Josef Herberger conobbe le due guerre, sopravvivendo alla Prima, e la povertà (era l’ottavo figlio di un operaio della manifattura di specchi Compagnia di Saint-Gobain, che morì a 53 anni per un’influenza, lasciando la famiglia in serie difficoltà economiche e senza una casa).
Sepp, come lo chiamavano tutti, imparò ben presto a non arrendersi facilmente: era un uomo ambizioso. E questa sua ambizione la riversava in quello che era il suo più grande amore (ancor più grande di quello per la moglie Eva), il calcio!
Poco conosciuto in Italia, mentre in Germania è considerato un allenatore iconico, soprattutto per la Coppa del Mondo del 1954, quella del “Miracolo di Berna”. quella della vittoria in finale contro la squadra d’oro ungherese, l’Aranycsapat. Vittoria “drogata” dalle malelingue, dalle teorie del complottismo, che già in quegli anni si diffondevano pur senza i mezzi di oggi. Con il passare del tempo, si è andato a rivalutare quel successo e quella squadra, la Germania Ovest, che era lo specchio di una Nazione, distrutta materialmente, prostrata psicologicamente e spezzata dagli eventi, ma con la gran voglia di rimboccarsi le maniche e non piangersi addosso. E poi è stato riconosciuto il gran merito del suo tecnico, Sepp Herberger, per l’appunto.
Alcuni di noi, probabilmente i più “anziani”, ricordano la famosa frase di Gary Lineker, pronunciata dopo la semifinale di Italia 90 persa ai rigori dalla sua Inghilterra: “Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”. In Germania invece tutti conoscono questa massima di Sepp Herberger: “La palla è rotonda, la partita dura 90 minuti, e tutto il resto è teoria”. La palla è rotonda, e può correre, muoversi e rimbalzare in qualsiasi direzione, e, anche se cerchiamo di dominarla, quel che per lo più facciamo durante una partita è rincorrerla, cercando di capirne le traiettorie beffarde, incapaci di addomesticarla, nonostante la nostra destrezza, perché le sue movenze sono determinate dall’imprevisto e regolate dal caso: da una buca, da un ciuffo d’erba, da un sasso o da una questione di millimetri. Ma, fintanto che potrà rotolare sul campo da calcio, col suo moto equo e imprevedibile, tutto, fino al triplice fischio dell’arbitro, potrà accadere . Perché le partite durano 90 minuti e non si deve mai pronunciare la parola “fine” prima del dovuto, e questa è una situazione che – pro o contro – abbiamo conosciuto tutti. È la parte emozionale del calcio, quella che ci regala un’esplosione incontenibile di gioia, sia per un successo in cui si è atteso placidamente il fischio finale, contando nella propria testa i minuti che passano, sia per quelle volte che abbiamo dovuto stringere i denti fino all’ultimo secondo, che non sembra mai arrivare, con la consapevolezza che tutto può ancora succedere. Ma, che sia una vittoria fragorosa e mai messa in discussione, o combattuta fino all’ultimo respiro e sofferta, una sola cosa conta: averla ottenuta sul campo! Perché la vittoria vissuta e guadagnata sul campo è l’unica capace di emozionarci, di riempirci di gioia e di farci sognare.
Questo campionato è stato una lunga partita per tutti, una partita che purtroppo non abbiamo potuto terminare. Una partita sospesa da eventi che ci hanno distrutti, prostrati e spezzati. Una partita che ha fissato i nostri piccoli sogni calcistici, dai quali ci siamo svegliati una domenica mattina, senza nemmeno avere la possibilità di riporli in un cassetto. Una partita in cui a nessuno è stato concesso di gioire. Una partita silenziosa, che ha ammutolito il sostegno degli amici sugli spalti, le urla di felicità, una parola di conforto, il triplice fischio finale. Una partita in cui non esiste un vincitore.
Torneremo a giocare. Nessuno sa quando, e pensare concretamente a quel che ci può prospettare il futuro, adesso, è un esercizio mentale forse non impossibile, ma sicuramente irrilevante visto che di certezze non possono essercene, e soprattutto perché – diciamocelo – al momento le priorità sono altre e a quelle devono essere rivolti i nostri pensieri. La palla rotolerà sul campo, complice la sua forma rotonda, e noi torneremo a rincorrerla (qualcuno in realtà, complice altrettanta forma rotonda post-quarantena rotolerà come la palla), e le partite finiranno con i più bravi che avranno vinto, mentre tutti gli altri berranno una birra alla loro salute. Si ripartirà dall’inizio, per decisione presa dall’alto, che ci riporta tutti ad uno stato staminale. È giusto così? Sì! Non per farci pensare che nulla sia accaduto, ma perché la partita non è mai finita, e tutti devono potersela giocare e sperare di vincerla fino alla fine.
Ci sarà chi trionferà sul campo, e chi non ci riuscirà. Tutto il resto è solo teoria.