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Un giorno si alzò, e realizzò di non essere felice.Aveva passato tutta la sua vita ad inseguire un sogno, e questo si era realizzato solo parzialmente.Aveva 29 anni, viveva in uno scantinato con altre cento persone, lavorava per un uomo che lo sottopagava e maltrattava. Qual era stato lo scopo dei suoi anni di studio?

Fin da bambino, leggeva fumetti, ed era sempre rimasto affascinato da quel mondo sconosciuto che tanto lo faceva divertire e sognare. Fin dalle scuole elementari aveva iniziato a scrivere delle piccole scenette, che faceva vedere ai compagni con entusiasmo, e loro apprezzavano i suoi sforzi creativi. Obbligato dai genitori a frequentare la scuola di geometra, aveva dovuto abbandonare il suo sogno di seguire una scuola di fumetti, poiché la famiglia aveva ben altri progetti per lui. Tuttavia, anche i professori si accorsero di questo talento, e lo invitarono a seguire il suo sogno. La decisione cui si trovò di fronte fu una delle più difficili della sua vita: doveva decidere se seguire il suo sogno, lasciando e deludendo la sua famiglia, oppure se seguire le indicazioni date dai genitori e rinunciare per sempre alla sua realizzazione personale per conseguire i sogni di qualcun altro. Si prese un anno di tempo per riflettere, ma la spinta che gli arrivava dal cuore era più forte di ogni altra. Così, deludendo ogni aspettativa dei genitori, scelse il fumetto. La strada non fu semplice: si ritrovò solo, in una città completamente nuova, con pochi soldi da parte, senza il sostegno della sua famiglia, senza lavoro e senza casa. Dormiva in una piccola pensione in periferia, ma sapeva che se non avesse trovato un lavoro, un qualsiasi lavoro, presto i suoi risparmi sarebbero finiti. Quindi si mise alla ricerca. Dopo diversi giorni in cui girovagò senza meta per la città, senza che avesse trovato da lavorare, incontrò su una panchina sul lungo fiume un uomo, che gli offrì, un letto su cui dormire e un posto dove lavorare. Egli accettò, consapevole che presto, finiti i soldi, non sarebbe più riuscito nemmeno a mangiare. Inoltre, se avesse accettato quel lavoro sarebbe riuscito a mettere da parte i soldi per frequentare il corso di fumettista, che sarebbe iniziato di lì a qualche giorno. Non aveva però fatto i conti con la realtà in cui si sarebbe venuto a trovare. L’uomo lo portò in uno dei quartieri periferici della città, in un edificio tanto vecchio, che sembrava potesse crollare da un momento all’altro. Gli fece vedere la sua stanza: era nello scantinato, era piccola e buia, con una sola finestra minuscola, che faceva entrare pochissima luce. E aveva anche un compagno di stanza! Come avrebbero fatto a dividersi quello spazio così piccolo? Tuttavia notò con piacere che in un angolo c’era un tavolino: almeno avrebbe potuto scrivere e disegnare i suoi fumetti! L’uomo lo lasciò lì, nell’umidità di quella piccola stanza, in compagnia di un ragazzo piuttosto giovane dall’aria spaesata e triste. Gli chiese informazioni, sull’uomo che lo aveva portato lì (perché non le aveva chieste prima?), sul lavoro che sarebbe andato a svolgere, sul salario. E ciò che scoprì lo mandò nello sconforto. Il lavoro era pesante, durava 12 ore al giorno, il salario era bassissimo quando lo si riceveva, il riscaldamento non c’era, non c’erano giorni di riposo. E non c’era nemmeno la possibilità di uscire da quel posto! Pena: le botte del capo. Quando iniziò a lavorare, il giorno dopo, gli sembrò di avere iniziato a vivere in un incubo. Si ritrovò in una ditta di scarpe, insieme, stimò, ad altre cento persone circa, tutte con la stessa aria spaesata e triste del suo compagno di stanza, sempre sporchi, perché ci si poteva lavare una sola volta alla settimana, denutriti, perché il pranzo prevedeva solamente riso e acqua, mentre la cena prevedeva una minestra annacquata e, quando andava di lusso, una sorta di spezzatino, di non si sa quale animale, con la carne più dura del cemento. Il suo compito, in quella catena di montaggio, era lucidare le scarpe. Un compito tutto sommato meno pesante di altri: dopo i primi giorni di stanchezza delle braccia, si abituò al lavoro, e questo diventò meno duro. 

Il capo veniva ogni giorno, almeno tre volte al giorno a controllare che tutti svolgessero bene il proprio lavoro insieme ad un altro uomo, alto e molto muscoloso, che faceva paura solamente a guardarlo da lontano. Se gli operai non svolgevano bene il proprio lavoro, il capo li frustava. E la stessa cosa accadeva se venivano scoperti difetti nelle calzature. Insomma, una vera vita da incubo! Ben presto anche lui diventò spaesato e triste come tutti i suoi compagni, ma lui aveva una risorsa che gli altri non avevano per non arrendersi alla realtà: i suoi fumetti. Ogni sera infatti, nonostante le tante ore di lavoro, riusciva sempre a disegnare qualche vignetta, e questo lo manteneva vivo in un mondo che presto avrebbe potuto schiacciarlo come aveva fatto con altri.

Il giorno che si alzò e realizzò finalmente che quella non era la vita che aveva sognato decise che sarebbe scappato: anche a costo di farsi uccidere. Non poteva rinunciare al suo sogno! Aveva studiato per diventare fumettista, aveva rinunciato all’affetto della sua famiglia, aveva dimostrato di avere talento: non poteva lasciar perdere i fumetti e lasciarsi morire! Così iniziò a pensare a un piano per fuggire da quel posto. Dopo giorni di riflessioni, di ipotesi insieme al suo compagno di stanza, anche lui con un sogno da inseguire, si ritrovò di nuovo nello sconforto: non avevano trovato una via di uscita. Le porte del reparto dove lavoravano avevano catene e lucchetti, ovviamente all’esterno, e fuggire da lì era impensabile: l’unico momento in cui le porte venivano aperte era quando entrava il capo per i suoi controlli, ma non sarebbero mai riusciti a fuggire in quel momento. Se avessero tentato, chissà quante frustate avrebbero preso! Fuggire dalle camere non si poteva: erano nello scantinato, lungo un unico corridoio con un’unica via di uscita, e anche questa porta veniva chiusa con catena e lucchetto dal capo una volta che era stata servita la cena, e anche se avessero voluto scappare nei momenti precedenti la cena, non ce l’avrebbero fatta, perché nel corridoio giravano sempre almeno due compagni del capo a controllare.

Perciò, i due compagni di stanza iniziarono ad entrare nello sconforto. Tuttavia un giorno non poterono credere al loro colpo di fortuna. Il capo, durante la mattinata, venne a controllare gli operai, sempre in compagnia dell’altro uomo. Ma quel giorno c’era qualcosa di diverso in lui: aveva il viso sofferente, faceva fatica a camminare, e ad un certo punto egli crollò a terra, a causa di dolori lancinanti. L’altro uomo, preso dal panico, corse via per andare a chiamare aiuto. E nel fare ciò, lasciò aperta la porta del reparto. Che strano: un uomo così grande e grosso, sempre pronto a frustare gli altri, che fa una sciocchezza simile! I due ragazzi non conoscevano la fabbrica, sapevano che rischiavano di essere presi e frustati, se non peggio, ma presero il coraggio a due mani e oltrepassarono la soglia: tanto il capo era troppo sofferente per accorgersi di loro due. E gli altri compagni erano troppo impegnati a soccorrere il capo per far caso alla loro fuga. Quindi, se non avessero incontrato nessuno in giro, si sarebbero accorti della loro assenza solo molto tempo dopo. Così si ritrovarono in un corridoio che avevano percorso centinaia di volte per tornare alla loro stanza. Tuttavia non presero la direzione opposta: corsero all’impazzata fino a quando non arrivarono ad un’altra porta, probabilmente anche questa lasciata aperta dal compagno del capo in preda al panico, e rimasero felicemente sorpresi nel vedere che erano già arrivati all’esterno di quell’edificio orribile. Una volta abituatisi alla luce esterna, che non vedevano ormai da diversi mesi, ripresero a correre con le poche forze che avevano in corpo, fino alla recinzione, che riuscirono a scavalcare anche se con qualche difficoltà, perché era alta più di due metri: ma non potevano farsi scoraggiare proprio ora! Così superarono anche questo ostacolo, e corsero di nuovo, lontano da quel posto da incubo. Corsero per un tempo che a loro parve interminabile, fino a che non arrivarono nel centro della città. Lì si sentirono più al sicuro, e camminarono per riposarsi, alla ricerca di una centrale di polizia. Quando la trovarono vi entrarono, e fecero subito denuncia di ciò di cui erano stati vittime, poiché non avrebbero mai potuto abbandonare gli altri compagni nelle mani del capo. Una volta sbrigate le pratiche, vennero accompagnati in un centro per senza tetto, vennero finalmente nutriti con un pasto caldo e abbondante, e dormirono in un letto vero, con una coperta vera. Da quanto non provavano quel piacere! Il giorno seguente, girando per la città, scoprirono che la polizia aveva fatto irruzione nell’edificio, aveva trovato circa un centinaio di operai malnutriti e maltrattati così come lo erano loro due. Il capo, insieme ai compagni, venne arrestato. I due ragazzi non avevano l’animo cattivo, ma visto quello che aveva fatto loro l’unica cosa che riuscirono a pensare fu: “Meno male che l’hanno trovato! Devono frustarlo, così come lui e i suoi compagni hanno fatto con noi! Deve patire come noi!” Dopo un mese da quella fuga, il ragazzo triste e spaesato, che non era più triste e spaesato, decise che si sarebbe trasferito negli Stati Uniti, dove aveva una zia, per poter frequentare una scuola di canto, e invitò il compagno di stanza ad andare con lui. Così, grazie all’aiuto dell’associazione che li aveva ospitati, partirono, in cerca di una nuova vita. Quando arrivarono, per loro era già tutto organizzato: avrebbero frequentato la scuola di canto e la scuola di fumetti, avrebbero aiutato la zia nel suo negozio per riuscire a guadagnare soldi per pagare i corsi e avrebbero vissuto a casa della donna fino a quando ne avessero avuto bisogno. Era decisamente un’altra vita! Quando iniziò a frequentare la scuola, inizialmente ci furono molte lezioni teoriche, poi si passò a quelle pratiche. Il primo compito fu quello di creare una vignetta che rappresentasse le ragazze americane. Lui non ne aveva conosciute molte: tra studio e lavoro, il tempo per uscire a divertirsi era limitato. Tuttavia quel pomeriggio di primavera, si concesse un po’ di riposo all’aria aperta: ancora non lo aveva fatto dal giorno della fuga! Andò nel parco della città, ed ebbe un colpo di fortuna: sul muretto di cinta vide sedute delle ragazze, da lontano sembravano tutte uguali: capigliatura simile, vestiti simili, postura simile. Così decise che sarebbe stata la sua prima impressione delle ragazze americane che avrebbe sviluppato per il suo compito: molto simili tra loro fisicamente, che seguono la moda del tempo in maniera improrogabile, tuttavia sempre disposte a interscambiarsi, e a cambiare ruolo a seconda delle occasioni della vita. E soprattutto, per loro fortuna, ignare dei mali che regnano nel mondo.

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