Informazioni su Topo Franz

Ormai quarantenne, giornalista, scrittore per qualcuno, scribacchino per altri, sognatore, uomo di lago, cultore della buona tavola, pendolare, papà, marito, ex fisarmonicista, ex playmaker di basket, ciclista con la pancia

Un saluto ai blogger de Ilpendolare.com

Un sito di servizio, utile, preciso, interessante: un manuale di sopravvivenza per gli irriducibili che passano una parte consistente della loro vita quotidiana sui treni da Varese a Milano… Www.ilpendolare.com: le vie del Signore sono infinite, ma le linee ferroviarie sono limitatissime…. in anni di andate e ritorni, ci si trova a condividere la stessa penitenza, su e giù dai treni. Io, topo di campagna, mi ostino a prenderla con ironia, gli amici del Ilpendolare.com sono gente più seria, a cui chiedere consigli e informazioni. A topo di campagna potete chiedere soltanto consolazione… oppure, come dice mia figlia, fate pure l’unica domanda accettata: “Mi racconti una storia?”

Le ronde dei controllori

Mattino gelido, a Pero. Alla risalita della stazione della metropolitana, il silenzio è rotto soltanto dalle grida di due persone: fuori dalla stazione li vedo, sono due controlli Atm che stringono in un angolo un uomo, presumibilmente di origine orientale. Lo spintonano, volano parole grosse, l’uomo tace: i controlli della metropolitana sono in 3, due uomini in azione e una donna che guarda. Io resto fermo a una decina di metri da loro: mi vedono e lasciano subito fuggire l’uomo. Chi fosse, cosa avesse fatto e perché non lo so, ma nella penombra del mattino, i tre controlli Atm agivano da sceriffi, al di fuori della stazione.
L’episodio mi offre lo spunto per ricordare anche un altro fatto, meno increscioso, ma altrettanto fastidioso, occorsomi prima delle vacanze di Natale: la stazione di Pero è strategica per i controlli del servizio delle metropolitana poiché in quella stazione cambia la tariffa, da urbana a extraurbana e i viaggiatori che scendono a quella fermata devono munirsi di un biglietto extraurbano.
La sera, durante la settimana, le squadre dei controlli sono spesso schierate sulle scale della stazione, per far cassetta, multando i furbi, ma anche malcapitate vecchiette che, male informate o ignare, utilizzano il biglietto sbagliato.
A me, invece, è capitato di passare per furbo. Con quale infrazione? Un timbro poco leggibile sulla matrice del biglietto settimanale (per colpa peraltro dell’obliteratrice guasta della stazione) e, soprattutto, non aver conservato una parte dei biglietti delle giornate precedenti. Un errore, una sanzione: cose che capitano, discutibili, ma secondo regolamento, per carità.
L’accanimento tuttavia è davvero fuori luogo: un atteggiamento da sceriffi, quello da squadre di ronda, davvero irritante. Evidentemente, un comportamento e un tono educati sono fuori luogo, quando si ha a che fare con i pendolari: pretendere rispetto sembra diventato impossibile in questa giungla.

Libri da treno: Pane e tempesta

L’ultimo di Benni sembra fatto apposta per una lettura da pendolare, con tanti capitoli brevi, decine di episodi comici, paradossali, teneri… L’ideale per chi ha i nervi sotto pressione, come un pendolare sulla linea Milano – Varese o Milano – Domodossola.
La storia ruota attorno all’ennesimo bar sport della letteratura di Benni, il centro della vita sociale di un paesino di nome Montelfo. Aneddoti e vicende che ricordano le pagine migliori di questo scrittore… I protagonisti sono personaggi straordinari: Nonno Stregone, Ispido Manidoro, Trincone Carogna, Sofronia e Rasputin, Archimede detto Archivio, Frida Fon, lo gnomo Kinotto, il beato Inclinato, Simona Bellosguardo, il gargaleone e il cinfalepro, Fen il Fenomeno, Piombino, Raffaele Raffica, Alice, don Pinpon e don Mela, Zito Zeppa, la Jole, Gino Saltasù, il sindaco Velluti, Ottavio Talpa, Bubba Bonazzi, Bum Bum Fattanza, Nestorino e Gandolino, Sibilio Settecanal, Tramutone, la Mannara, Giango, i fratelli Sgomberati, Bingo Caccola e Tamara Colibrì, Maria Sandokan, Adelmo il Cupo, Checca e Caco.
Il bar sport è messo in pericolo da un progetto di speculazione edilizia che mira alla realizzazione di un centro commerciale: i valori di un tempo che avevano mantenuto in vita un piccolo villaggio si scontrano con la logica del “ho i soldi, faccio quel che mi pare”, tanto in voga di questi tempi. Come finirà?

La neve a corso Como

Meno 4 al binario 2, cielo grigio che trattiene la neve a malapena. Prima o poi verrà giù e renderà le rotaie addirittura suggestive. Già mi prefiguro lo scenario da nevicata, con i rumori attutiti, l’aria tersa e il borbottio incessante d’imprecazioni proveniente dalle carrozze popolate da impiegati e stagisti in ritardo…. Perché quando piove…i treni ritardano, quando nevica, pure, quando gelano gli scambi, pure, quando fa troppo caldo, pure….. Ma la metropoli pensa al Natale, Milano ha un sacco di belle proposte da esporre… ieri sera, intanto, a Quarto Oggiaro hanno fatto pulizia. Pulizia di camorristi, in un’isola ai margini, una delle tante, di questa città. Smantellato un clan…quello della cocaina, dicono i giornali. Ma la neve, anche stasera, a corso Como cadrà ugualmente. Purtroppo.

L’ultima farfalla

C’è della poesia, a volte, nella frustrante quotidianità di un pendolare. Come la luna piena che fa capolino da dietro i tralicci dell’alta tensione della ferrovia. L’aria è più frizzantina, viene dai monti innevati che, al chiar di luna, si riescono persino a vedere, dalla città fin su, verso la Svizzera.
Viaggiatori assorti al binario uno, immobili e accarezzati dal vento freddo, ma non troppo, d’inizio dicembre: c’è persino una farfalla. Volteggia nell’aria, come un puntino colorato che porta buon umore, disegna forme immaginarie a mezz’aria, scende ad altezza banchina e si posa. Immobile, eccola mostrare la sua livrea colorata: in mezzo a tutto il marciume di periferia, due piccole ali colorate illuminano pensieri fin troppo immersi nella quotidianità. Ali che si posano e sguardi che si posano su di loro. Un fermo immagine di una frazione di secondo e… schratch! Un colpo a bruciapelo, uno scarpone firmato in pelle di cervo: un giro di suola, come per spegnere un mozzicone, e della farfalla non resta più nulla. L’assassino, un palestrato in giubbotto di pelle, la guarda appena, abbozza un sorriso beffardo, getta il mozzicone sul binario e sale sul suo treno.
La gente smette di sognare e torna a incollare il proprio sguardo ai telefoni cellulari, a spedire messaggi a chissà chi. Non si vede nemmeno più la luna, nascosta dai vagoni, si torna a sentire la solita puzza di mondo non lavato.

… il podista del metrò

Sì sono io il podista e al primo che prova a ridere gli rifilo l’anatema del pendolare… “che ti possa schiacciare le dita sotto il finestrino della carrozza del treno…” (cose che capitano, del resto)

ieri è andata che il treno l’ho perso…. altro che portoghese.
Sono stato bloccato dai meccanismi perversi di una stazione del metrò di periferia…. la famigerata fermata di Pero: stazione che pare sia stata costruita direttamente negli inferi. Forse Dante pensava a questo luogo quando scrisse il ventesimo canto: stazione di Pero, quarta bolgia, quello degli indovini e dei maghi, costretti a camminare con la testa rivolta all’indietro…
Una scala eterna, lunghissima e ripida come il Mortirolo, tanto caro ai ciclisti. Una stazione che piacerebbe a Belzebù, dunque, che si prende beffe di noi dannati, non appena possibile. Come? Con una scala mobile SEMPRE GUASTA nei momenti difficili.
Un pendolare con i minuti contati e con un biglietto da acquistare, a Pero è la vittima prediletta di Belzebù: prima discesa agli inferi a una velocità vertiginosa, con rischi di cadute, per scoprire che le uniche due biglietterie, entrambe automatiche, sono guaste.
L’omino di frontiera, il controllore atm all’ingresso dei tornelli, indica il cielo: dice di tornare in superficie e servirsi della biglietteria automatica all’altro ingresso della stazione. Risalita in apnea e scatta la seconda imprecazione, dopo aver constatato che anche la terza biglietteria automatica non funziona.
Nuova discesa a tutta velocità, inzuppato di sudore, e nuovo indizio del controllore che, applicando un rigido regolamento etico sportivo, non concede aiuti “pena la squalifica”… sma i limita a indicare con il dito ancora il cielo. I biglietti si acquistano al bar vicino alla banca che sta vicino alla chiesa…. Risalita, ormai con un polmone compromesso, la lingua felpata, il volto paonazzo e il ritmo che cala inesorabilmente, rabbia che cresce e morale che scende: ma al bar, gli ultimi biglietti li hanno venduti nel 2000 in occasione dell’Anno Santo.
Come un pugile suonato, ecco la nuova discesa a saltoni, tra uno scalino malvisto e un altro mal saltato. Ma ormai è una questione di sopravvivenza: o si dorme qui o in qualche modo si torna a casa. Una vecchia pubblicità di un olio da tavola mi aveva suggerito la tecnica… l’olio per sentirsi in forma e si salta la staccionata… ai tornelli della stazione. Un gesto di una plasticità sorprendente, degno di un atleta di qualità superiore, atterraggio da 9,95 al corpo libero e ripartenza verso la stazione dei treni. Da portoghese e sovversivo…. «Ma che fa?», urla l’omino atm. Mi volto appena, mi guarda e, impietosito dalla mia maschera di sudore, capisce tutto e mi concede la grazia: «Vada, vada, il biglietto lo farà alla prossima stazione».

Risultato? Un tot di treni persi e rientro a casa a tarda sera… L’intoppo del metrò ha condizionato tutto il resto e sono finito parcheggiato sulle banchine di più stazioni, accumulando ritardi e coincidenze mancate. Ma almeno ho potuto riscattare la mia condizione di clandestino e in una modesta stazione di provincia, mi è stato possibile acquistare almeno il biglietto del treno…dopo una salutare serata di jogging, l’uomo onesto sopravvive sempre.

Finisce qui una cronaca degli affari miei, in un giorno di ordinaria depressione… tipico di ogni pendolare, immagino.

La profezia di un grigio lunedì

Grigio fumo: è il cielo di novembre su Milano e dintorni. La città ha un’aria cupa come Gotham city, piove a catinelle: e sotto il diluvio, presto arriverò alla stazione di partenza. Rho/fiera: avamposto del progresso, proiettati nel futuro, ma un futuro così futuro che si fa un po’ fatica a inquadrarlo.
Il cuore di Expo 2015 è far west: per una strana coincidenza, un pendolare impenitente passerà per furbo e dovrà litigare come un ladro colto con le mani nel sacco. La stazione di Rho/Fiera è più avanti del futuro, ma i pendolari rimangono a piedi o passano per clandestini.

Stasera, dopo l’ufficio, andrà più o meno così:
«Lei non ha il biglietto…»
«Non è la risposta esatta: io non ho il biglietto perché non l’ho potuto acquistare».
«Lei si deve premunire in anticipo servendosi degli appositi punti vendita»
«Ma la stazione non ha biglietteria…»
«Lei avrebbe potuto acquistarlo al distribuire automatico…»
«No, la stazione non ha distributori automatici».
«Allora doveva acquistare il biglietto al bar»
«No, il bar chiude a mezzogiorno»
«Allora avrebbe dovuto premunirsi in anticipo, usufruendo della biglietteria della sua abituale stazione d’arrivo».
«No, perché la biglietteria della mia stazione abituale, non ha gli stessi orari dei pendolari e funziona soltanto la mattina».
«E le biglietterie automatiche?»
«Anche lì guaste da sempre».
«Avrebbe comunque potuto acquistare i biglietti online»
«No, perché il sito web per la vendita dei biglietti oggi non funziona».
«Allora può fare il biglietto sul treno… ma con il sovrapprezzo previsto dalla legge».
«E se la multa io non la pago?».

… a meno che il capotreno/controllore scelga di rimanere a chiacchierare con il macchinista o con una dolce donzella. Come accade quasi sempre, ma che, c’è la legge del pendolare sfigato che non perdona, ormai è ben più crudele di quella del più noto Murphy: 29 giorni da onesto e mai un ferroviere che se ne accorga. Il 30esimo da portoghese (forzato) e ti beccano a due chilometri dal traguardo.

Poi vi dirò com’è andata…

Sì, sono un “saponista”: aria nuova sui treni!

In dodici ore, tra un ritorno e un’andata, sera tardi e mattina presto, due treni guasti, due soppressi, due coincidenze perse per strada, quattro ore e trenta minuti di viaggio in tutto. Un bollettino di guerra sulla linea Milano-Domodossola. Ed è in quei momenti, ovvero quando il pendolare è sotto stress, che il training autogeno dell’ottimismo non funziona più, lo scudo di positività (come il karma della formica) s’infrange e filtrano soltanto magagne: nel senso che, in balìa di un treno che non va avanti, un pendolare scaricato come un baule da una banchina all’altra, si accorge di un sacco di altre cose che fanno incazzare.

Stamani, su tutte, l’ascella putrefatta di un paio di viaggiatori era da mani in faccia: in nessun caso, e a maggior ragione alle 6,45 del mattino, gli pseudocaproni non dovrebbero essere autorizzati a viaggiare sui treni affollati. I treni fanno schifo ed è cosa nota, ma non ha senso lamentarsi per la scarsa pulizia delle carrozze senza prima una sana dose di sapone abbondantemente utilizzata su se stessi. Sbaglio? Ho sempre diffidato dei movimenti di protesta “codificati”, ma ora mi converto: voglio fondare il movimento dei “saponisti”. Sì sono un saponista, per motivi di sopravvivenza, ovviamente.

La linfa vitale di Milano scorre nelle vene delle linee dei trasporti e io ne sono parte con altre centinaia di migliaia di persone, come globuli rossi che dovrebbero portare ossigeno all’organismo e all’economia della città: l’effetto, però, è quello di un pugno in pancia, per il fetore. Altro che manifesti culturali: il rinnovamento cominciamolo da una sana doccia quotidiana.

Letture da treno: l’orribile karma della formica

Sul solito lercio treno delle 6,43, stamane rischiavo di perdere la fermata: dialogavo mentalmente con Arcadio Buendia (il protagonista del romanzo che sto leggendo) a proposito di formiche e reincarnazioni.
Già, perché Desi, che lavora per una compagnia di assicurazioni, mi aveva appena parlato in modo entusiasta dell’ultimo libro terminato, tra andate e ritorni in ferrovia: “L’orribile karma della formica”, un romanzo di David Safier.
Kim è una donna in carriera, conduttrice televisiva di successo si ritrova spesso a mettere in primo piano la sua carriera anziché la famiglia, ovvero un marito e una figlia dolcissimi. Ma un giorno Kim muore per un incidente assurdo e rinasce come formica. Tuttavia, a ogni karma positivo si reincarna in un animale ogni volta più grosso, fino a tornare uomo.
Mi chiedo a quale punto di questa scala verso la redenzione siano posizionati i pendolari: secondo Darwin saremmo l’evoluzione della specie, oltre l’uomo e l’automobilista. All’opposto, ovvero secondo il pensiero metafisico, saremmo più simili a peccatori in purgatorio, reincarnati da una cimice, forse (visto l’odore che si avverte nelle carrozze del treno). Pensieri balzani di una mattinata grigia grigia…

Lo stalking della bistecca

Ugo serve il brasato ai pendolari, ma Zaccaria, oggi, non è in fila con gli altri: è appoggiato al vetro del bancone delle pietanze, non ha fame, ha soltanto voglia di parlare. L’oste, invece, ha una fila lunga così, quanto il tram 14 che passa lì di fronte, di gente da sfamare, con la pancia vuota e i minuti contati: «Uè, non venir qua a menare il torrone, se ce l’hai col Milan lassa perd».
«Ma no, il calcio non c’entra, questioni di cuore».
«Oh Signùr, per il cuore spetta più tardi che smaltisco la coda degli affamati, per il fegato, invece, ciapa qui un piatt: è alla veneziana», e gli porge la pietanza. Mangia nell’angolo, Zaccaria, mastica lentamente e non riesce, quasi a inghiottire.

Ugo lo scruta dall’alto verso il basso, quella faccia da pesce lesso non lo convince proprio. Finita l’ora di punta della pausa pranzo, l’oste gli si piazza seduto di fronte e lo osserva, faccia a faccia. Zaccaria deglutisce e attacca il discorso: «Ti sentiresti offeso se trovassi una bistecca cruda nella borsetta?».
L’ex terzino prestato alla cucina meneghina strabuzza gli occhi e tossisce: «Dipende se la borsetta è di coccodrillo o pel da logia».
«Non sto scherzando, Ugo. Ti arrabbieresti a sentire la fettina umida dentro la borsetta?».
«Dai sputa tutto, che razza di domanda è questa…».

Era la risposta che attendeva, Zaccaria è come un fiume in piena: abbassa gli argini e si svuota di tutte le amarezze. Deluso in amore, è un recidivo col cuore infranto: non fa a tempo a ricucire le ferite che si procura un nuovo strappo. Sulla soglia dei quaranta, scapolo a oltranza, ormai punta ragazze nubili a tappeto, è diventato un corteggiatore da sfinimento. «Non è la qualità che conta, ma la quantità: a un certo punto». Già, la quantità è uguale a zero, la qualità è ormai un concetto astratto nei suoi pensieri. E vendicare i due di picche è diventato il suo secondo passatempo, perché le ferite aperte fanno ormai fatica a rimarginarsi, a quell’età, per uno che non si rassegna alla pace dei sensi o al sesso a pagamento. «Io sono un sentimentale, non un mercenario di carne da macello», ha sempre sostenuto con orgoglio. Anche se la carne, in realtà, la maneggia tutto il giorno, come aiuto macellaio al piccolo supermercato sulla strada verso Pero: e fu proprio lì, mentre maneggiava un pezzo di biancostato, che gli venne l’idea.

La sua prima vittima fu Irma Vanetti, un’impiegata delle poste che una mattina si ritrovò una cotoletta al sangue nella pochette di Gucci, mentre si concedeva un caffè: infilando la mano per estrarre la moneta, proprio davanti alla cassa del bar, sentì tra le dita una flaccida consistenza e quasi gli prese un colpo. Come colpita da raptus, istintivamente, tirò fuori quella roba informe e la lanciò: la bistecca, solo in quel momento capì di cosa si trattava, andò a spiaccicarsi sulla parete dietro al flipper, lasciando una striscia di sangue sul muro: come nei delitti da film horror.
Da allora, le vendette che si compirono furono a decine: come un giustiziere seriale, si prendeva quella rivincita anonima, a ogni due di picche. E agiva con la stessa abilità di un grande borseggiatore, ma al contrario. Tanto che, al comando della polizia locale, il vendicatore della bistecca era diventato un mito: e il comandante Sgarzon non vedeva l’ora di beccare il colpevole con le mani nel sacco (già proprio così) per vedere in faccia, il volto di quel sanguinario affettabovini.

Un’altra volta, infilò un osso da lesso nella borsa di Carmen Spataro, napoletana emigrata al Musocco, ma innamorata di Evandro, il ragazzo dogsitter, proprio al primo appuntamento, al parco di Trenno: e fu un disastro. Alla vista della ragazza, Evandro si sentì come trasportato dagli eventi: in balìa di quattro doberman che teneva al guinzaglio, terminò la sua corsa a cavalcioni della povera malcapitata, svenuta per la paura. Tremendissima vendetta, quella di Zaccaria.
Come quel giorno in cui colpì la povera Benedetta Lafava, dopo essersi negata a un mese di avances: scoprì soltanto dopo, il malandrino, che la ragazza aveva una totale avversione per gli uomini e i loro attributi, per via di un trauma adolescenziale, ovvero la valanga di sfottò rimediati a scuola, per via del nome. La Benedetta, quella triste mattina, fini al pronto soccorso in preda a un attacco di panico: l’allergia non le dava pace e a furia di starnuti si ritrovò a soffiare il naso dentro una fetta di carpaccio, scambiata, nella foga, per un fazzolettino umido, riposto nella sua borsetta, proprio accanto al portafoglio.

Ora confessa tutto, Zaccaria: vuota il sacco, davanti all’amico ristoratore, abituato costui a celebrare la bistecca in ben altro modo. E chiude, con un sospiro e un avvertimento: «Lo so, è questione di pochi minuti e verranno a prendermi. Con la Jole, non ce l’ho fatta a resistere, mi ha beccato».
Ugo sta lì a bocca aperta, come uomo di pietra, investito da una frana.

La Jole è la titolare di un negozio di lapidi e monumenti funerari che si trova a due passi dalla trattoria: per un mese Zaccaria l’ha corteggiata e sognata ogni notte. Le ha scritto lettere d’amore, poesie strappalacrime che, in realtà, hanno sortito soltanto uno sputo: proprio così, la Jole, esausta per i suoi continui assalti, non ne poteva più e ha pensato di liberarsi del suo spasimante con un gesto estremo, sfrontato. Uno sputo in faccia, sparato a bruciapelo, assolutamente imprevedibile, mentre le si avvicinava a lui con fare suadente, in tailleur rosso e con il volto truccato da balera e capelli raccolti dietro la nuca. Lui l’aveva guardata, pregustando il bacio e la resa, ma si è ritrovato con l’onta peggiore nell’occhio destro. Centro pieno, cuore distrutto.

Soffrire per amore, ci stava, ma umiliato no: la rappresaglia doveva essere pazzesca. Degna di Zaccaria. Ma non più con una semplice fettina, bensì con una frisona di prima qualità, chiesta a prestito all’allevamento di zio Cino, un parente uno po’ svitato per colpa di uno zoccolo in fronte rimediato durante la mungitura, anni fa. Zaccaria era arrivato a piedi, dalla cascina vicino a Bollate, e aveva fatto il suo ingresso nel locale esposizioni della Jole, tirandosi dietro quello splendido esemplare di vacca, proprio mentre si stava ultimando il pagamento di una tomba lì in bella mostra, da parte dei parenti del Callisto del Musocco: la moglie Adelina lo aveva abbandonato portandosi via la foto di Mariolino Corso, il suo idolo. E lui da allora, non fu più in sé: decise di farla finita con un’arma impropria, il fast food in fondo al cavalcavia, a colpi di hamburger e crocchette di pollo.

Callisto si era spento come una candella consunta, nel silenzio del locale deserto: il suo respiro era venuto meno al cospetto della quarantaduesima pepita impanata, inzuppata nel ketchup. Senza figli e con la moglie chissà dove, poteva contare ora soltanto sulla benevolenza della cognata Clotilde e di quattro pronipoti che, di fronte alle proposte in stile teleimbonitrice della sciantosa Jole, non avevano battuto ciglio: secondo il parentado, al Callisto sarebbe bastata quella tomba in finto marmo bianco già lì esposta e pronta all’uso, niente di meglio di un’offerta last minute, degna di una vittima del fast food.
Proprio nell’atto di regolare le ultime formalità, davanti al bancone del negozio, il piccolo capannello di parenti veniva interrotto da un muggito in stereofonia, suono terrificante, amplificato dalle pareti vuote del locale. Nel voltarsi verso l’ingresso, i cinque malcapitati aprirono uno scorcio di visuale alla Jola che, riconoscendo Zaccaria accompagnato dal quadrupede, aveva cominciato a strillare come una posseduta dal demonio.
L’innamorato non corrisposto e umiliato si era limitato a una sola frase di rivalsa: «Chi vosa pussé la vaca l’è la soa. E allora sputa sul muso a sta bestia». E se n’era andato abbandonando il bovino in vetrina, tra le lapidi in esposizione.

Fine del racconto: Ugo ha le mani nei capelli e guarda ancora impietrito Zaccaria, lasciandosi sfuggire un “tesemàtt”. «Aspetto che vengano a prendermi, lo so che sono qui. Ho saputo che è anche un reato sta cosa qui, la chiamano in inglese, una parola tipo staching», conclude il matto ripudiato dall’amata.
«Per me è scemenza, altro che staching», replica l’amico.
Ecco, poco dopo, due gendarmi in trattoria a chiedere di un tipo strano: Zaccaria si alza e si consegna, con la testa bassa, come il peggiore dei malfattori. «Vai dalla Jole a riprendere la mucca di zio Cino, per favore», dice all’oste.

Ugo rispetta le consegne, per compassione più per la povera bestia che per quell’idiota di Zaccaria. Al discount del caro estinto, la frisona aveva già sparso panico e sterco ovunque: al suo ingresso, Ugo avverte l’odore della tragedia, che sa stalla più che dell’incenso che si usa di solito in quel posto. Anche le immagini non sono da meno: la Clotilde, nonostante la sciatica e il mal di schiena, è avvinghiata alle spalle di un Cristo benedicente in bronzo di tre metri, il rifugio più sicuro per sfuggire alla terribile creatura della campagna. I quattro pronipoti, invece, sono in ginocchio attorno alla Jole, svenuta e a terra: litigano per chi deve farle la respirazione bocca a bocca, anche se lei tenta di respingerli con le mani. Sulla tomba bianca del Callisto, spicca ora un’enorme torta similcioccolato e fumante. Ugo scuote la testa e recupera la corda la collo della povera bestia e la aiuta a uscire da quel pandemonio. Ha un solo pensiero: «Eh Callisto Callisto, se fossi venuto da me, invece di andare a mangiare dagli americani, saresti ancora qui a litigare per l’Inter».