Ed anche quest’anno è arrivata la prima neve, accompagnata, come sempre, dalle immancabili polemiche. Rinvio sì, rinvio no, ognuno ha la sua idea.
Questa volta ha prevalso la corrente del “the show must go on”. Fonti ufficiali parlano di “sole” 48 partite rinviate su un totale di 125 (circa il 38%). Eppure, nonostante i numeri sciorinati, qualche errore è stato evidentemente commesso.
Ma prima di parlare di quello che, a nostro avviso, è stato sbagliato nella “gestione dell’emergenza” facciamo una doverosa premessa. Dobbiamo innanzitutto considerare il fatto che, sebbene non sia geograficamente molto estesa, quella che il CSI Varese deve gestire è una zona meteorologicamente molto variabile. Riuscire ad accontentare ogni società potrebbe risultare difficile, se non impossibile. Ma la pretesa di soddisfare le richieste di tutti è – purtroppo – una pratica squisitamente italiana.
Lo scopo del Centro Sportivo Italiano è però quello di organizzare e promuovere attività sportive e formative, e per fare ciò, seguendo il regolamento, prendere decisioni. Decisioni che devono essere prese autonomamente, unitamente e univocamente. A tal proposito il CSI Varese potrebbe monitorare maggiormente le dichiarazioni di qualche suo rappresentante, dichiarazioni espresse pubblicamente, sebbene non tramite i canali ufficiali, che potrebbero compromettere l’unitarietà delle suddette decisioni. Magari ricordando il messaggio evangelico che ritroviamo nelle parole di Gesù: “Pietro, va’ dietro di me! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”, che il Cristo indirizzò all’apostolo che voleva indicarGli la strada da percorrere per realizzare la volontà del Padre, invece di mettersi innanzitutto lui in sintonia con i pensieri di Dio, o più semplicemente far notare che, condividendo certe opinioni, prima che gli organi competenti si siano ufficialmente espressi, si rischia di fare la figura del peracottaro, qualora tali dichiarazioni venissero successivamente smentite.
Quel che però il CSI dovrebbe fare è prendersi la responsabilità di una scelta, senza ricorrere a soluzioni pilatesche. Nei casi in cui, come è accaduto in questo fine settimana, si debba scegliere tra il rinvio della giornata (tagliando così la proverbiale testa al toro e concedendo una giornata di riposo o di shopping natalizio a giocatori e famiglia) o il proseguimento regolare del campionato, e si optasse per la seconda alternativa, non si possono concedere vie di fuga. Ovvero: se si comunica che “le gare in oggetto sono confermate”, non è necessario aggiungere che “qualora un campo risultasse impraticabile la squadra di casa dovrà accordarsi con gli avversari per il rinvio che dovrà poi essere validato dal numero delle emergenze”, che sarà anche un voler venire incontro alle esigenze delle squadre, fiduciosi della buonafede di tutti, ma che nel concreto si trasforma in una porta spalancata per quelli (si spera pochi) che appartengono all’esercito dei furbetti, quelli che “fatta la legge trovato l’inganno”, quelli che pensano innanzitutto al proprio tornaconto. Da una parte c’era chi voleva il rinvio, dall’altra chi voleva giocare, ed in mezzo sono state permesse altre sfumature possibili (partite rinviate benché con campi praticabili, partite non rinviate nonostante campi impraticabili, e tutto quello che la fantasia umana può congegnare).
Accontentare tutti, l’abbiamo già detto, sarebbe stato impossibile, ma si poteva seguire una linea univoca. Ed invece, anche questa volta, piuttosto che prendere una posizione decisa, si è preferito lavarsene le mani con la neve.