Il progetto pilota idroponica, Loiyangalani

Buongiorno a tutti,

ai miei fedeli lettori ed ai nuovi spettatori,

che quotidianamente e non,

visitano questo tanto vissuto diario di bordo

che ormai molti episodi appaiono un lontano ricordo.

Desidero porre alla vostra attenzione

ciò per la quale molte notti

ho avuto apprensione,

donando la mia viscerale dedizione

per la buon riuscita del progetto

che vidi, nel bel paese, nascere dal mio intelletto.

Ecco a voi, le prime immagini

dello stesso, fatto da neonata vita,

che da luce, da acqua e cure

portano col tempo, a maggior vista.

Che possiate dilettarvi con l’opera fin qui

avuta, senza nasconder l’umana paura,

confidando nel divin sguardo,

come io lessi nel cantico di san Bernardo.

Gabriele Caccia

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Un augurio di un buon e felice anno nuovo a tutti voi.

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VIAGGIO ITALIA – LOIYANGALANI, LAGO TURKANA – 2°parte

Il 19 ottobre, una volta raggiunti dagli altri, si riparte per Isiolo, spostandoci sempre più verso il nord del Kenya.

Meta finale è il villaggio dello Loiyangalani, distante circa 3 km dalla sponda est del lago Turkana.

Lago che in cor nostro è stato tante volte discusso, immaginato, desiderato e che, imperturbabile, giace nella sua secolare essenza, tra aridi deserti.

Il 20 ottobre si arriva ad Isiolo, dove saremo tutti quanti ospiti di Simone e della sua famiglia.

Passeremo 6 intere giornate, giorni di intenso lavoro sia mentale che fisico.

Pensare all’acquisto del materiale, alla progettazione per poi, ora dopo ora, costruire, nel verde giardino, l’impianto di prova.

Si riparte il 26 ottobre al mattino presto, direzione Loiyangalani, lago Turkana.

Mi immersi in paesaggi straordinari,

dalla immacolata natura,

dai soavi profumi, dagli infernal afflati.

Misi me ad osservar le verdi pendici del monte Kenya,

gli sterminati campi di frutta Del Monte,

le rosse e vitali terre Samburu,

l’arancio deserto del Chalbi,

i secchi e mortal arbusti della Rift Valley,

la vasta e funesta distesa nera del deserto dei sassi.

 

Gabriele Caccia

SINTESI DEL VIAGGIO: ITALIA – KENYA, LAGO TURKANA 1°parte

Partito dall’Italia, domenica 23 settembre 2012, dall’aeroporto internazionale di Milano Malpensa e dopo uno stop all’hub egiziano Il Cairo, giungo a destinazione: aeroporto internazionale Jomo Kenyatta, Kenya, Africa.

Dopo 13 ore di viaggio, giungo nella terra in cui io, Simone, Alessandro, Toni e Lilli, abbiamo voluto compiere un’impresa che mai nessuno prima è riuscito a realizzare, portare frutta e verdura nel bel mezzo di 4 deserti, alla popolazione dello Loiyangalani che conta sommando le tribù vicine, circa 12.000 persone.

La tecnica utilizzata per realizzare questo progetto è l’idroponica

Da qui, mi muovo al Kahama hotel dove soggiorno per due notti, in attesa dell’arrivo degli altri ragazzi.

Il 25-9 ci spostiamo tutti quanti a Malindi, con un volo interno, durata del viaggio 1:45 h.

Malindi, la città dei peccati, ricca di eccessi, vizi, non la trovo a portata della mia persona.

Canto V, Inferno, La Divina Commedia di Dante Alighieri

“La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.”

Trovo sollievo allenandomi di mattino presto sulla spiaggia, ritorno a correre, qualche flessione, qualche addominale, pensando al mio amico Nic 😉 per poi farmi una bella doccia fredda, quando oramai il sole è già alto nel cielo con i suoi potenti raggi.

 

Da Malindi, Io e Simone, ci spostiamo il 18 ottobre, tramite bus notturno, direzione: Nairobi, la caotica capitale keniota.

Lì incontreremo Kariuki, una valida persona che ci aiuterà a reperire del materiale necessario per il progetto.

Gabriele

TRAVELLING TO MALINDI, Saturday 22 december

Buongiorno a tutti voi che generosamente leggete il blog, vi scrivo dalla mia nuova località, Malindi.

Partito martedì 18 mattina dallo Loiyangalani sono arrivato a Malindi sabato mattina 22 dicembre.

Il viaggio è stato diviso in tappe, riporto i diversi stop:

Martedì 18, ore 9:00, partenza dallo Loiyangalani

La sera prima, lunedì 17, insieme a sister Agostinella ed Isac, il driver, decidiamo di partire per andare a prendere sister Lucimar giunta a Maralal da Nairobi.

Non posso che cogliere l’occasione del passaggio, avvicinandomi quanto più posso a Nairobi, venerdì 21 dicembre mi scade il visto, non posso più aspettare.

Viaggio lungo e stancante, incontriamo strade in brutte condizioni, molto fango, molta pioggia che a tratti si abbatte torrenziale sul nostro mezzo, 4×4 inserite per affrontare al meglio possibile, tratti di non strada assai insidiosi ed ardui, guadiamo fiumi alti circa1 metro, consulti fulminei tra me ed Isac su dove passare, momenti di sangue freddo e decisioni importanti che si riveleranno in seguito buone e ponderate.

Sister Agostinella che più volte ha preferito scendere dalla jeep e proseguire a piedi mettendo in salvo la sua vita in caso di ribaltamento del mezzo, a volte è stato un comportamento prudente a volte eccessivo ed io ed Isac, scoppiavamo a ridere, invitando sister Agostinella a risalire in macchina e proseguire con noi il viaggio.

Gustose sono state le nostre risate, utili anche per smorzare la forte tensione accumulata per le numerose difficoltà del viaggio.

Martedì 18, ore 17:00, arrivo a Maralal

Si giunge finalmente a Maralal, qui incontro il mio contatto, il driver che mi porterà fino ad Isiolo.

Scarico la mia grossa valigia, preparata velocemente la sera prima e terminata la stessa mattina, i due pesanti zaini e la preziosa makake, il mio materasso realizzato con foglie di palma.

Ore 17:30, dopo aver salutato caramente sister Agostinella ed Isac, riparto per Isiolo.

Il tempo peggiora, il sole volge al tramonto, la pioggia si fa più insistente, le strade a tratti sono coperte da fango dove la jeep non può far altro che affondare e con difficoltà riemergere, cogliendo i pochi massi che servono da appiglio, il camioncino che ci precede sbanda numerose volte, derapando 180 gradi, non possiamo che fare lo stesso.

Affrontiamo torrenti, guadiamo alti fiumi, incontriamo leopardi sul ciglio della strada che alla luce dei nostri fari si dileguano nel profondo buio della notte.

Il pilota alza sempre di più il volume delle casse, assordante, ma gli serve per non addormentarsi e commettere errori fatali, lascio fare.

La mia schiena è assai provata dai numerosi sassi del lago Turkana in primis, dalle slittate partenze nel fango, dagli errori del driver, saltando dossi a velocità eccessiva e ricadendo pesantemente sul suolo, stanca è la mia mente e calda la mia testa.

Verso le 21:00, vedo dopo circa due mesi, una strada asfaltata ed un cartello stradale indicare80 kmIsiolo, tiro un sospiro di sollievo, pensando tra me e me: manca poco.

Alle 22:00 vedo le prime luce della città, i posti di polizia con i loro serpentoni pieni di grossi chiodi antisfondamento, posti lungo la strada, i primi negozi, i primi segni di civiltà.

Il mio animo non gioisce.

Ore 23:00, casa di Simone.

Dopo circa due mesi, rivedo Simone e la sua famiglia, ci salutiamo, ci scambiamo lì per lì qualche notizia e poi mi avvento sulle patate, sul fegato di capra e sul riso come un simba sulla sua preda.

Non mangio da 14 ore.

Finita la cena, racconto a Simone ed Alessandro i dettagli sull’andamento del progetto, spiego a loro le difficoltà che ho avuto nel portarlo avanti e mostro a loro il video che appositamente ho girato pochi minuti prima di partire, rimangono stupefatti.

Simone, invece mi aggiorna sulla situazione economica del budget, la jeep che è venuta a prendermi a Maralal, ha prosciugato le ultime risorse economiche disponibili.

Ore 24:00, mi dirigo a capofitto dentro la zanzariera, mi addormento nel giro di 1 secondo, troppa la stanchezza dopo 14 ore di viaggio no stop.

Mercoledì 19 dicembre

Passo l’intera giornata ad Isiolo a riprendermi quanto più posso dal duro viaggio.

Lavo i miei panni infilati di fretta in valigia per partire in orario dal lago Turkana, riordino la valigia, pianifico i miei prossimi spostamenti, lascio il superfluo alla famiglia di Simone, devo alleggerire la valigia per viaggiare il più leggero possibile e per evitare il rischio di rottura.

Mi concedo verso le 15:00 una passeggiata a piedi circa 30 minuti nel centro di Isiolo, consiste nell’unico stradone asfaltato dove tutto intorno dimorano migliaia di negozietti colorati, sporchi, caotici, in mezzo a fango, grosse pozzanghere, cani randagi e camions che emettono nuvoloni neri di gasolio incombusto, arrivato mi dirigo al negozio per comprare il biglietto del bus per Nairobi.

Partenza ore 6:00 di giovedì 20, durata del viaggio 8 ore.

Incontro strada facendo, un ragazzo bianco, giovane, con un cucciolo di cane lupo, mi saluta contraccambio.

Si avvicina, iniziamo a parlare, è inglese, è il responsabile di un orfanotrofio poco distante da lì.

Mi invita a continuare la chiacchierata in un bar, lì vicino in compagnia di una birra ed una soda, accetto.

Abbiamo parlato per due ore raccontandoci dei nostri rispettivi progetti presenti e futuri.

Giunto il tramonto, mi invita a visitare l’orfanotrofio, quanti bambini lo aspettavano, circa una 30.

Tutti quanti educati e rispettosi, questa cosa mi ha colpito.

Mi mostra alcuni filmati che ha girato durante i suoi numerosi spostamenti a piedi o con mezzi di fortuna, per raccogliere fondi.

Mi ritrovo seduto a tavola per cena, a base di riso e patate con pili pili, un tipo di peperoncino molto piccante, con noi ci sono altre persone suoi amici nonché aiutanti.

Ci lasciamo intorno le 21:00 con un saluto che suona pressappoco così: “ hi, we will meet again, the good friends not say goodbye”.

Giovedì 20 dicembre

Sveglia ore 5:00

Partenza ore 6:30 da Isiolo

Arrivo a Nairobi periferia ore 15:00.

Taxi direzione Flora hostel gestito dalle sister della Consolata, amiche di sister Agnese, Agostinella, Guendalina e Lucimar.

Ricordo con un certo effetto la dining room, la stanza da pranzo.

Davanti a me, tavoli apparecchiati con belle tovaglie, tutto cosi pulito, ordinato, ogni posata al suo posto, tavoli imbanditi con vassoi da portata carichi di cibi, soprattutto verdure e frutta che non vedevo da tanto tempo.

Penso di aver fatto razzia di ogni sorta tra pasta al sugo, cosce di pollo, patate, pane, verdure simil zucca, carote, thè caldo, caffè, che scorpacciata che mi sono fatto, davanti agli occhi increduli dei vicini di tavolo.

Finito il pranzo mi sono incontrato con suor Immacolata, la responsabile della struttura nonché ottima cuoca.

Dopo averle fatto i complimenti per il pranzo assai squisito, abbiamo parlato del lungo viaggio e delle news relative alle consorelle dello Loiyangalani.

Mi sarebbe piaciuto visitare sister Guendalina che cadendo dal letto lunedì 10 dicembre allo Loiyangalani si è fratturata il bacino.

E’ stata portata d’emergenza il giorno stesso, con il supporto dell’Amref aviation, all’ospedale di Nairobi, a circa500 metridall’ostello.

Sister Immacolata mi aggiorna su s. Guendalina, è già stata trasferita nella casa di riposo Nazaret per le old sisters lontano da qui. Tra me e me, penso: meglio cosi, non è niente di grave.

Venerdi 21 dicembre

Alle ore 9:00 mi presento per rinnovare il mio visto per altri 3 mesi, non mi soffermo volontariamente sulla burocrazia ed il totale disinteressamento dell’impiegato sportello numero 6 ufficio immigrazione Nairobi, se no volerebbe qualche insulto.

Ore 11:00, ottengo il timbro per l’estensione del visto.

Ore 11:00 e 01 secondi sono già ben lontano da quell’ufficio.

Mi interesso dove prendere un pullman che da Nairobi arriva a Malindi, mi ritrovo dopo poco, in uno dei luoghi più caotici di tutta Nairobi, nel centro della piazza dove si fanno affari legali e non, dove trova posto una specie di mercato dove si vende e trovi di tutto dagli orologi, al kebap, alle galline, ai bagni pubblici a pagamento, insomma un marasma totale.

Mi barcameno per trovare il dream line bus station ticket, un piccolo, sporco ed incasinato ufficietto sommerso da biglietti di pullman, gente in piedi, seduta che attende con accanto valigie di tutte le taglie, domando un biglietto per Malindi e la risposta tra una telefonata e l’altra del tipo: “It’s full, we are in high season, one bus for next wednesday”, sorrido e mi siedo comodamente sulla poltrona messa peggio di un groviera che giace tuttora lì dentro.

Che fare ?

Tutte le compagnie sono full, no bus for Malindi, siamo in alta stagione, Natale è martedì, l’ostello è troppo caro per le mie finanze, bene chiedo per un bus diretto a Mombasa, da li proseguirò per Malindi in qualche maniera, il che vuol dire o matatu, quei nissan a 9 posti, pigiati come sardine, tra odori indescrivibili, pacchi, pacchetti e pacconi che ti penetrano nel fianco per ore ed ore oppure un bus.

Rientro nell’ufficietto, parlo col ragazzo, perennemente al telefono, chiedo un biglietto per Mombasa, mi risponde di sì, è disponibile, bene, partenza ore 13:00, guardando l’orologio non posso che pensare dannazione ho solo 55 minuti e sono nel cuore del caos di Nairobi.

Mi informo qual è il mezzo più veloce per arrivare al flora hostel e tornare indietro in tempo, matatu, pullman, taxi ?

Taxi, risponde, ne acchiappo uno al volo e voliamo verso la main square, incontriamo in contemporanea controlli della polizia, semaforo rosso e traffico intenso, che ci costringe a procedere a passo d’uomo, tengo costantemente sotto controllo l’orologio digitale accanto al volante.

12:35 arrivati al flora, in pochi minuti carichiamo i bagagli e ripartiamo al volo.

Prendiamo una strada secondaria che ci fa risparmiare alcuni minuti ma il centro di Nairobi è il centro di Nairobi da qualsivoglia posizione tu la guardi o la percorri, risultato: fermi in coda.

Il taxista fa di tutto per farmi arrivare in orario, schiva tuc tuc, matatu, supera mercedez di lusso,

riconosco la piazza del mercato, siamo quasi arrivati, pochi sono i minuti che mi separano dal prendere il bus direzione Mombasa.

Ore 13:03 arrivati a destinazione, il bus deve ancora arrivare, trovo un attimo di distensione psicofisica.

Ore 13:30 il bus si disincaglia dalle strette e trafficate vie di Nairobi per buttarsi sulla highway che mi porterà diretto verso l’oceano indiano.

Viaggio lungo ma comodo, a disposizione due sedili, dove ho potuto trovare la posizione più comoda e riposarmi un po’.

No pranzo e no cena.

Sono arrivato a Mombasa alle 23:00, nella fermata principale delle diverse linee pullman, circondato da molte persone in attesa, situazione non incoraggiante per la mia prosecuzione.

Chiedo il perché di tutta questa gente, mi rispondono che aspettano i prossimi matati se arriveranno, preoccupante è stato il  “se”, capisco che sono in balia più totale dei mezzi pubblici.

Il primo matato sarebbe arrivato alle 5:00 del mattino, tenendo conto delle centinaia di persone, chissà quale avrei preso, bus e pullman nemmeno l’ombra, mi informo per un taxi, ne scovo uno in un angolo solitario accanto al distributore di carburante.

40 minuti per contrattare il prezzo, obiettivo raggiunto, dimezzato il prezzo iniziale.

Con circa 40 € ho coperto 120 kmin due ore di tempo e ci è mancato poco che non finivamo fuori strada per un dosso non visto a80 km/h, abbiamo potuto provare l’ebrezza dei mitici salti del telefilm “Il generale Lee” di Boo e Luke e contemporaneamente testare la bontà dei pneumatici e delle sospensioni, test passato.

 Arrivo a Malindi alle ore 2:30 del mattino di sabato 22 dicembre, sano e salvo.

 Gabriele

 p.s. domani 24 dicembre coglierò l’occasione per farvi gli auguri di Buon Natale.

Cuoricino’s youth questions

Il gruppo di ragazzi di 4 elementare della parrocchia di Cuoricino seguiti da Gabriele, mi domanda:

se ti trovi bene, cosa ti ha spinto ad andare in Kenya e se non hai mai pensato di tornare indietro. A noi mancherebbero i nostri genitori e i nostri amici e a te? Com’è la gente del posto? Sei riuscito a fare amicizia con qualcuno? Riesci ogni tanto a divertirti ?

Ciao a tutti voi,

grazie per il vostro interessamento al mio progetto di idroponica al lago Turkana nel nord del Kenya, Africa.

L’idroponica consiste nella coltivazione in acqua delle piante, da qui prende il nome anche di idrocoltura, coltura in acqua.

Molti paesi nel mondo usano questo sistema perché permette di razionalizzare l’uso di acqua, controllare meglio le variabili di crescita delle piante e ridurre l’uso di pesticidi.

Intendo per ottimizzazione  dell’uso di acqua un minor uso in termini di quantità, se ad esempio nel terreno per coltivare una pianta occorrono10 litri, con l’idroponica ne occorre 1l.

Dunque, 1:10 è il rapporto di acqua usata in idroponica rispetto alla coltivazione tradizionale su terreno.

Grazie a questa tecnica si ha il grande vantaggio di poter coltivare piante in zone desertiche o dal terreno non coltivabile poiché non necessita l’utilizzo di terra.

Sono qui allo Loiyangalani da due mesi circa, difficile, veloce e forte è stato l’impatto.

Tutto intorno a me era diverso, la natura con tutto il suo splendore e tutta la sua potenza: i paesaggi, gli alberi, l’irraggiamento termico a pochi gradi dall’equatore, la temperatura, l’umidità, gli animali, ricordo scorpioni, serpenti, scalopendre, lucertoloni giganti, formiche dalle grandi dimensioni, dik dik, volatili e non per ultimo la diversità del cibo.

Sono stato catapultato in un ambiente completamente sconosciuto ai miei occhi, alla mia mente, al mio stile di vita e non è stato per niente facile soprattutto quando, dopo la puntura dello scorpione, la malaria mi ha colpito duramente.

Sono stati momenti duri a cui, per forza di cose, dovevo reagire tirando fuori il meglio di me e così ho fatto.

Pensare di tornare indietro, no non l’ho mai pensato.

Ho pensato semmai alle persone a me care, sentivo le loro energie, le loro preghiere, cosi come le sento ora e così ho trovato la forza per guarire.

La motivazione è un elemento essenziale per qualsivoglia gesto, azione, progetto di vita che hai deciso di compiere.

Senza motivazione non si va lontano.

La mia motivazione è ancora forte, da un lato è arricchita ogni giorno dal mio ingresso nel dispensario, nel vedere bambini che nulla possiedono e che lottano per guarire e salvare la propria vita. Bimbi dagli occhi impauriti, annebbiati, spaventati che non possono far altro che affidarsi alle premurose  cure di suor Agnese e Mourithi.

Dall’altro lato, il veder crescere ogni giorno sempre di più le piantine mi dà la pazienza, la costanza, la volontà di andare avanti, prendendomene, doverosamente, cura.

Cosa mi ha spinto ad andare in Kenya ?

Il poter fare qualcosa per chi vive peggio di me dal punto di vista alimentare, igienico-sanitario e d’istruzione.

Non mi piacciono le ingiustizie e se posso le combatto. Credo che sia ingiusto che ci siano persone che nel 2012 letteralmente muoiono di fame, di sete, di banali malattie, ed altre che possiedono tutto e si permettono di sprecare cosi tanto che non si rendono nemmeno conto.

Così nel mio piccolo cerco di combattere questa situazione.

Sottolineo che mai ho utilizzato la parola povero per definire una persona, perché chi è il povero ? Io non saprei rispondere.

Anzi domando a tutti voi come compito per casa coinvolgendo anche i vostri genitori di definire con le vostre parole il termine povertà ed io aspetterò le vostre risposte.

La lontananza rafforzerà la vera amicizia che ho con le persone, come una prova, chi mi scriverà nonostante la mia assenza fisica sarà un vero amico invece chi mi dimenticherà non sarà un vero amico ma solo un conoscente.

Resto in contatto con la mia famiglia e così con i miei veri amici tramite qualche messaggio via mail e raramente qualche minuto di conversazione telefonica.

I locali che vivono allo Loiyangalani sono di diverse tribù: Turkana, Samburu, Rendille, El molo, Borana, sono ben integrati gli uni agli altri e si aiutano a vicenda nella vita quotidiana.

Sono per la maggior parte persone riservate che stanno per i fatti loro, i restanti sono amichevoli, a cui piace scambiare qualche parola.

Poi c’è la categoria dei commercianti ambulanti, bè con loro puoi passare un’intera giornata, previo acquisto di qualche merce che vendono, collanine colorate realizzate con perline, braccialetti, pietre semipreziose quali ad esempio ametiste, ossidiana, etc., contenitori fatti con pelle di cammello, di capra e altri suppellettili simili.

Vivendo con loro inizio a comprendere i loro pregi ma anche i loro difetti ed inizio a capire di più la loro cultura e la loro forma mentis.

Le persone che frequento nella missione sono persone disponibili e gentili, con la quale chiacchierare mixando qualche parola di inglese e kiswaili.

Ho stretto un legame, più forte rispetto agli altri, con il cuoco della missione Joseph Mosè.

Con lui, spesso, mi ritrovo a cucinare piatti italiani e locali, a riordinare la cucina e la casa degli animali, dove soggiornano: capre, conigli, oche e galline.

Joseph mi ha insegnato a sgozzare, pulire e tagliare una capra, a preparare un buon thè verde raccogliendo le foglie da un albero particolare, a conciare la pelle di capra per usarla o come abito o come cuscino.

I momenti di divertimento sono presenti durante la giornata, possono esserci durante una partita a pallone, anche se rara perché fa molto caldo qui, circa 40-50 gradi, durante una chiacchierata con Fr. Andrew, durante una partita a carte a briscola con Sister Agostinella o a scala con Sister Agnese.

Non mancano momenti di solitario rilassamento ed armonia circondato dal verde, dall’acqua, dalla natura.

Ora ragazzi, vorrei che vi sedeste tutti quanti in cerchio, per potervi raccontare questa storia:

Un padre ricco volendo che suo figlio sapesse che significa essere povero, gli fece passare una giornata con una famiglia di contadini.

Il bambino passò 3 giorni e 3 notti nei campi.

Di ritorno in città ancora in macchina il padre gli chiese:

“Che mi dici della tua esperienza” ?

“Bella” rispose il bambino…

“Hai appreso qualcosa ?” insistette il padre.

1-    Che noi abbiamo un cane e loro ne hanno 4.

2-    Che abbiamo una piscina con acqua trattata che arriva in fondo al giardino. Loro hanno un fiume con acqua cristallina, pesci e altre belle cose.

3-    Che abbiamo la luce elettrica nel nostro giardino ma loro hanno le stelle e la luna per illuminarli.

4-    Che il nostro giardino arriva fino al muro, il loro fino all’orizzonte.

5-    Che noi compriamo il nostro cibo, loro lo coltivano, lo raccolgono e lo cucinano.

6-    Che noi ascoltiamo cd, loro una sinfonia continua di pappagalli, grilli ed altri animali. Tutto ciò, qualche volte, accompagnato dal canto di un vicino che lavora la terra.

7-    Che noi utilizziamo il microonde, ciò che cucinano loro ha il sapore del fuoco lento.

8-    Che noi per proteggerci viviamo circondati da recinti con allarme, loro vivono con le porte aperte protetti dall’amicizia dei loro vicini.

9-    Che noi viviamo collegati al cellulare, al computer, alla televisione. Loro sono collegati alla vita, al cielo, al sole, all’acqua, ai campi, agli animali, alle loro ombre, alle loro famiglie.

Il padre rimane molto impressionato dai sentimenti del figlio.

Alla fine il figlio conclude:

“Grazie per avermi insegnato quanto siamo poveri !”

Ogni giorno diventiamo sempre più poveri perché non osserviamo più la natura, che è l’opera grandiosa di Dio.

E ci preoccupiamo sempre di avere, avere e avere sempre di più, invece di preoccuparci unicamente di essere.

Gabriele

from Loiyangalani

Questions about my life in Loiyangalani from Cuoricino’s parish

Sabato 8 dicembre 2012

Riporto la lettera scritta dalla catechista Manuela della parrocchia del Cuoricino, Cardano al Campo, inviata qualche giorno fa.

Come promesso rispondo alle vostre domande, colgo l’occasione per dire a Gabriele T., che ho ricevuto la tua mail e ti ringrazio, in settimana risponderò alle domande poste.

Ciao Gabriele,
sono Manuela, una catechista della parrocchia del Cuoricino.
Ho raccontato ai miei bambini di catechismo (un gruppo di 14 bambini di 8/9 anni che nel prossimo mese di maggio ricevera’ per la prima volta l’eucarestia) cio’ che tu e i tuoi “colleghi” fate in Kenya, ed ho chiesto loro se avevano domande da farti… te le giro cosi’ come me le hanno dettate:

1- Hai fatto fatica a lasciare la tua famiglia? Ti e’ dispiaciuto?

Ho 26 anni, sono un ragazzo maturo, che ama l’indipendenza e la libertà. E’ stata una mia scelta personale venire in Africa, ho sentito dentro di me una forza che mi ha spinto a partire per aiutare persone che veramente hanno bisogno di aiuto, di sostegno e supporto.

In Italia, molto spesso ho fatto carità a persone povere, che mi sembra avessero bisogno di aiuto, ma col tempo ho scoperto che erano solo imbroglioni.

Vi racconto un episodio per comprendere meglio la situazione.

Ho lavorato a Milano per un anno circa, vicino alla stazione di Gallarate, ogni mattina incontravo gente bisognosa, i cosiddetti barboni, bene una mattina mi sono deciso a fare un offerta.

Di corsa  perché in ritardo corro verso il treno che per poco perdo.

Il mattino successivo ripasso per la stessa strada per prendere il treno e trovo le stesse persone del giorno prima a cui ho fatto carità a bere tranquillamente sedute al bar cappuccino, brioche e fumarsi una sigaretta.

Grande è stata la delusione e mai più farò un offerta a costoro.

Solo qui allo Loiyangalani, ho avverato chi veramente ha bisogno di aiuto, qui le persone non hanno nulla se non sassi e pietre, i bimbi, dovete e dico dovete perché mi sembra il minimo per persone che hanno tutto, conoscere anche questo tipo di realtà, vivono con poco, quasi con nulla.

Tanti sono i problemi: la salute, l’igiene sanitaria, l’abbigliamento, una corretta dieta alimentare.

Qui quando faccio del bene, lo posso vedere con gli occhi e sentire col mio cuore che lo faccio a persone veramente bisognose di aiuto e per una giusta causa.

Spesso compro 100 caramelle in 5 minuti finiscono perchè il profumo delle caramelle corre più del passaparola qui allo Loiyangalani.

Accorrono bimbi da tutti gli angoli di questo piccolo villaggio a prenderle e corrono via contenti gridando per la felicità, con i loro vestiti, sporchi, tutti stracciati, che cadono a pezzi.

Se avrò modo vi mostrerò le foto di quello che ora solo a parole vi sto raccontando, cosi che anche voi possiate essere partecipi e condividere con me questa realtà cosi lontana dal nostro stile di vita, lontana da tutti i nostri agi, comforts e vizi.

2- Perchè proprio li’? Non e’ l’unico paese povero in Africa, ed anche in Italia ci sono posti poveri.

Ho scelto il Kenya, tra tanti, aggiungo io, troppi paesi poveri dell’Africa perché ho una conoscenza Simone, il ragazzo con la quale ho realizzato il progetto dell’idroponica, che vive proprio in Kenya, tra Malindi ed Isiolo.

Avendo questa possibilità di collaborazione ho scelto di venire qui in Kenya, nella parte nord, dove realmente si muore per denutrizione, mancanza di igiene sanitaria, credenze primitive. Ogni  giorno aiutando le suore italiane ed una brasiliana nel dispensario, è una struttura simile all’ospedale, mi accorgo quanti problemi di salute ci sono.

Arrivano persone molto malate, con febbre alta, magre magre, magari dopo aver percorso molti km anche20 apiedi sotto il sole a 50 gradi, malate di malaria, o con problemi respiratori o gastro-intestinali, molto diffuse sono anche le infezioni alle orecchie e agli occhi per via della polvere e della sabbia del deserto, alzate ogni giorno dal forte e perenne vento del lago Turkana e del monte Kulal.

Ho visto con i miei occhi un ragazzino di 12 anni con numerosi tagli da coltello sul fianco e lungo il dorso e l’addome, tagli fatti dal padre per far uscire gli spiriti cattivi e guarire il figlio, cose primitive che hanno solamente peggiorato lo stato di salute del figlio.

Ora, sabato 8 dicembre, il ragazzo sta meglio, ha reagito bene alla flebo, antimalarica, paracetamolo per injection ed è stato detto ai genitori di spedirlo all’ospedale di Marsabit per le necessarie analisi del sangue, chissà se lo faranno.

Qui la vita di un figlio vale meno di quella di una capra, cosi a volte i genitori scelgono di non curare il figlio, accompagnandolo alla  morte, salvando in questa maniera la vita di una capra.

Mentalità e cultura assai differenti dalle nostre che vanno prima vissute, poi comprese ed in seguito, eventualmente, criticate.

Diverso è anche il concetto di morte, tutto avviene molto più liberamente, più naturalmente senza attaccamento maniacale alla vita, si nasce, si vive e si muore, si ritorna alla natura cosi come sei nato e vissuto.

Si prova dispiacere in quel giorno, per genitori, parenti ed amici ma poi dal giorno successivo tutto torna regolare, cosi come il sole, la sera tramonta, al mattino risorge.

Mi domando nella mia testa se la situazione in Italia può essere paragonata a questa tragedia che tutti i giorni inesorabilmente si ripete e se è ancora il caso di parlare di gente povera in Italia utilizzando questo aggettivo così come lo utilizzo in questa terra dimenticata da molti.

3- Che sentimenti provi ad aiutare gli altri?

I sentimenti che provo ad aiutare gli altri sicuramente sono tutti positivi e belli.

I miei sono gesti spontanei di altruismo e generosità.

Cerco sempre di aiutare prima i bambini e poi gli anziani, per ultimo i ragazzi più grandi.

Regalo loro qualche vestito, caramella, qualche soda, insegno loro a dipingere e a rispettare le regole del gioco, pochi giorni fa abbiamo organizzato una partita di pallone, vorrei scrivere un articolo dedicato a questo, compro qualche collanina, braccialetto, andiamo insieme a pescare al lago, mostro loro le foto sul telefonino, per loro è una cosa nuova che genera stupore e gioia.

A volte con Fr. Andrew andiamo nel villaggio qui vicino, chiamato El Molo a portare cisternette da 20 litri alla catechista locale, che provvederà a distribuirla alle varie famiglie.

4- Quante persone hai aiutato finora ?

Ho strappato un sorriso sul viso di qualche bambino questo sì, il mio aiuto consiste in una gioia momentanea, magari di una mezza giornata se organizziamo una partita di calcio o di pallavolo, non faccio niente di più di questo.

Più importante dal punto di vista vitale è assistere sister Agnese e Mouridi, l’infermiere locale, nel curare i pazienti che giungono al dispensario.

Mi piacerebbe poterli aiutare in maniera più consistente ma per ora non posso.

Se ragioniamo insieme in questi termini, non so quante persone ho aiutato, anche perché molte volte i visi dei bimbi si assomigliano cosi tanto che scambio uno con l’altro.

Per quanto riguarda il dispensario presto semplicemente la mia assistenza alla sister, posso dire che i casi a cui sono stato più legato direttamente sono stati due, una mama arrivata quasi in punto di morte ed il ragazzino con la malaria.

Grazie per avermi dato la possibilità di far conoscere un po’ di più questa realtà grazie alle vostre semplici ed intelligenti domande.

Spero di aver risposto a voi tutti e se ne avete altre, Manuela me le girerà.

Un grande saluto a tutti voi dall’Africa

Gabriele from Loiyangalani

 

 

MY FIRST DAY-OFF SINCE I ARRIVED IN LOIYANGALANI

E’ proprio così, come recita il titolo di questo articolo, ieri mercoledi 5 dicembre, mi sono preso il mio primo giorno libero da quando sono qui allo Loiyangalani.
Insieme alle sisters abbiamo deciso di andare a South Horr, per la messa di suffragio di Fr. Lino Gallina, padre missionario cattolico della consolata morto quest’anno.
Fr. Gallina era una persona famosa in queste terre, che circondano la riva est del lago turkana, tra le popolazioni dei Rendille, Turkana, Samburu, El Molo e Gabbra.
La sua notorietà è stata confermata ieri durante la Santa Messa.
Molte le persone accorse per questa manifestazione di vivo ed attuale affetto sia da parte delle popolazioni locali, specialmente i Samburu e sia dei parroci italiani e locali giunti da lontane città, Maralal, North Horr, Loiyangalani, Wamba, Rumuruti, Kisima
La cerimonia iniziata alle 10:30 si è conclusa alle 13:00.
Tutto era ricco di colori, di canti, di gioia, di danze, di profumi, tutto quanto miscelato insieme armoniosamente.
Le donne Samburu, molto belle, da ammirare, avvolte con le loro kanga, un tessuto tipico africano, simile al cotone, molto colorato, ricco di motivi floreali, decisamente risaltava il coloro rosso in abbinamento alle loro coloratissime e grandi collane circolari confezionate da loro con preziose perline, che a volte coprono e fasciano entrambe le spalle.
Ho capito che la tipologia di collane, i colori ed il numero rispecchiano il ceto sociale a cui appartengono, una sorta di riconoscimento tra la loro tribù.
Il rosso, simbolo di forza, non è solo su collane e vestiti ma anche sulla pelle.
Le donne samburu usano per i momenti più importanti della loro vita, quali danze legate a cerimonie religiose come il matrimonio, funerali oppure alla nascita del proprio bimbo, cospargersi il collo oppure l’intero petto di terra ocra mista ad olio.
Questo gesto vuole risaltare oltre che l’estetica della propria persona anche l’importanza dell’evento.
Dal punto di vista folkloristico e tradizionale i guerrieri samburu, che non parlano una sola parola di Kiswaili, sono di grande impatto artistico.
Tipicamente un samburu warrior si presenta con sandali di pelle o tessuto di colore marrone, una specie di gonnella colorata, rossa e bianca, petto nudo solcato solamente da una collana realizzata con perline multicolore che forma una grande X sul petto, al collo indossano una collana di vari colori, i più usati sono: rosso, verde, turchese, nero, bianco, per poi arrivare alla testa.
Ai polsi indossano bracciali colorati tipicamente gialli, bianchi, verdi, rossi e neri, li portano anche ad altezza del gomito poco più sopra ed anche poco sotto l’attacco della spalla.
Forte è l’impatto per quanto riguarda la complicata capigliatura, i capelli sono raccolti con labor limae in lunghe treccine per poi essere cosparse interamente di ocra ed olio.
Alcuni Warani, guerrieri, si dipingono anche sotto gli occhi di un colore arancione, stesso colore che insieme ad altri usano per i tipici orecchini lunghi circa 5 cm che appendono sul lobo alto dell’orecchio.
Alcuni di loro, usano anche sagomare le treccine a mò di visiera di cap per ombreggiarsi gli occhi, ponendo al di sopra alcune collanine colorate come fosse una piccola fascia.
Non è ancora chiaro il vero significato del nome samburu, si pensa che sia legato alla farfalla, ossia che ci sia un qualcosa legato al leggiadro volo della farfalla, nel senso di effeminato, raffinato.
Le armi samburu sono un lungo coltello di circa 60 cm foderato in guscio di plastica gialla e cucito con pelle di capra o vacca, lance lunghe circa 2 metri, chiamate mpere, con punta a forma di foglia allungata, il manganello detto rungu, lo scudo di pelle di bufalo o di giraffa di forma generalmente rettangolare, arco, frecce e faretra.
Sister Agnese mi dice che ultimamente usano anche il fucile, come armamentario tipico samburu.
Molti, nei piccoli mercatini improvvisati, sono i contenitori costruiti in legno e pelle, per il latte misto a sangue, chiamato saroi. A questo viene normalmente aggiunto del miele, della carne e del burro.
Ritornando alla messa è stata bella, per me personalmente un po’ lunga, dato anche il fatto che da una parte capisco poco il kiswaili dall’altra facevano la traduzione in samburu in simultanea e così a volte abbandonavo la mia seggiola per uscire e parlare un po’ con i ragazzi della parish e mostrargli delle foto sullo smartphone del lago turkana e della mia pesca fatta con due ragazzi qualche giorno prima per un totale di: 1 tilapia e 3 lakal.
Un momento molto particolare durante la messa è stato quando l’anziano del villaggio ha preso parola ed in lingua locale snocciolava una interminabile fila di parole quasi a ritmo, 1 parola al secondo e tutti noi rispondevamo kai, kai, kai e così per almeno 5 minuti.
Queta stessa usanza l’ho riscontrata anche nel villaggio del El molo, dimenticavo quando si pronuncia kai occorre stringere entrambi i pugni, per accompagnare con il gesto questo possesso di questa benedizione pronunciata a parole.
Terminata la funzione religiosa e ricordato in maniera unica Fr. Lino Gallina, ci aspettava il pranzo ricco di carne e fegato di capra, patate, miscelle (riso), cabbages (cavoli dolci), chapati, soda, magi (acqua), mango e papaia che ho solamente visto, prima come frutto in seguito come semi tondi e neri abbandonati sul tavolo dei padri e delle sisters.
Memore della completa assenza di frutta allo Loiyangalani, ho comprato decine di mango e limoni, una medicina naturale, ricca di vitamina c, un bene molto prezioso qui, in questa oasi circondata solo da sassi e pietre.
Questo paesaggio mi è stato sottolineato molto bene dal viaggio per S. Horr, durato circa 2 ore, modalità passeggero comodo, in quanto una volta lasciato alle spalle il paesaggio dello L.ani, tutto attorno è diventato più fresco, più verde a poco a poco comparivano alberi sempre più grandi e dalle foglie più larghe, si trovavano cammelli di tutte le età lungo i bordi della strada sterrata, mucche, buoi, capre e pecore ed anche qualche dik dik.
I cammelli sono animali curiosi, che si piazzano in mezzo alla strada, ti osservano per bene e poi dopo qualche strombazzata di clacson e rombo di motore, iniziano a correre per qualche metro davanti a te fino a quando non trovano un passaggio libero lungo il ciglio della strada per correre lungo le interminabili pianure di sassi ed acacie che circondano la via.
Mi sono soffermato ad osservare un cammello e penso che discendano dalle giraffe o comunque provengano dallo stesso ceppo, gobba, gambe lunghe, collo lungo, sono tutti elementi in comune, certamente sono meno eleganti, quasi buffi nei loro movimenti rispetto alle loro cugine.
Coperti circa 200 km arriviamo a South Horr, quasi un paradiso, temperatura intorno ai 25 gradi, tutto verde, incantevole è stato vedere tutto questo verde dopo circa 2 mesi di sole rocce e pietre,
c’è anche un piccolo fiume dove i Samburu si riuniscono per lavarsi e fare il bucato, il profumo della natura è così fresco, incontaminato e tutto intorno solo verde appoggiato su questa terra rossa dalle varie tonalità. Tutto è come fosse un dettaglio di un bellissimo quadro incorniciato dalle alte e verdi vette dei monti circostanti.
Verso le 15:00 siamo saliti sulla jeep guidata abilmente da Isaac, il driver delle sisters che con sapiente destrezza scalava marce, frenava ed evitava grandi buche per evitare che le nostre 30 galline comprate per il progetto Turkana Mama ci finissero fin sopra la testa.
C’è stato un momento degno di nota durante la strada del ritorno per la puzza che è arrivata da dietro, causata probabilmente da una inevitabile brusca frenata e conseguentemente dello spavento degli animali, per non finire in un piccolo strapiombo lungo il ciglio del sentiero fatto da grandi sassi.
Arrivati alle ore 17:00, scarichiamo frutta, galline, carbone.
Liberate nel pollaio-giardino delle sisters, insieme a suor Agostinella mi prendo cura di loro, prepariamo un contenitore con dell’acqua per farle dissetare.
Dopo averle prese ad una ad una e fatte bere, cacciandoli letteralmente il becco nella ciotola, mi ritrovo proprio lì, a due passi dalle suole delle scarpe, 3 uova calde calde appena fatte, le consegno alla sister.
Dopo pochi minuti le uova da 3 diventano 2, la sister ha fatto la frittata come si suol dire !
Per concludere al meglio la lunga giornata, ho dovuto vestire i panni da shepherd per recuperare la capra e la pecora delle sisters, scappate una volta aperto il recinto per far entrare le galline, 2 ore in giro per ogni anglo della missione. Missione compiuta: recuperate.
Ho scritto all’inizio dell’articolo che è stato per me e per le sisters una sorta di vacation il viaggio a South Horr, perché impegnative e lunghe di lavoro sono i giorni quì allo Loiyangalani.
Una mia giornata tipo è cosi vissuta.
1- sveglia alle ore 6:00, al sorgere del sole
2- ore 6:30 giro ispettivo progetto pomodori, alcuni giorni non mancano le sorprese
3- ore 7:00 colazione, caffè, maziwa, sugar, te, bread, nutella scaduta da Israele
4- ore 7:15 house, pulizia viso, denti + camera non tutti i giorni
5- ore 8:30 bucato non tutti i giorni + stesura panni + asciugatura degli asciugamani notturni che ho imparato ad usare al posto del lenzuolo sintetico, posti sopra la mcheka, stuoia di palma
6- ore 9:30 sudato fradicio tuffo nella piscina della missione, previa pulizia e rimozione di scorpioni, topi, scalopendre, rane e fogliame vario.
7- Ore 10:00 controllo progetto
8- Ore 11:00 dispensario sisters: lavoro computer
9- Ore 13:00 pranzo + progetto
10- Ore 15:00 progetto + dispensario, assistenza ai pazienti malati
11- Ore 17:00 break acqua + lemon juice from sister’s house
12- Ore 18:00 kitchen con Joseph il cuoco
13- Ore 19:30 supper
14- Ore 20:30 lala salama

Più o meno le mie giornate sono scandite da questo ritmo, in generale.
Certi giorni ritaglio del tempo, come questa mattina presto per scrivere gli articoli, fare un giro in città, salutare i bimbi, regalare loro qualcosa, andare al lago a piedi anche se ho provato sulla mia pelle che è lontano, circa 3 km, tenendo conto delle condizioni climatiche.
Sono andato lunedì, all’andata partenza ore 8:00, allright ma al ritorno ore 12.00, la situazione fin dai primi passi si è rivelata subito difficile ed ardua fu l’impresa per i nostri 3 beduini del deserto.
Nei giorni passati ho insegnato a Joseph, il bravo cuoco della missione a cucinare alcuni piatti della cucina tipica italiana, gnocchi al ragù e risotto con delle zucche locali.
I prodotti a disposizione per cucinare sono assai limitati e quindi si cerca di dare il meglio per variare un po’ la dieta alimentare, unendo i diversi estri creativi.

AGGIORNAMENTO PROGETTO POMODORI
Due giorni fa, mi sono accorto da alcune foglie leggermente ingiallite che il sole in questi giorni è troppo caldo, così ho preso dei sacchi bianchi realizzati con un materiale simile al nylon, fronde di palme e sassi.
Ho realizzato una copertura di circa 3 m^2 per garantire ombra alle piante nei momenti più soleggiati della giornata affinché possano crescere nelle condizioni migliori possibili.
Le circa 20 piantine stanno crescendo bene e rigogliose, sono ancora nella fase vegetativa.
Due sono le tipologie germinate una a foglie larghe ed una a foglie piccole, entrambe in buona condizione di salute.
Quotidianamente mi dedico loro, aggiustando i tubi che si guastano per il forte vento, per le reti che si rovinano, per rimettere in sede il tubo di scolo dell’acqua, per preparare la dose di nutrienti che le piante devono ricevere, per integrare l’acqua evaporata, persa e assorbita dalle radici. Insomma il lavoro non manca.

Un grande saluto africano a tutti voi
Gabriele from Loiyangalani

SUA MAESTA’ LA NATURA… IL VIAGGIO (parte quinta)

Quando siamo rientrati dalla passeggiata la cena era in tavola, per cui abbiamo atteso Padre Andrew e ci siamo trasferiti alla mensa. Terminato siamo usciti e ci siamo seduti sotto il portico, oltre a noi quella sera era presente anche il guardiano, e Gabri appassionato di armi bianche ha notato subito il suo arco, così si è fatto spiegare come tirare e siamo rimasti lì a ridere e scherzare mentre si lanciavano frecce… Durante quei minuti il Watchman (guardiano) ci ha raccontato delle sue azioni notturne per difendere la missione e vi assicuro che quando ci siamo diretti verso le nostre stanze, avevamo paura che ci arrivasse una frecciata. Per tutto il soggiorno se a qualcuno veniva sete di notte (come ha scritto Gabriele nei suoi racconti) prima di recarsi in cucina contava fino a 100, così magari si riaddormentava… Questo perché la guardia ha lasciato capire dalle sue storie che se qualcosa si muoveva durante la notte lui era pronto a scoccare la freccia senza esitazione! Data la buona notte, siamo andati a dormire nel nostro fornetto sperando che la sete non si facesse viva, e soprattutto augurandoci che Robin Hood non colpisse nessuno… Alle 3.00 Tony mi chiama e mi dice che ha il palato gonfio e che ha una forte nevralgia al dente… Non speravo di meglio… mi sono alzata controllando con il cellulare il pavimento per evitare incontri spiacevoli, arrivata all’interruttore,  la luce ci ha inondato e gli ho controllato in bocca notando che un carinissimo ascesso era cresciuto alla velocità della luce sul suo palato… EVVIVA!!! Così con la maestria di due chirurghi lo abbiamo inciso con un ago da cucito sterilizzato con la fiamma dell’accendino e correndo come due gazzelle inseguite da un leone siamo andati in cucina a prendere l’acqua per sciacquare la bocca, per fortuna Robin non ci ha sentito! Il dolore gli era passato così siamo tornati a dormire, confidando nella fortuna e desiderando che nient’altro a parte il caldo recasse disturbo al sonno.

Al mattino abbastanza provata dalla nottata, sono andata in piscina e mentre stavo entrando in acqua i miei occhi hanno visto qualcosa di strano… molto strano… uno scorpione abbastanza grosso sul fondo della vasca… altro salto olimpionico, ma fortunatamente non nuota ed era morto, così con il retino lo abbiamo tirato fuori dall’acqua lasciandolo in balia del ciclo della vita.  Da quel giorno, prima di fare il bagno facevo una ronda intorno al bordo della piscina per prevenire ed evitare spiacevoli incontri.

In questa giornata come nelle successive il lavoro principale del progetto riguardava la preparazione e l’installazione della seconda idroponica ed il controllo delle due nursery. E’ stato emozionante vedere come crescevano le piantine, diciamo che erano come i nostri bambini perché giunti all’altezza desiderata le abbiamo collocate nei bicchieri che a loro volta sono stati inseriti nella struttura. Azionata la pompa abbiamo dato loro l’acqua e da lì le abbiamo controllate e monitorate tutti i giorni, ma eravamo consapevoli che senza la luce artificiale difficilmente sarebbero potute sopravvivere, ed infatti come ha scritto Gabriele non sono riuscite a crescere come dovevano. Il problema è stato causato da un cavo che abbiamo ordinato ma che non è mai giunto a destinazione, siamo certi che con la luce anche la prima idroponica avrebbe terminato il ciclo di crescita. L’importante è sapere che l’idroponica funziona, adesso aspettiamo i pomodori.

Durante i giorni trascorsi al lago Turkana spesso ci siamo recati a pescare, era bellissimo vedere il lago in tutta la sua magnificenza e osservare come cambiava il colore dell’acqua di ora in ora. Così una volta preparate le canne ci siamo diretti dove Peter, il tutto fare della missione, ci aveva suggerito. Arrivati a destinazione sono rimasta sbalordita come sempre dalla bellezza del luogo e dal giovane pescatore che ha insegnato a Gabri a pescare solo con filo e amo.

Quel giorno, dopo aver promesso che non avrei lanciato sassi, sono andata insieme ad Erunye a passeggiare. Camminare al lago è sorprendente, tutto scricchiola come quando si cammina su un sottile strato di ghiaccio, tutto si sgretola sotto i tuoi passi lasciando che la tua impronta divenga parte del suolo come se fosse un fossile. Ho toccato perché incredula quella crosta e tutt’ora sento il suo calore e il suo pungere, perché in questa massa di terra si formano dei cristalli di sale duri e sottili come aghi.

Spostandomi a piedi mi sono accorta di quanta vita e morte regna in questo territorio, ogni tanto dal nulla spunta un albero color smeraldo circondato da pietre rosse come rubini o una libellula che sbatte le ali mentre cattura un insetto.

Abbassando lo sguardo verso il terreno scopri invece ossa di vario genere: lische di pesce, corna di mucca, ossa di chissà cosa e piccoli fossili di conchiglie.

Ma ancora più sorprendente sono le distese di sassi fossili… stavo camminando nella preistoria.

Quando sono tornata dal gruppo mi sono soffermata ad osservare il giovane pescatore intento nel suo lavoro, pescava con una grande abilità e sopratutto a lui i pesci abboccavano!!!

Ma dopo qualche minuto anche i nostri tre pescatori sono riusciti a tirare fuori dall’acqua qualche pesce… per fortuna, altrimenti non saremmo tornati in missione dalla vergogna!

Il tramonto ci aveva ormai inondato con i suoi colori e tutto fiero si lasciava fotografare…

Il pescato lo abbiamo regalato al nostro pescatore, che felice e contento è salito in macchina con noi, così oltre ad aver accumulato qualche pesce in più si è anche, per una volta, evitato parecchi chilometri a piedi. Tornati in missione i nostri “Sampei” camminavano a testa alta, fieri della loro pescata e pronti ad assaporare la cena.

Il titolo è nato per omaggiare la natura che durante tutto il viaggio è stata la regina indiscussa delle nostre esperienze, ci ha fatto ridere, spaventare, sognare ma soprattutto ricordare quanto sia bello vivere a contatto con lei. Molto spesso a causa del nostro stile di vita non ci soffermiamo molto a conoscerla, ma di una cosa sono certa, per quanto i nostri pensieri offuschino la nostra mente e per quanto cemento e catrame provino sempre più a ricoprire la terra, la natura cercherà comunque di farsi notare. Il nostro sguardo verrà attirato dai suoi segnali, come quando sull’asfalto o su un muro compare all’improvviso un ciuffetto d’erba, dimostrando che la terra appartiene alla natura e noi siamo parte di essa, diventato anche se per pochi istanti un tutt’uno.

A presto Lilly