Sergio Michilini: la figura disegnata

Nelly's, "La danzatrice ungherese Nikolska al Partenone", Atene 1929.

Nelly's, "La danzatrice ungherese Nikolska al Partenone", Atene 1929.

Ecco alcuni suggerimenti per la realizzazione di uno studio dal vero di una o più figure. Questi appunti sono stati scritti per la realizzazione di un programma didattico svolto nell’anno scolastico 1988/89 per le classi 3E – 3F – 3G – 4E al Liceo Artistico Statale di Busto Arsizio.

Divideremo il lavoro in otto fasi:

  1. PRIMA DI INIZIARE LO STUDIO
  2. DEFINIZIONE DEL “TAGLIO COMPOSITIVO”
  3. IMPOSTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE
  4. RELAZIONI ED INTERRELAZIONI TRA LE PARTI
  5. DEFINIZIONE DEL SOGGETTO E DELLE PARTI DI CUI E’ COMPOSTO
  6. DEFINIZIONE DEI DETTAGLI ESPRESSIVI
  7. LINEA TONALE o LINEA CHIAROSCURALE, ovvero VARIAZIONE DI INTENSITA’ DELLA LINEA
  8. CHIAROSCURO.

Fase N.1 – PRIMA DI INIZIARE LO STUDIO

Sistemarsi con il cavalletto in modo da poter vedere il soggetto preso in considerazione ed il foglio da disegno sul cavalletto senza doversi girare continuamente sul proprio asse.
Compatibilmente con lo spazio disponibile nell’aula, cercare di collocarsi in modo di avere uno spazio sufficiente per retrocedere dal cavalletto (teoricamente almeno il doppio dell’altezza del foglio da disegno) ed avere una visione d’insieme del disegno e del soggetto senza deformazioni eccessive di quest’ultimo.

Preparare previamente tutti gli strumenti e materiali necessari per realizzare il lavoro, (nel nostro caso fusaggine, gomma pane, straccio, pennello morbido, temperino ecc.) per evitare continue e banali interruzioni alla ricerca di “prestiti provvidenziali”.

Fase N.2 – DEFINIZIONE DEL “TAGLIO COMPOSITIVO”

Si opera una scelta della “finestra visiva uniangolare” (cioè considerando lo spettatore immobile sul proprio asse di fronte al disegno) considerando attentamente:

Il “taglio” della composizione che si intende realizzare sul soggetto preso in considerazione, ed il suo rapporto conseguente sul piano bidimensionale del foglio da disegno.
Le dimensioni del foglio a disposizione (nel nostro caso di cm. 100 x 70) e la rispondenza, in fatto di impaginazione, rispetto al “taglio” compositivo prescelto.
Si delinea la “finestra visiva” sul foglio stesso (considerando che i margini di destra e sinistra debbono essere uguali, e il superiore leggermente piú piccolo di quello inferiore, per lasciare spazio a: nome, cognome, classe, anno scolastico in basso a destra e numero della tavola, data di inizio ed eventualmente tema del disegno in basso a sinistra).

Fase N.3 – IMPOSTAZIONE DELLA COMPOSIZIONE

Dividere opportunamente soggetto in considerazione e “finestra visiva” sul foglio con assi orizzontali, verticali e diagonali, trovando le metá (orizzontali, verticali ed oblique).

In questa prima “rete geometrica” realizzare lo schema generale, a grandi masse, della composizione; individuando una prima relazione armonica d’insieme:

Tra i “pieni ed i vuoti”, cioè tra piani sporgenti e piani profondi, tra i volumi (convessità) e fondi (concavità). Questa è una analisi che considera una visione perpendicolare al foglio (piano verticale) dall’avanti all’indietro.
Tra la destra e la sinistra, l’alto e il basso: cioè le “zone” delineate rispetto al loro “peso visivo” nello spazio bidimensionale del foglio (parallelo al piano verticale).
*In questo schema generale, a grandi masse, è necessario delineare la forma geometrica fondamentale in cui si inserisce la composizione (triangolo, rombo, rettangolo, cerchio ecc.) e le forme geometriche contenute, inserite o relazionate con questa.

*Le “direzioni visive” debbono avere una loro generale logica interna di equilibrio e di “continuità”.

In questa fase la composizione sul foglio deve giá risultare EQUILIBRATA (considerando comunque che a livello di “peso visivo”, successivamente influiranno anche elementi come il chiaroscuro ed il colore.

N.B. Tutte queste operazioni debbono essere fatte con linee molto leggere e facilmente modificabili, senza necessariamente essere cancellate nelle fasi successive.

Fase N.4 – RELAZIONI ED INTERRELAZIONI TRA LE PARTI

In questa fase si tratta di creare una “RETE ARMONICA” accentuando leggermente alcune linee (peró sempre in modo facilmente modificabile), nella relazione tra due o piú di quelle che sono state tracciate nella fase N.3.

Studiando attentamente il soggetto reale, si devono individuare quali sono le linee parallele tra di loro. Quali sono quelle convergenti e verso quale punto o direzione convergono e che possibile forma geometrica piana vanno a formare, o fanno intuire queste linee.

Quali sono le linee perpendicolari, intersecanti… Quali ellissi o circonferenze esistono… Soprattutto quali segmenti di linee rette o curve possono avere una continuitá o collegamento con altre.

In questo modo, e basandosi sulla osservazione e sensibilità percettiva individuale, ciascuno potrá stabilire una rete di relazioni tra le parti come elemento fondamentale della propria composizione: si scoprirá che esistono dei ritmi nell’insieme della composizione; si scoprirá anche che possono esistere “parentele” tra alcune linee, o angoli, o forme che creano “armonia”; ma anche che possono esistere “contraddizioni” o “dissonanze” tra alcune linee o forme ed altre, ed anche ció è fondamentale per dare un SENSO personale alla propria composizione.

Questa “macchina” unica ed irripetibile; questo “meccanismo” deve essere pronto, in questa fase, a mettersi in moto, a funzionare giá con una propria “energia interna”.

N.B. Questa operazione, come tutte le altre, deve essere fatta non deformando arbitrariamente ció che è stato fatto nelle fasi precedenti, ma studiando e considerando attentamente il soggetto reale: cosí si contribuisce ancora di piú a “costruire” il disegno, a precisarlo con tutta una serie di punti di riferimento, di misurazione e di verifica che si verranno a creare.

Fase N.5 – DEFINIZIONE DEL SOGGETTO E DELLE PARTI DI CUI E’ COMPOSTO

In questa fase, nella “RETE ARMONICA” realizzata si deve porre l’attenzione sul significato del soggetto preso in considerazione: gesso, modello, tavolino, panneggio, cavalletto, struttura architettonica ecc.

Si iniziano a definire queste parti, guardando spesso il soggetto, molto attentamente, senza soffermarsi troppo sui particolari (occhi, bocca, mani, capelli ecc.), bensí mantenendo il SENSO della propria composizione: cioè “adeguando” o “piegando” (non deformando gratuitamente) i profili, i contorni, le linee di profondità, le forme in generale, ai ritmi, armonie, dissonanze, strutture definite nella fase N.4.

Si tratta quindi di esaltare (anche con una certa audacia, peró sempre con linee non troppo accentuate e comunque sempre modificabili), il soggetto significante nella sua funzione compositiva generale.

Si continua lavorando su tutto lo spazio del foglio perche’ il disegno cresca lentamente tutto insieme, e mai partendo da una parte con l’intenzione di finire per poi arrivare nella parte opposta e pretendere di aver terminato il disegno: lavorare sempre riducendo le masse, i volumi, gli spazi in forme geometriche semplici (triangolo, trapezio, cerchio ecc., cubo, cono, sfera ecc.) sempre lasciando la possibilitá di un ripensamento, di modificare, aggiustare e precisare facilmente ció che è stato fatto (riducendo al minimo o eliminando del tutto l’uso della gomma).

Il disegno è sempre un progetto ed un procedimento di studio, e non bisogna dare niente per scontato fino alla sua conclusione.

Fase N.6 – DEFINIZIONE DEI DETTAGLI ESPRESSIVI

Solo in questa fase possiamo finalmente incominciare ad individuare e delineare quei particolari “interni” che danno “espressione” al soggetto, o alle parti che lo compongono.

Trattandosi fondamentalmente di figure, inizieremo con lo studio dei dati anatomici, che sono indubbiamente espressivi: i muscoli mimici, ma anche tutti gli altri, le estremitá, le articolazioni ecc.

Scopriamo l’espressione d’insieme della figura (forza, bellezza, grazia, movimento, arroganza, rigidità, fragilità ecc.) e cerchiamo di rappresentarla studiando le forme, i caratteri, il senso plastico di ogni particolare anatomico evidente.

Poi, nei capelli ci sono “ciocche fluide e separate” o “riccioli vaporosi, leggeri, ribelli” o “volumi compatti, lisci, metallici”.

Nel panneggio ci sono varie pieghe che lo definiscono nella sua “morbidezza”, “leggerezza” o “durezza”. Nel tavolino ci sono degli spigoli “vivi” o “taglienti” che separano i piani in modo netto ed inequivocabile; ci sono angoli “violenti” o “acuti”; ci sono piani “definiti”, “freddi” ecc.

Ciascuno potrá accentuare alcuni caratteri tipici piuttosto che altri, potrà rendere presenti alcuni dettagli piuttosto che altri, seguendo la propria capacitá percettiva, la propria esperienza e sensibilità.

Ricordando peró che nella composizione di varie figure e oggetti vari, tutti i particolari sono potenzialmente espressivi, e non solo quelli che ci sembrano tali a prima vista o per abitudine.

Fase N.7 – LINEA TONALE o LINEA CHIAROSCURALE ovvero VARIAZIONE DI INTENSITA’ DELLA LINEA.

Tutti i piani, forme o volumi normalmente e convenzionalmente, nelle due dimensioni, li rappresentiamo con linee.

Queste linee, che noi abbiamo tracciato sul foglio, in realtà non sono che delimitazioni di questi piani e volumi: delimitano un contrasto di luce e ombra, chiaro e scuro o freddo e caldo.

Dove c’è una linea, ci sono 2 piani con valore di chiaroscuro, di tono o di colore differente: cioè siamo di fronte ad un contrasto piú o meno evidente.

In questa fase dobbiamo analizzare attentamente il grado di contrasto che esiste tra i vari piani della composizione, ed accentuare la linea quanto piú è forte il contrasto chiaroscurale dei piani che la determinano.

Si otterrá cosí una modulazione della linea come preludio o preparazione allo studio del chiaroscuro.

Attenzione: anche questa operazione deve essere realizzata guardando e studiando sempre piú attentamente e minuziosamente il soggetto che abbiamo di fronte, perché la variazione di intensitá chiaroscurale della linea deve andare di pari passo con l’approfondimento del CARATTERE specifico, particolare, unico di ciascuna linea, di ciascuna curva, di ogni angolo ecc.

Fase N.8 – CHIAROSCURO

Non esiste una regola uguale per tutti per fare un buon chiaroscuro.

Peró buona norma è analizzare bene il soggetto che abbiamo di fronte per capire il tipo di espressione che emana ciascuna superficie (liscia, ruvida, satinata, “grassa” o “secca”, “assorbente” o “riflettente”, “fredda” o ” calda”, “dura” o “morbida” ecc.).

Tutto ció si deve tradurre in una “tessitura” chiaroscurale la piú idonea possibile a ritrasmettere, attraverso segni, puntini, tratteggi o sfumati di vario tipo, la nostra sensazione percettiva del soggetto preso in considerazione.

Fondamentalmente è la luce (e l’ombra) che ci danno la possibilitá di “leggere” il materiale di cui è costituito il nostro soggetto, (senza necessariamente doverlo toccare) ed il posto che questo occupa nello spazio che lo circonda. Come “gioca” la luce in ogni singola superficie, o piano, o volume; con che carattere chiaroscurale noi riusciamo a distinguere un gesso, da un incarnato, da un panneggio o pavimento; quali sono le caratteristiche di “stacco” tra un piano e l’altro, quale tipo di “continuità” esiste nel chiaroscuro di uno stesso piano o volume: che influenza comporta la riflessione di una luce sulle superfici circostanti…

Questo “gioco” della luce sulle cose deve essere tradotto in un chiaroscuro, il piú possibile rispondente alla propria “emozione e percezione visiva”, ma anche il piú possibilmente verificabile in forma oggettiva, (teoricamente non esistono due luci uguali, o due ombre uguali; c’è una variazione costante della intensità di luce ed ombra nelle superfici del nostro soggetto).

Buona norma è stabilire fin dall’inizio di questa fase, dove c’è la luce piú forte e dove l’ombra piú profonda; dopodiché si crea una “gerarchia” di valori chiaroscurali e si procede per “campiture” (cioè per aree) a partire dalle forme e volumi generali, per finire ai particolari, o forme e volumi nei dettagli espressivi.

Lavorando con la fusaggine, come nel nostro caso, (ma anche, poi, con il carboncino, o gessetto di seppia o sanguigna), ci si renderá conto che tutto puó essere modificato: si possono “abbassare” certi scuri, o ammorbidire alcune “durezze”, o precisare alcuni piani, o puntualizzare certe espressioni, o “uniformare” un certo spazio ecc.; insomma, si possono ancora avere “ripensamenti” prima di concludere il lavoro (non bisogna neppure dimenticare che con il chiaroscuro si possono anche in parte “aggiustare” certi errori di equilibrio visti nella fase N.3).

Per finire, ricordiamoci che questo lavoro è fondamentalmente uno STUDIO attento del soggetto che abbiamo di fronte, e non una COPIA MECCANICA E SUPERFICIALE: cioè non si pretende un “bel disegno”, ma piuttosto uno studio profondo, fatto con serietà, metodo e disciplina.
Il lavoro, quindi, sará piú riuscito quanto piú dimostra il PERCORSO realizzato, le cose capite, le capacitá acquisite.

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