Progetto, febbraio 2013

Buongiorno a tutti,

lunedì 18 febbraio, sono arrivato a Malindi, dopo un viaggio durato 10 ore by bus, partito dalla capitale.

Lunedì 25 sarò nuovamente a Nairobi, in attesa di mercoledì 27, giorno in cui prenderò l’aereo per tornare in Italia.

Progetto

Il progetto pilota dei pomodori ha dato il suo esito: le piante di pomodoro non possono crescere allo Loiyangalani. Queste le motivazioni:

1-      clima equatoriale estremo, raggiunte punte di 65 gradi Celsius ed umidità del 10%;

2-      vento forte 50 – 60 km/h;

3-      assenza di naturali vettori per lo stadio dell’impollinazione.

Inizialmente, ero rimasto deluso dal risultato di questo progetto sperimentale di aiuto umanitario, fino al giorno della mia partenza dallo Loiyangalani, mercoledì 13 febbraio.

Giornata in cui ho fatto conoscenza con la responsabile di una O.n.g. tedesca, molto interessata al progetto idroponica, alla mia esperienza presso il lago ed alle mie conoscenze ambientali acquisite durante la permanenza.

Mi racconta che vogliono far partire il progetto di un kitchen garden, ossia di un’orto, proprio allo Loi.ani, per dare frutta e ortaggi freschi agli abitanti del lago.

Utile è la mia collaborazione per la conoscenza del clima, del tipo di terreno, della qualità dell’acqua.

Ecco allora che posso fare tesoro dei miei 5 mesi passati allo Loiyangalani per indirizzare questa Ong, guidata dalla responsabile, Mrs. Katrin Seris, sulla via giusta.

Potrò dare loro consigli su come coltivare e con quali sostanze naturali locali, il tipo di piante più idonee a crescere in un ambiente così ostile, consigli sulla mentalità delle persone che incontreranno, per la maggior parte, persone che masticano conoscenze di pesca e pastorizia e dunque se vorranno mantenere attivo il progetto nel tempo, dovranno puntare moltissimo sull’educazione dei giovani, fin dalla primary school, per ottenere il successo desiderato.

Ecco dunque, che la mia esperienza trova una ragion d’essere, con questo trasferimento di risultati, di feedback raccolti in questi mesi, affinché altri possano portare avanti questo cammino.

Ben più felice è la riuscita dell’orto delle suore e del padre, i quali hanno dato ottimi frutti.

Abbiamo potuto mangiare watermelons, angurie dal dolce gusto, veder nascere e maturare le zucche gialle, i cetrioli, le bietole, le coste ed infine il basilico.

Infine voglio sottolineare, il regalo dei 6 pannelli solari, usati inizialmente per il progetto, donati alla parrocchia dello Loiyangalani, nella persona di fr. Andrew Ndirangu.

Essi hanno contribuito ad incrementare e portare ad un regime di autonomia la potenza elettrica necessaria per il fabbisogno degli alloggi, della chiesa, della hall per i meeting usata solitamente dai catechisti e come spazio di ritrovo della maggior parte dei bambini dello Loiyangalani.

Così è terminata la mia esperienza allo Loiyangalani, ricca di conoscenze e di emozioni, in special modo ricordo tutte le sisters, sr. Agnese, sr. Agostinella, sr. Lucimar, sr. Guendalina, good luck sister e the last but not the list, the king of the Turkana lake, father Andrew Ndirangu.

Gabriele

Riporto di seguito la mail inviata da Mrs. Katrin Seris

Dear Gabriel,

 I hope all is well. As discussed last week in the catholic mission in Loiyangalani VSF Germany will start a kitchen garden in the area. Since you have had quite some experience with planting fruits, herbs and vegetables during the past 5 months it would be interesting for us to know some of the experiences you have made. It would be good to know things like which plants worked our well, which plants did not grow and why? How is the quality of the soil? How did you treat the soil and the plants? Any other experiences you have made and you consider important for planting fruits and vegetables?

I am looking forward hearing your feedback. Thanks a lot for your support.

With kind regards,

Katrin.

Katrin Seris, VSF Germany, Liaison Officer

Nairobi, febbraio 2013

Eccomi qua,

seduto in questa piccola ma essenziale camera del Flora Hostel a Nairobi, scrivo in questo mite sabato sera della capitale keniota.

Dallo Loiyangalani a Nairobi, in un unico viaggio.

Viaggio, forse è la parola che ho utilizzato di più durante questa mia ricca esperienza africana.

Ho viaggiato tanto, in tutte le condizioni possibili, sia, in un primo tempo da passeggero e sia in seguito come driver.

Viaggiare in Africa percorrendo lunghe distanze è quasi un must.

Ma andando in ordine temporale degli eventi, che tanti si sono succeduti, menzionerei in primis,

l’attesa decisione di padre Andrew di partire in tempo per Nairobi per la celebrazione del Deaconate Ordination di Caesar, il seminarista ugandese con la quale ho condiviso molte giornate allo Loiyangalani.

Partenza fissata per mercoledì delle ceneri 13 febbraio, dopo la celebrazione della funzione liturgica di rito, per le ore 22:00.

Messa da me saltata a piè pari, per l’ennesima avventura accadutami.

La mattina dello stesso mercoledì, sister Lucimar si reca per organizzare l’uscita programmata, out of reach, per portare le vaccinazioni ai bimbi di Larash, villaggio poco distante dallo Loi.ani.

Un villaggio che si trova tra valli sassose, dove il caldo è opprimente, pochi gli arbusti che sopravvivono ma nonostante tutto ciò, vi abita l’uomo.

La stessa mattina, recandomi in town, vedo un camion pieno zeppo di ascari, la polizia locale armata tutto denti.

La sera prima, martedì 12, è scoppiata l’ennesima guerriglia tra Samburu e Turkana, motivo, lo scippo di animali da parte dei Samburu a danno dei Turkana, tre i morti, sparati a fuoco.

Mi informo sul luogo, la maggior parte mi indica il monte Kulal e i suoi verdi pendii, altri dirigono il loro dito indicandomi in linea d’aria, Sarima e Larash.

Primo fattore da considerare i continui spostamenti di questi pastori con al seguito i loro preziosissimi greggi o mandrie di bestie, dunque nessuno sa veramente dove si sono ficcati.

Sister Lucimar difronte al padre, chiede l’orario della partenza e il driver, il padre mi nomina driver per Larash per le 13:00.

Accetto.

L’imprevisto impegno, ha fatto si di anticipare il bucato, impegni vari ed una sorta di preparazione bagagli.

Finito pranzo, verso le 12:30, aiuto sister Lucimar a caricare i bagagli contenenti medicinali, vaccini, attrezzatura varia, dal peso non indifferente, per esaminare i bambini.

Mi accompagna una ragazza del gruppo di supporto hiv, parla poco l’inglese, da quanto capisco vuole salutare alcuni parenti nel villaggio.

Passiamo a prendere l’infermiere del dispensario governativo, dove carichiamo altri vaccini, per poi raggiungere la casa di Gabriella, infermiera del dispensario cattolico con la quale ho lavorato molto.

Gabriella non è ancora pronta, sono le 14:00, scendiamo dal pick up in sua attesa.

Questo è stato il punto di non ritorno, l’altra infermiera viene a conoscenza della sparatoria nei pressi in cui dobbiamo andare, intavola un’accesa discussione.

Giace insicurezza sul volto di Gabriella, partire o non partire ?

Faccio notare che più si discute senza prendere una decisione più tempo passa e più velocemente troveremo il buio davanti a noi, allora si che saranno problemi, soprattutto per me, in quanto non conosco la strada e preferirei guidare alla luce del sole.

Le mie parole vengono comprese, si decide di partire accompagnati da un escort, un PKR, ossia Police Kenian Reserve, un ufficiale della polizia armato con un fucile da 50 bullets, con opzione tiro singolo o tiro multiplo.

Si fanno le 14:45, partiamo.

La strada inizialmente è facile se non per qualche breve tratto, a metà percorso cambia nettamente, si viaggia solo su grandi pietre, rocce, sassaiole nelle quali le 4 ruote sprofondano pericolosamente.

Ma il bello deve ancora arrivare, si procede lentamente, visivamente pianifico la salita che ho davanti, scalo, seconda, prima, il motore si spegne a metà salita.

Freno a mano, malfunzionante, il pick up, scivola, lo tiro al massimo del leveraggio,  niente da fare, l’ascari smonta dal vano posteriore, mentre gli grido stone, stone, dopo un po’ capisce, blocchiamo il mezzo con 4 grandi pietre dietro le gomme, le donne nel frattempo escono, senza alcun timore.

Mi rimetto al volante, avvio il motore, ma niente anzi più provo più la batteria si esaurisce.

Dopo svariati tentativi, mi rassegno.

Cerchiamo soluzioni alternative.

Controllo il vano motore, l’olio c’è, il diesel seppur poco ce n’è quanto serve, fili batteria collegati ed integri, noto la pompa di mandata del diesel che non si indurisce pompando manualmente, forse è questo il problema.

L’unica soluzione è spingerla, è assai difficile perché siamo in mezzo a pietre di diverse dimensioni, a rischio delle nostre caviglie, ma non possiamo fare altrimenti.

Svuotiamo il vano portaoggetti dai pesanti contenitori e proviamo, ma niente, il tipo di strada non ci aiuta, tantomeno il pesante mezzo e l’estremo caldo.

Le donne decidono di andare a piedi per raggiungere il villaggio.

Io e ascari stiamo insieme.

Si decide di chiamare soccorso.

Tiro fuori il cellulare per telefonare, no network, nessun segnale.

Ascari mi indica una grande roccia in mezzo alla vallata, ci incamminiamo, forse là troveremo il segnale.

Rendo pubblica la mia paura di eventuali serpenti e scorpioni, nascosti tra questi caldi sassi e secchi arbusti rasenti il suolo, preciso che non parla inglese, quindi il tutto trova un spiegazione mimata con un’unica risposta “pole, pole”, ossia “piano, piano”, iko sawa.

Raggiungo la grande roccia, non credo ai miei occhi, 1 linea bianca di segnale compare sul cellulare, non perdo tempo, compongo il numero di fr. Andrew, il quale è in macchina che sta viaggiando verso le pendici del monte kulal, in poche parole riassumo la difficile situazione in cui siamo, le donne a piedi verso Larash, la macchina kaput, tutto ciò sotto un sole cuocente.

Ripeto più volte di portare con sé i cavi della batteria e gasolio.

L’acqua nel frattempo è finita.

L’aspetto positivo in tutto ciò è nel constatare che non vi è nessun uomo armato nelle vallati che ci sovrastano.

Dopo 2 ore arrivano i rinforzi, la jeep della missione, la stessa della manutenzione di Maralal, Akai e David, il driver.

In contemporanea arrivano le donne, Gabriella tiene sulla schiena una bianca capretta, l’unico essere animato trovato a Larash, oramai divenuto villaggio fantasma.

Colleghiamo una pesante catena di acciaio al pick up e la trainiamo fin quando il motore non ruggisce nuovamente, si danno un paio di profonde accelerate al motore mentre dal tubo di scappamento nere nuvole di fumo fuoriescono.

Sono le 18:00.

Con i motori accesi accanto ai nostri disidratati corpi, facciamo dietrofront, puntando il bianco cofano del pick up verso la grande distesa d’acqua, il lago Turkana.

Il paesaggio è mozzafiato, siamo sugli alti colli che fanno da cornice al mare di giada durante il tramonto, i raggi del sole si scindono in indimenticabili tonalità di arancio, giallo e rosso, mi fermo ad immortalare l’attimo.

Il pick up sale e scende di giri, rpm, sgaso per ravvivare il motore.

Accompagno per prima Gabriella, arrivati davanti casa, scendo per salutarla e tac, il motore si spegne.

My God, again !

Gli uomini mi aiutano a spingerla più volte, ma nonostante il loro generoso aiuto, il motore non si avvia.

Stanco, assetato e provato, alzo i finestrini, chiudo a chiave le due portiere, prendo la valigetta più preziosa e pianto l’auto sul ciglio della strada.

Nella mia mente solo il fresco termos pieno d’acqua compare, nulla più.

Disto circa 1 km dalla missione, inizialmente cammino poi i miei piedi spontaneamente aumentano il passo, fino a mantenere una leggera corsa.

Corsa che incontra sul suo cammino, l’uscita di una moltitudine di gente accomunata da una striscia grigiastra sulla loro fronte. Tra me e me, penso, “Dannazione, non sono arrivato in tempo”.

Arrivo in missione, Nawapa, Sannita, Akai, già arrivati con l’altro mezzo, sbigottiti mi guardano arrivare a piedi e mi domandano “Ancora ?”, “Yes, again” gli lancio le chiavi, dicendogli dove si trova il pick up.

Sapalanco la porta della cucina, afferrando il fresco termos, che in pochi secondi finisce, sotto lo sguardo di Joseph, il cuoco.

Mi siedo, tiro un sospiro di sollievo e gli racconto in due parole  l’accaduto, mi risponde “I knew it, pole sana”.

Trovo un po’ di relax nella piscina.

Ma la lunga giornata non è ancora conclusa, ho da preparare i bagagli, salutare le sisters, cenare, caricare la jeep, intanto, si fà buio pesto, ore 19:00.

Mercoledì 13 febbraio, ore 22:30, partenza per Nairobi.

Arrivo a Nairobi giovedì 14, ore 18:00.

Viaggio diretto, con due brevi soste alle 8:00 e alle 13:00.

Venerdì giornata di riposo, dopo ben 35 ore senza dormire, prendo il solo impegno di recarmi ad Accra road, lo stage dei matatu, per prenotare il biglietto del bus per Malindi.

Sabato 16 febbraio 2103:

Deaconate Ordination at 10 am in Allamanno House, Karen Nairobi.

Lungo, è l’aggettivo che meglio si addice per definire la celebrazione dei 5 diaconi e 2 preti.

Iniziata alle ore 10:00, si è conclusa alle ore 16:30, dopo una interminabile serie di balli, canti, raccolta fondi, rituali vari, etc.

Seppur la lunga durata della cerimonia, è stato un evento unico nel suo genere, ricco di colori, di belle, vivaci ed umane parole del missionario Virgilio Pante, nonché vescovo di Maralal.

Ringrazio Caesar per l’invito.

In attesa del nuovo viaggio.

Gabriele,

Nairobi, domenica 17 febbraio 2013

THE LAST DAYS IN LOIYANGALANI

Giovedì 7 febbraio 2013

Jambo to everybody !

Scrivo questa ennesima pagina di diario durante questa tanto calda e tanto ventosa mattinata di febbraio, qui nella missione cattolica dello Loiyangalani, Lago Turkana.

Tanti sono i giorni passati senza sporcare d’inchiostro queste candide pagine ed altrettanto tante sono le esperienze vissute.

Prima di tutto però voglio ringraziare di cuore tutti voi che mi avete scritto con generosità e con sentita vicinanza riguardo alla oramai passata vicenda.

Voglio dire che io sto bene e la vita qui è già dura così che non posso permettermi il lusso di pensare oltre al dovuto alla cosa, volente o nolente ce ne si fa una ragione, come qualcuno mi ha consigliato di fare, ci si rimbocca le maniche e si va avanti.

Quindi grazie nuovamente ancora a tutti quanti, in particolar modo a don Maurilio per le importanti parole spese.

Venendo a noi, tanti i giorni passati senza aggiornare il blog, complice inizialmente il forte vento a cui anche le più vetuste palme inchinano il capo, capace di cancellare quel poco di network che si riesce a ricevere ed in seconda battuta il viaggio a Maralal.

Domenica sera intorno alle 22:30, Fr. Andrew mi invita scendere con lui, Scolastica e Nawapa a Maralal per il giorno seguente.

Sveglia ore 5:00, partenza prevista ore 6:00.

Mi ritrovo dunque al mattino presto a settare il progetto per la mia assenza d’un giorno.

In cucina verso le 5:30 parlo con Joseph per chiedergli di dare giusto un’occhio, in special modo al livello dell’acqua del container, accetta volentieri.

Ci si ritrova tutti quanti sorseggiando una tazza di caffe caldo intorno alla jeep, finendo di caricare le ultime cose.

Mi meraviglio nel vedere Nawapa e Scola, puri africani 100%, portare per un giorno uno zainetto col cambio d’abiti mentre io nel mio marsupio avevo appallottolato la mia unica maglietta rimasta.

Ore 6:30: partenza per Maralal.

Km da percorrere 220, tempo stimato 7 ore, tempo impiegato 10 ore.

3 ore in più in Africa non sono uno scherzo si fanno sentire e come.

3 i pneumatici bucati uno dopo l’altro, i primi due in mezzo alla savana ed il terzo, fortunatamente poichè avevamo finito le ruote di scorta, in un piccolo villaggio chiamato Marti.

Tempo di riparazione di un copertone con camera d’aria incorporata, 2 ore.

L’africa è un po’ come l’ospedale in Italia, sai quando entri ma non sai quando esci e così viaggiare in Africa, sai quando parti ma non sai quando arrivi.

Ogni piccola cosa in Africa può diventare un piccolo spettacolo.

Io, bianco e 3 africani con una jeep, nel bel mezzo di questo villaggio.

Villaggio che si potrebbe descrivere facilmente rievocando quei vecchi film western, in cui vicino al saloon, rotola una balla di fieno accompagnata da nuvole di polvere marrone che si sperdono sopra le teste degli spettatori che attendono desiderosi il tocco della campana per il mortale duello a fuoco.

Ecco così si presenta Marti, un’unica via centrale, il centro del paese per l’appunto, dove osano passare gli arditi avventurieri, al cui fianco sorgono piccoli negozietti dai muri dipinti con vivaci vernici, dal rosso, all’arancio, al giallo, al verde, col nome del locale e dei prodotti venduti, al di fuori piccole e strette panchette di legno sverniciate accolgono i più anziani del villaggio oppure chi come noi deve aspettare la tanto attesa riparazione di una gomma “questa è l’Africa” mi dice Fr. Andrew col suo tipico sorriso.

In pochi minuti veniamo circondati da molti bambini, usciti proprio in quei minuti dalla primary school che curiosi salutano col loro inconfondibile “Helllloooooooo” per poi chiederci caramelle o scellini.

Dopo la lunga attesa e dopo esser stati oggetto di curiosità dei più piccoli, solitamente poi, arriva la persona più autorevole e volenterosa del villaggio che dopo aver nutrito la sua forte curiosità sul nostro viaggio, domanda se abbiamo bisogno d’aiuto.

Da qui inizia una lenta processione di passaparola riguardo agli attrezzi necessari per riparare la ruota della jeep, chiamare il più esperto in materia con al seguito i suoi aiutanti, sotto, banale oramai dirlo, l’infuocato sole di mezzogiorno ed un vento fortissimo che ti manda quella finissima polvere sollevata nel paesino giù fino a saturare l’ultimo bronchiolo libero rimasto.

Intorno a noi ed alla jeep ci sono circa 15-20 persone, tutte ad assistere a questa maestosa opera di riparazione.

L’attrezzatura usata è veramente semplice, una specie di piè di porco, un asta cilindrica di circa un metro, una pompa da bicicletta, un sasso raccolto al momento, colla ed il mio coltellino svizzero.

Dopo la lunga attesa e cooperazione, è il momento di ripartire.

Occorre precisare che le strade, se così vogliamo chiamarle, sono veramente brutte in questa parte del Kenya, ricche di sassi e rocce di tutte le dimensioni possibili, buche, avvallamenti, canyon in caduta libera a due passi dal bordo, letti di fiumi in secca, ponticelli semiceduti, salite rocciose che mettono a dura prova la concentrazione  e l’abilità di climber di Fr. Andrew, soprattutto quando al rientro da Maralal abbiamo optato per la shortcut passando attraverso le alte e fredde vette dei monti adiacenti il paese che sorge a circa 2100 m.

Verso le 16:00 arriviamo nel cuore di Maralal, una graziosa cittadina, dal clima mite, ricca di vegetazione, verdura, frutta, capre, mucche, asini, galline, servita da corrente elettrica e da un buon segnale network.

Le abitazioni sono in cemento e mattoni, lontane sono le gialle magnatte del lago Turkana, simili a palle leggermente ovali radicate sulle roventi rocce.

Maralal, possiede banche e tutti i servizi necessari per una vita dignitosa, certo le strade anche qui non sono asfaltate e devi fare lo slalom tra grandi buche e alti dossi di terra, nonchè animali e pedoni che camminano tranquillamente sulla mezzadria.

Questo paesaggio non può che non farmi richiamare alla memoria le strade periferiche di New Delhi, nelle quali vacche, scimmie e pedoni si uniscono ingorgando le vie indiane.

Qui, si possono vedere i pastori della tribù Samburu, imbellettati con le loro collane dalle colorate perline, dalla preziosa ed elaborata capigliatura andare in bicicletta parlando al cellulare, donne Turkana, dalle pesanti collane colorate, trasportare grandi pesi sulla testa ed i Kikuio, vestiti più all’europea, fiutare i possibili affari nel centro della cittadina.

Dopo esserci fermati a mangiare della gallina arrosto e del chapati, entriamo nel Pastoral Center della Consolata, dove troviamo ad attenderci il padre missionario Masino, piemontese d.o.c.

Persona poliedrica, sanguigna, intelligente intrattenitore, amante di Guccini e profondo ammiratore di Don Milani.

Ci fermiamo una buona oretta a parlare del viaggio e cosi via, ci diamo appuntamento a più tardi per la sobria cena.

Visibilmente stanchi dal viaggio, ognuno di noi si dirige nella rispettiva stanza per riposare, io mi fermo qualche minuto a parlare con lui, nel suo ufficio, gustando con piacevole sorpresa la sintonia intellettuale che si instaura. Parliamo un po’ di tutto dalla politica italiana e delle imminenti elezioni politiche alla Divina Commedia ai progetti d’aiuto umanitario in corso.

Verso le 22:30 mi ritiro.

Martedì 5 febbraio

Da tanto non sentivo quel piacevole fresco che accompagna la notte ed il suo dolce sonno, cosi come il farsi una doccia con acqua calda per allontanare il freddo mattutino dal corpo.

L’avevo dimenticata, la sensazione del freddo.

Dopo colazione, Fr. Masino, mi invita ad accompagnarlo a promuovere alla radio locale SERIAN 88.9 fm, la nuova apertura del negozio di gelato e pane.

Ho sentito bene ? GELATO ?!

Ebbene si, dopo un primo momento di sbigottimento chiedo maggiori informazioni e mi accompagna, all’interno della missione, nel laboratorio del gelato, incredibile, davanti ai miei occhi si presentano due grossi freezer professionali, un mantecatore ed un pastorizzatore, con scatole di coni, coppette, palette ed attaccate sui muri varie ricette.

Domando ai due ragazzi e alle due ragazze, gelatai d.o.c., dopo aver seguito un corso su come fare il vero gelato italiano, se c’è del gelato da assaggiare, tenendo aperta la porta del freezer fanno uscire 6 cilindrotti metallici contenenti gelato al gusto:

  1. cioccolato
  2. limone
  3. mango
  4. ananas
  5. latte
  6. banana

Condividiamo tutti insieme la gioia di un bel cono con ottimo gelato italiano ma dai gusti africani.

Dopo aver fatto la promozione alla radio, scendo in città perché voglio vedere di persona il negozio, semplice, ordinato e pulito, incontro all’interno gli stessi ragazzi del laboratorio, faccio un altro assaggio, ma questa volta ho da attendere, c’è una lunga fila di golosi clienti fuori dal negozio.

Pensare di mangiare ottimo gelato italiano a Maralal, per chi non lo vede coi propri occhi può sembrare fantascientifico.

Questo è l’ennesimo progetto giovanile andato a segno con successo da padre Masino, complimenti.

Dall’altro fronte padre Andrew non conclude i suoi affari per un problema causato dai computer nella kcbank, la jeep nel frattempo è in manutenzione nel garage della Consolata.

Nel pomeriggio arriva la notizia che la jeep richiede più tempo di quanto previsto per le necessarie riparazioni e controlli, si decide dunque di rimanere un’altra notte.

Padre Giorgio, di origine colombiana ci invita a visitare le sue due green house, ed il suo ricco e tropicale orto, si trova di tutto dentro, sembra il giardino dell’Eden.

Secolari piante di banana, mango, papaia, avocado, piante di pomodori, sukumawiki, parimenti alle nostre coste, piante di peperoncino rosso, piante di tabacco, piante di arance e possiede perfino un pesco.

Scatto qualche foto ricordo.

La sera mi ritrovo con entrambi i padri a parlare dei progetti che decidiamo di portare avanti insieme: quello della torcia a ricarica elettrica tramite piccoli pannelli solari ed il progetto delle capre da latte.

Il mattino successivo mercoledì 6, dopo aver atteso le numerose saldature eseguite per sostenere il supporto di una delle sospensioni ed il cestello della batteria ed aver mangiato un gustoso cono gelato per pranzo, verso le 14:00, partiamo per lo Loiyangalani.

Portiamo con noi verdure, frutta, acqua, quintali di mais per la nursery school di sister Agostinella e per Nicolas, un ragazzo che a presto diventerà seminarista e che sta dedicando i suoi giorni nel miserrimo villaggio di Sarima, poco distante dallo Loiyangalani.

Mi confida che l’acqua proveniente dal pozzo scavato da una ong è di cattiva qualità, è salata, molti si stanno ammalando nel villaggio, forse la causa è da ricercarsi proprio nella composizione dell’acqua.

Ne porterò un campione a Nairobi per farlo analizzare ed insieme a padre Andrew ne seguiremo gli sviluppi.

Viaggiamo per ore ed ore, tanti i paesaggi che cambiano davanti al potente motore Toyota, un 4200 cc, che ci permette di affrontare, quasi per la maggior parte del percorso, serenamente i ripidi ed assai accidentati pendii e gli scoscesi canyons.

Incontriamo bara bara, strada facendo, il vescovo di Maralal, Virgilio Pante, trentino d.o.c., insieme a Paolo, un giovane ragazzo di Cuneo, che dopo essersi diplomato geometra, ha deciso di partire per aiutare chi è meno fortunato di noi.

Ragazzo assai intelligente e determinato, un vero piacere la sua conoscenza.

Arriviamo a South Horr, dove ritiriamo le uniforms per sister Agostinella, intorno le 20:00 per arrivare a Sarima verso le 21:30, dove troviamo Nicolas, seduto fuori dalla scuola-chiesa ad attenderci. Gli consegniamo verdure, frutta ed acqua di buona qualità.

Ci sgranchiamo, quel tanto che serve, le membra, ripulendoci con stracci trovati al momento le nostre facce, cambiate di colore per l’abbondante terra alzata dal fortissimo e caldissimo vento.

Viaggi del genere mettono a dura prova la mente ed il fisico.

Giungiamo finalmente in missione verso le 22:30.

Si cena tutti insieme a base di nalpash, l’ottimo pesce del lago Turkana, patate e carote, sapientemente cucinate da Joseph.

Ognuno si ritira nella sua branda e penso per chi ci avesse visto in quel momento, più che corpi umani apparivamo come zombie.

Nessuno di noi riuscì a riposare quella notte.

Progetto

Il progetto dei pomodori, è attivo, le piante sono verdi e rigogliose, ma i frutti tardano ad arrivare.

Sarebbe il momento dell’impollinazione dei fiori, ora, ad opera delle api, ma col forte vento sono rare. Attendo che la natura faccia il suo corso.

Ben maggiore soddisfazione mi sta dando la piccola shamba ossia il piccolo orto, coltivato con sister Guendalina, prima che si rompesse il femore cadendo dal letto, intorno a metà Novembre.

Si tratta di circa 3 m^2 di terreno, ben concimato con bolea, lo sterco di capra.

Piante di basilico, bietola, coste e cetrioli, hanno già dato i frutti, mentre la zucca sta fiorendo in questi giorni.

Così come, l’orto del padre, che abbiamo coltivato a cetrioli, watermelons, zucche, cetrioli stanno dando, positivamente, i frutti.

Questa mattina, venerdi 8 febbraio, abbiamo piantato piante di mango, papaia e guava, ci sono state generosamente regalate da padre Giorgio in Maralal.

Speriamo in bene, “hoc est in votis”.

Gabriele from Loiyangalani