezzetto di morbida caciotta di Minas…

E i dizionari non comprendevano il vocabolo “marchio”. A mala pena ci accorgevamo della marca delle scarpe da tennis o dei vestiti che usavamo, cose che, come il materiale scolastico, passavano da un fratello all’altro, perchè erano fatte per durare, come le immortali biciclette.

Le nostre ragazzate indispettivano gli adulti, senza offese o danni: tirare piombini nelle cassette della posta, fare scherzi col telefono, appiccicare gomme americane sulla sedia del professore, bloccare con il cerotto il campanello della vicina…

C’era un rassicurante sentimento di appartenenza al clan, di fedeltà al suo codice di condotta: la collaborazione in cucina della madre e delle zie che preparavano tutti i dolci delle feste di compleanno; l’albero di Natale gravido di primizie e promesse; le domeniche d’abbondanza alla tavola dei nonni; la magia incantatrice del circo; i picnic in riva al Lago di Pampulha.

E’ cambiato il mondo, è cambiato il Natale e anche l’infanzia. Si spezza l’incanto, si fanno più rari i nonni pazienti, la TV assorbe l’immaginazione infantile, la fantasia si colora di marchi. La strada è proibita; il cortile è sostituito dallo shopping; il desiderio è contabilizzato; l’allegria finta; i giocattoli da buttare rapidamente.

Diminuisce oggi la rispettosa distanza tra bambini e adulti, aprendo spazio all’irriverenza, alla mancanza di rispetto, alla mancanza di educazione. Non bisogna generalizzare, è vero. Ma mi spaventa vedere figli che danno ordini ai genitori e bambini, negli autobus, indifferenti ai più vecchi che viaggiano in piedi.

L’infanzia ha perso la sua innocenza? O l’innocenza non ha più infanzia?
Quanti genitori pregano con i loro figli? Quanti si liberano dal pudore per accarezzarli? In altri tempi un semplice gelato scaldava l’angolo più intimo e indelebile della memoria.

I nostri eroi possedevano la caratteristica messianica dell’altruismo, anche se incatenati al manicheismo della divisione del mondo tra le forze del bene e del male. Obbedire era una condizione, non un’imposizione. Mantenere la disciplina in classe era una regola, non un’eccezione. Si faceva della religiosità una porta aperta all’incontro dell’immanente con il trascendente, del naturale con il soprannaturale, dell’umano con il divino. Come ci consolava avere angeli custodi!

C’è ancora un bambino che mi abita. Continua ad essere allegro, pieno d’amore, immerso nelle fantasie. Sessantenne, sogna un futuro pieno di promesse e crede che solo i vecchi muoiono. Ma, oggi, lui sa che la vecchiaia non è solo un attributo dell’età.

Ci sono molti bambini invecchiati prematuramente a causa del lavoro precoce, dello sfruttamento sessuale, dell’indifferenza degli adulti, i cui cuori di carne si pietrificano, incapaci di provare incanto, curiosità e senso di vertigine dell’anima di fronte all’immensità del futuro.

Ingessati dal letargo dell’amarezza, resistono a togliersi le scarpe della prudenza e immergere i piedi nel fango delle gratificazioni, a lasciare che la piena dell’imprevisto imbeva gli abiti e la pelle, resuscitando il sublime momento dell’infanzia.
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