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Nuovo presidente e voglia di ripartire per il Csi Varese

Intervista a Diego Peri, il presidente del comitato varesino che succede a Redento Colletto, che lascia dopo 21 anni

Da poche settimane, dopo 21 anni, il Csi (Centro Sportivo Italiano) di Varese ha un nuovo presidente. Diego Peri è stato eletto dall’assemblea e prende l’eredità di Redento Colletto. 

Peri, come ci si sente a essere il nuovo presidente del Csi?

«È per me un grande onore dopo la presidenza Colletto, che rimarrà comunque legato al comitato. Da un lato è anche una sfida. È senza dubbio una grande novità: un conto è essere consigliere, diverso essere presidente con tutte le sfaccettature del ruolo. È stato un mese e mezzo di tanti contatti, purtroppo non di persona ma la tecnologia ci permette di ridurre le distanze».

Quali saranno i suoi primi passi da presidente?

«Non partiamo da zero, il Csi di Varese è nato nel 1968 e questo è un punto di partenza. I numeri sono importanti, siamo l’undicesimo comitato nazionale, il quarto in Lombardia. Anche a livello economico non navighiamo nell’oro ma il bilancio è positivo. Siamo vigili, siamo anche pronti a cambiare e molte scelte non dipenderanno da noi. Siamo un ente di promozione sportiva, quest è quello che ci contraddistingue».

A livello di discipline quale sarà la “politica”?

«Il calcio a 7 funziona, i numeri sono altalenanti a livello giovanile ma positivi. È nostra intenzione rilanciare pallacanestro e pallavolo che per vari motivi si sono azzerate. Abbiamo inoltre tanti sport individuali e vogliamo valorizzarli. Abbiamo sempre puntato tanto sulla formazione, vogliamo dare sempre maggior valore alla figura dell’allenatore, anche perché la pandemia obbligherà ad avere un allenatore qualificato».

È vostra intenzione riprendere l’attività il prima possibile. Alle società di calcio avete proposto un sondaggio. Come è andato?

«Qualcuno ci ha preso per pazzi, qualcuno ci ha supportato. Premetto che il sondaggio è stato fatto in zona gialla, hanno risposto più di 120 società, la maggior parte ha manifestato voglia di ripartire. C’è la necessità di ripartire, sentiamo le esigenze dei più giovani, che sono in casa da troppo tempo. Avevamo ipotizzato dopo Pasqua la ripartenza ma ora la situazione è tutta in divenire e la monitoriamo quotidianamente. Inutile fare ipotesi in questo momento. Nessuno in ogni caso vuole forzare la mano per convincere le squadre e riprendere l’attività». 

Tutti i vostri campionati Open di calcio, che sono di livello amatoriale, sono stati giudicati di interesse nazionale, come è stato possibile?

«Ci basiamo sulle indicazioni del Csi Nazionale e validate del Coni: ci hanno detto che tutte le nostre categorie Open potevano essere inserite in quelle di carattere nazionale. In ogni caso, in questo momento di zona “arancione rinforzato” non ci sono le basi per riprendere. Facciamo tanta attività negli oratori e la Diocesi ha deciso di “sconsigliare” gli allenamenti. In comune accordo con gli altri presidenti della Lombardia abbiamo deciso quindi di aspettare, non prendiamo sottogamba la salute».

Ci saranno protocolli da adottare per le squadre che giocheranno? 

«I nostri protocolli sono stati studiati da università e validati dal Cts. Ogni disciplina ha il proprio e sono tutti consultabili sul sito del Csi Nazionale. Riguardo agli sport di squadra quello valido è quello pubblicato a ottobre, che non prevede tamponi». 

Chi si prenderà la responsabilità per il rispetto dei protocolli?

«Dobbiamo sensibilizzare le società. È loro diretta responsabilità, anche legale, che questi protocolli vengano messi in atto. Cerchiamo di mettere in campo un po’ di buon senso.  Nel consiglio che abbiamo dato, sapendo che ci sono spogliatoi piccoli, è di organizzarsi prima delle partite. Quello che avevamo consigliato già a settembre è tenersi in contatto organizzando le cose per tempo».

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