“Canta che ti passa”

Serenate notturne… cantate di gruppo dopo una buona cena…sfide di karaoke tra ragazzi e ragazze… Questi e tanti altri modi in cui giovani e adulti danno voce ai propri sentimenti non tramonteranno mai…
Sia pur sommessamente, nel timore di essere giudicati “retrò”, in questi giorni sono risuonati anche canti patriottici, uniti nel segno di un’appartenenza, frutto di una storia. La coincidenza del festival di Sanremo probabilmente ha riempito quel vuoto che sarebbe stato imperdonabile nel festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Giovedì sera non sono saltati in piedi solo tutti i partecipanti della sala dell’Ariston di Sanremo. Senza timore di smentita, pensiamo che tutti ci siamo sentiti interpretati da Benigni quando ha spiegato l’Inno di Mameli la sera del 17 febbraio.
…E adesso continuiamo a cantare. Non a cantarcela.
È proprio della nostra cultura italiana il cantare in solitaria, in gruppo, in coro… Forse abbiamo scambiato il progresso economico e tecnologico con il regresso dell’espressione canora… Non che non si ascolti più musica, in lingua materna o estera. Ma raramente la si esterna, affidando questa parte agli “specialisti” o a gruppi ben definiti, magari contenuti da qualche limite psico-fisico.
C’è una forma di inibizione anche in questo manifestarci. C’è timore di alterare il nostro volto, che gli altri ci vedano alterati nei nostri lineamenti, mentre cantiamo o urliamo.
Riappropriamoci della libertà di cantare, fischiettare… senza negare queste ed altre espressioni che rivelano e comunicano i nostri sentimenti.
C’è bisogno che il nostro ambiente non sia caratterizzato da rumori, ma venga attraversato da messaggi veramente umani
In questo caso non diremo più solo: “Canta che ti passa”, ma che l’Italia torna ad essere la patria del bel canto.

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Movimenti popolari e rivoluzioni

Si è incendiato il Nord Africa e brucia l’Egitto, Paese arabo da sempre considerato perno dell’amicizia con l’Occidente: un incendio che, per una miriade di fondate ragioni, fa paura, specie all’Europa, così geograficamente vicina, così politicamente (e culturalmente) lontana. Soprattutto colpevolmente distratta. Distrazione non solo europea. E non solo politica. Ma distrazione colpevole su tutta la linea. Perché, anche stavolta, di questo improvviso irrompere sulla scena di una rivolta popolare così ampia, così densa di allarmanti interrogativi per il futuro, quasi nessuno degli ‘esperti’ s’era accorto, lo aveva previsto. E adesso, di fronte all’eruzione in corso, non trovano nulla da dire se non quello che qualsiasi profano vede a occhio nudo: è un rivolgimento, una rivoluzione, che resterà sui libri di storia. Ma in che modo, con quali conseguenze, nessuno lo sa. Eppure, averlo capito in tempo sarebbe stato necessario e utile, anche se non sufficiente. Così non è stato; […] Dunque, perché mai gli ‘esperti’ non riescono a fare il loro mestiere? Per fortuna, qualcuno, fra loro, si pone onestamente la domanda. E dà risposte convincenti: se gli esperti non riescono più a vedere ‘avanti’ come sarebbe loro compito, forse è perché si concentrano nello studio degli Stati, (governi, capi di stato, strutture economiche, politiche, culturali e simili), trascurando però quello dei popoli che li abitano. Sembra l’uovo di Colombo, ma probabilmente è vero. Tanto più in tempi di internet, di globalizzazione, ecc… In altre parole: se non ti sforzi di andar a vedere, a sentire come vive e cosa pensa la massa delle persone, quella reale, non quella che ti passa il circuito dell’informazione più o meno ‘ufficiale’, più o meno paludata, non potrai mai capire dove e come sta andando il mondo.[…] di Gabriella Sartori

Ognuno di noi vorrebbe capire l’andamento nazionale e internazionale, comprendere le cause delle rimostranze di interi popoli e le conseguenze dei fatti di questi giorni.
Si tratta di situazioni in apparenza uguali, ma profondamente diverse per la tipologia di interlocutori che si affrontano, il loro effettivo potere la loro effettiva cultura. Tunisia, Algeria, Egitto: movimenti di popolo sembrano replicare quelli della storia recente, di Stati soggetti a dominio dittatoriale. Comunque sia, siamo spettatori di iniziative dove tante persone sono disposte a ribellarsi fino a dare la propria vita.
Rivoluzione – cioè cambiamento radicale – non è solo il frutto di un rovesciamento di potere, solitamente accompagnato da spargimento di sangue. È soprattutto presa di coscienza della propria dignità. Questo significa che la rivoluzione culturale precede quella politica. L’augurio è che in questi Paesi sia data l’occasione di una vera rivoluzione culturale.

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“Ricordare” perché possiamo restare uomini

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Levi Primo – Se questo è un uomo

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Donne e uomini protagonisti dell’Unità di Italia – Don Lorenzo Milani

don lorenzo milani

Non vogliamo impegnare la nostra mente nel valutare la situazione da cui è involontariamente investita la pubblica opinione in questi giorni.

Ci soffermiamo sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia, facendoci accompagnare da uno degli uomini che hanno contribuito a costruire la dignità dell’Italia, Don Lorenzo Milani (Firenze, 1923-1967), giovane prete fiorentino, morto nel 1967, esemplare nella sua appassionata ricerca, come cittadino e come educatore. I suoi due scritti più significativamente popolari, ancora attualissimi, sono “Lettera a una professoressa” e “L’obbedienza non è più una virtù”: quest’ultimo ha aperto la strada alla legge sull’obiezione di coscienza, fino all’istituzione del Servizio Civile in Italia.

Con quel marasma valoriale che c’è oggi, accostare una figura come Don Milani ha il valore di ristorarsi con un bicchiere d’acqua fresca in un momento di grande calura, o in uno stato febbricitante.

Occorre riprendere in mano anche “Lettera a una professoressa”  e contestualizzarlo all’interno del mondo scolastico di oggi, caratterizzato ormai da troppi insegnanti demotivati e da troppi alunni che percepiscono la scuola come un peso e non come luogo di crescita valoriale e culturale…

Con un pizzico di nostalgia, cerchiamo nel panorama odierno qualcuno che ne porti avanti l’eredità… ci stai?

Come lui amava affermare: “non abbiamo bisogno di eroi, ma di cittadini consapevoli di appartenere ad un territorio e a una civiltà che può dare molto”, ma che va sempre alimentata.

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Non ci basta mantenere quanto abbiamo ottenuto, vogliamo migliorare!

Quanto sta accadendo allo stabilimento di Mirafiori della Fiat ci induce a fare alcune riflessioni.
“Se si pretende che ci siano le regole consolidate dei contratti di lavoro, la nuova FIAT non ci sta e porta l’azienda laddove c’è più flessibilità”.
Molti di noi vorrebbero ancora la stessa sicurezza di lavoro che avevano i nostri nonni e i nostri padri, vorrebbero un lavoro in azienda fino all’età della pensione… Ma la realtà è continuamente sottoposta a cambiamento: lavoro, mercato, famiglia…
Per rimanere “al passo con i tempi”, per crescere, per migliorare, per affrontare le novità senza subirle, c’è bisogno di persone che si aggiornino, che si informino, che siano curiose e – sempre attente al mercato e al mondo che cambia – che dedichino tempo ed energie alla propria formazione permanente e alla propria riqualifica.
Nella nostra provincia vediamo come le aziende tessili del distretto di Busto e Gallarate sono state decimate. Oggi il lavoro richiede formazione sempre più specialistica, costante innovazione per essere competitivi. Alle aziende non viene più chiesto solamente di produrre, ma di essere innovative, originali, flessibili, lungimiranti, sempre cavalcando l’onda dei cambiamenti, cogliendo e anticipando i bisogni di domani. D’altra parte la stessa parola impresa ha dentro di sé il concetto di “intrapresa”, di uomini e donne intraprendenti, pronte a seguire nuovi stimoli e sollecitazioni.
Così il futuro sarà sempre più di coloro che si metteranno in gioco, sempre disponibili a muoversi, a cambiare, cioè gli uomini e le donne “con la valigia in mano” in senso metaforico e reale.
Rarissimamente sarà di coloro con la bottega sotto casa, che porteranno avanti l’ereditata impresa in modo tradizionale.
Così sarà sempre più premiante la conoscenza delle lingue, l’uso quotidiano degli strumenti tecnologici più avanzati, la rilevazione socioculturale…
Anche nel nostro lavoro al Centro Gulliver. Esigenti anzitutto con noi stessi, sapendo che non si vive di rendita nel nostro mestiere (esperienza e studio si accompagnano continuamente): studio personale e formazione di gruppo saranno il nostro investimento migliore.
Grazie a chi ci ha preceduto abbiamo un’immagine positiva sul territorio, non ci basta continuarla, vogliamo migliorarla.
Anche in famiglia. La famiglia di oggi non è più la famiglia del passato. E’ sottoposta a nuovi stimoli, sollecitazioni. Occorre “essere continuamente attrezzati”, sempre mettersi in gioco, mai dare per scontate le nostre relazioni, acquisite una volta per tutte.
Ma allora, rischiamo di essere sempre sotto il vento del cambiamento? Esiste ancora qualcosa di stabile? Sì. Sono i valori. Il rispetto, la conoscenza di sé, l’onestà, la ricerca del senso…
Tutti noi, in ogni ambito – pubblico e privato – siamo sollecitati a confermare i valori e a viverli, vicino e lontano. In senso reale e metaforico.

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Festa è…

I giorni appena trascorsi ci sollecitano una riflessione sul significato del “far festa”. Spesso associamo la festa e il tempo libero a divertimento, musica, pranzi preparati accuratamente, viaggi in terre lontane… Ma è solo questo?
Desideriamo uscire da noi stessi, dalla routine, alla ricerca di dimensioni esotiche, emozioni forti e possibilmente nuove, sempre inquieti, pronti a partire, aspettando la prossima… Sentendoci più vivi… Ma i nostri desideri profondi vengono davvero appagati?

Vera festa è quando viviamo il tempo libero come “tempo liberato”, vicino alle persone importanti per la nostra vita, con relazioni vere e coinvolgenti, luoghi dove finalmente possiamo essere liberi di essere noi stessi, senza maschere, riconoscendoci per quel che siamo, con i nostri limiti, bisogni e desideri e accogliendo quelli dell’altro… Lasciando entrare l’altro nella nostra vita perché diventi più piena di senso e significato…

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Buon Natale dal Centro Gulliver

Carissimo,
ti ho scoperto
fratello di sangue, a Pasqua…
ma quanto mi costa ancora
riconoscerti!
Smarrito ti cerco ancora,
anche nel deserto
sovrappopolato di solitudini.
Mi mostrerai il tuo volto:
ogni volta ti vedrò dare la vita,
accogliere la debolezza,
ascoltare la silente Parola.
E sarà festa!
Quanto è bello ritrovarsi vicini
dopo esserci smarriti…lontano
Il bello viene adesso,
a Natale!
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Tempo di bilanci: contare, contarsi, raccontarsi…

Fine anno… tempo di bilanci, numeri, statistiche… A livello pubblico, così come a livello privato: le aziende tirano le somme e stendono bilanci economici, gli Stati fanno una fotografia sulla propria situazione, prendendo in considerazione diversi indicatori (PIL, tasso di occupazione…).

Al di là di queste considerazioni, questo ci dice del bisogno che abbiamo di contare, di guardarci indietro per analizzare cosa è andato bene, cosa è andato male, i punti di crescita, le difficoltà incontrate… Quasi un fermarsi per ripartire con rinnovato slancio…

Anche noi, a livello personale, così come a livello di gruppo siamo provocati da tante domande. A che punto siamo? A chi siamo vicini? Da chi siamo lontani? Quali sono i nostri punti di riferimento? Porci delle domande ci aiuta a trovare coordinate personali e di gruppo…

Come Gulliver riflettiamo sui nostri punti di riferimento sui quali occorre ancora convergere: la centralità della persona, la solidarietà che non si limita ad un aiuto indiscriminato, ma che è esigente richiesta di cambiamento e, non ultimo, un’attenzione costante alla formazione e all’informazione dei nostri operatori…

Questi principi valoriali che ricaduta hanno nella nostra quotidianità? Sicuramente, come tutti coloro che sono al servizio della persona, anche noi “subiamo” una certa precarietà, ma possiamo ritenerci soddisfatti: se da un lato cerchiamo di spenderci al servizio dei più sofferenti, dall’altro le persone che hanno bisogno di aiuto continuano a rivolgersi a noi…

“Fare bilanci”, “fare statistiche” ci aiuta a mettere a fuoco le nostre posizioni più vere. Solo chi ha una buona memoria può fare un buon progetto.

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Quanto vale un non-uomo?

di Marina Corradi

Uno squalo ha ucciso una bagnante nelle acque di Sharm el-Sheik. Sui giornali un resoconto dettagliato, anche a tutta pagina, completo di immagine dello squalo, e misure, peso, lunghezza dei denti nonché abitudini alimentari. Lo squalo predilige i cefalopodi, il barracuda e il tonno, veniamo edotti – per la completezza della informazione.

Già, l’informazione. A poche centinaia di chilometri da Sharm el-Sheik, nel Sinai 250 profughi africani sono prigionieri da settimane di predoni. Che pretendono dai familiari un riscatto. E intanto, per far capire che non scherzano, ne hanno già uccisi sei. Gli altri aspettano in catene il loro destino. Di quei 250 miserabili ha parlato il Papa, all’Angelus di domenica. Ha pregato per loro. Ma alla sua voce non sembra aggiungersi quella specie di preghiera laica che è la mobilitazione mediatica. Non si vede salire nei titoli una battaglia paragonabile, per esempio, a quella per Sakineh. Eppure quegli uomini sono 250, e in sei sono già morti. Eppure il Sinai non è lontano da quella spiaggia dove uno squalo assassino merita le prime pagine.

Uomini e no, viene da pensare. Al mondo esistono gli uomini: sono quelli che vanno in vacanza a Nama Bay, e che sono comprensibilmente disturbati dalla presenza di uno squalo. Facilmente gli italiani benestanti, di Sharm el-Sheik affezionati frequentatori, si lasceranno coinvolgere dalla tragica fine di una turista straniera che nuotava serena, proprio come facevano loro l’anno scorso. Proprio come vogliono fare a Natale: oddio, c’è uno squalo a Nama bay, ci si telefona fra amici in partenza.

E poi al mondo esistono i non uomini, gli Untermenschen che scappano dalle guerre infinite di Etiopia, Eritrea e Somalia in carovane di camion, nella polvere. Finiscono in Libia, li imprigionano, fuggono. Non tentano più di imbarcarsi: il Mediterraneo è sbarrato, e quanti già, come loro, giacciono in fondo al mare, in un cimitero senza croci. Come in un labirinto cieco, di respingimento in respingimento, tornano indietro, vendendo sé stessi per pagare un passaggio, una minima speranza di salvezza.

Quei 250 volevano chiedere asilo in Israele. I predoni che ne fanno “commercio” li tengono nel Sinai senza alcuna fatica: uomini stremati, allo sbando, disarmati. Quanto vale la vita di un morto di fame? Famiglie di immigrati in Svizzera, nel Nord Europa si sono sentite chiedere 8.000 dollari dai fratelli, dai figli prigionieri. In sei già ammazzati, il prossimo quando? A dare voce al dramma un prete e le solite Ong. Ma il dramma non trapassa la cortina di una distratta indifferenza sui giornali. Non fa scendere in piazza, non suscita raccolte di firme di intellettuali.

Come mai, potremmo candidamente chiederci. Ma è semplice: la faccenda dello squalo a Sharm el-Sheik riguarda “noi”. Quei turisti a Nama Bay potremmo essere noi, nelle vacanze di Natale. Leggiamo dunque con allarmata immedesimazione della tragica fine di una “come noi”. Le 250 vite e storie di quei profughi braccati invece non ci coinvolge emotivamente: sono neri, senza una casa né un soldo, affamati e sporchi. Incomprensibili per noi le loro odissee. Profughi, da che cosa? Gli echi di guerra e sangue che filtrano talvolta tra la cronaca di una festa ad Arcore e l’ultima lite in Parlamento ci giungono così confusi e lontani.

E, magari, al Nord (e non solo) qualcuno sotto sotto pensa che quei 250 prigionieri sono 250 immigrati di meno a casa nostra. Non c’è nemmeno, a coinvolgerci, la tensione di una battaglia contro una sentenza di morte. Quei là nel Sinai sono anche al di sotto dei requisiti minimi per avere dei diritti civili: profughi e dunque come non più cittadini di alcun Paese. Non uomini di una non patria. Figli del niente.

A chi interessano? Al Papa e al solito prete che se li è presi a cuore, e si sgola a richiamare l’attenzione. Ma il sasso cade nell’acqua inerte di uno stagno. Stiamo pensando ad altro, alla crisi, alle elezioni forse, ai file di Wikileaks. Alle vacanze, i più fortunati. Di predoni, interessano solo quelli con le pinne, sul mare dove si affacciano i resort dove gli uomini “come noi” vanno, a Natale.

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Quando la tecnologia è al servizio dell’uomo. Quando la tecnologia pone delle domande.

Fatti locali del nostro territorio e fatti globali ci provocano in questi giorni suscitandoci spunti di riflessione. Attenti come siamo al territorio in cui viviamo, ma consapevoli di essere parte di un’avventura planetaria… Globalizzazione è anche questo, è pensare che ogni cosa che riguarda il pianeta ci riguarda e provoca anche noi.

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