Grazie a un progetto in collaborazione con il carcere di Bollate, i ragazzi di 5A SSS (servizi socio sanitario) di Gavirate possono raccontare il mondo della detenzione “dall’interno”. Come prima cosa, sottolineano i ragazzi, dimentichiamoci le divise arancioni e colloqui con i parenti attraverso un vetro. Scene come queste si vedono solo nei film. Impariamo invece a conoscere il mondo del carcere tra detenuti, poliziotti ed educatori.
Come vi siete interfacciati con i detenuti?
Ci siamo recati in carcere cimentandoci in diversi momenti di confronto con alcuni detenuti. Gli incontri erano organizzati sotto forma di cafè philo (caffè filosofici) riguardanti temi come la legalità e le relazioni umane. Abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a una giornata di arte-terapia organizzata all’interno del carcere. Alcuni incontri si sono svolti all’esterno della struttura. Come le testimonianze a scuola dei detenuti usciti eccezionalmente in articolo 21 e la partecipazione al concerto della band “Freedom sound”, composta da detenuti e fondata da un poliziotto.
Cosa avete appreso di nuovo rispetto alla vita in carcere?
Come prima cosa abbiamo abbandonato gli stereotipi proposti dal mondo del cinema. Ci ha stupito molto la quantità di attività promosse dal carcere di Bollate. La reclusione è una pena che va scontata. Ma ciò che appare evidente in questo carcere è la volontà di creare dei percorsi di ri-educazione.
Come è stato organizzato il progetto?
Questo progetto nasce due anni fa dalla curiosità dei ragazzi, in particolare l’alunno Matteo Magnani. E’ portato avanti dalla professoressa di filosofia Paola Saporiti e dalla docente di psicologia Valentina Deitinger. L’idea è di fare chiarezza su figure professionali in ambito socio sanitario come l’educatore per poter scegliere in modo consapevole dopo gli studi. Abbiamo avuto l’opportunità di avvicinarci a questo mondo spesso nascosto ai giovani. Grazie a questa esperienza possiamo restituire tra amici e famigliari un’immagine nuova di carcere.
Mila Greta Maderna
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