Il sofà della signora Peggy Guggenheim

11La Collezione Peggy Guggenheim è il museo più importante in Italia per l’arte europea ed americana della prima metà del ventesimo secolo. Ha sede a Venezia presso Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, in quella che fu l’abitazione di Peggy Guggenheim. Il museo fu inaugurato nel 1980 e ospita la collezione personale di arte del ventesimo secolo di Peggy Guggenheim

Pubblichiamo un illuminante articolo del 1949 di Piero Bargellini (il Sindaco della alluvione di Firenze) per conoscere meglio questa collezionista e collezione orgogliosamente installata nella città della Pittura di Colore e di Luce, di Bellini, Giorgione, Tiziano e Tintoretto….

Il sofà della signora Peggy Guggenheim
di Piero Bargellini (Il Mattino 11-3-1949)

Dunque la collezione Guggenheim è nel Palazzo Strozzi, o per essere piú esatti, nei sotterranei del palazzo fiorentino. In questi giorni, attorno a quel palazzo, c’è chi urla scandalizzato, e c’è chi gongola compiaciuto. Gli scandalizzati danno di provinciali ai gongolanti, e i gongolanti danno di provinciali agli scandalizzati.
Se ci fosse un autentico provinciale, il quale non sapesse ancora che cosa sia la Collezione Guggenheim, bisognerebbe avvertirlo che si tratta d’una raccolta d’arte moderna, messa insieme frettolosamente, dal 1939 a oggi, dalla signora americana Peggy Guggenheim.

Invece di fare incetta di canini di varie razze o d’idoletti cinesi, la cara signora ha messo insieme, con raffinato e perverso gusto, pezzi rari d’artisti cubisti, astrattisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivismi, e chi piú n’ha, piú ne metta.

Se poi, sempre l’onesto e schietto provinciale volesse sapere chi sono e come sono fatti cubisti, astrattisti, prunisti,simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivismi e via dicendo, gli consiglierei di non preoccuparsi troppo di tanta diversità di nomi, e di considerare tutti questi artisti fratelli siamesi da museo degli orrori o da baraccone delle meraviglie.

Finalmente, se il solito e rispettabile provinciale mi chiedesse se si deve scandalizzare o congratulare dinanzi alla Collezione Guggenheim, io lo esorterei a non fare né l’una né l’altra cosa, per non passare davvero da provinciale.

La Collezione Guggenheim è una cosa molto sgradevole, ma d’altra parte è una cosa molto comprensibile. Anche le croste dei vaiolosi credo che siano sgradevoli, e anche le piaghe dei lebbrosi. Croste e piaghe sono manifestazioni e conseguenze d’una malattia. E la malattia che ha prodotto la forfora dei cubisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivismi e simili, non è piú un mistero per nessuno. Si chiama Estetismo. Gli specialisti sanno precisamente quando s’è prodotta, e come s’è sviluppata. Conosciamo anche chi gli dette il nome, che è, se non sbaglio, il tedesco Baumgarten.

L’Aesthetica del Baumgarten segnó il glorioso svincolamento dell’arte da ogni soggezione estranea. Fino allora l’arte era restata in una specie di tenebroso Medioevo, nel quale anch’essa era stata serva, come la sua sorella maggiore, la Filosofia, della Religione. Non solo, ma anche della politica, della morale e persino della didattica.

Questo pauroso asservimento aveva prodotto quei miseri iloti dell’arte che rimangono nella storia come tristissimi esempi d’incoscienza artistica, coi nomi di Cimabue, Giotto, Masaccio, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Tintoretto.

Fortunatamente l’Estetica veniva ora a liberare l’arte dalla sua vergognosa schiavitú, promovendo quella provvidenziale rivoluzione, durante la quale vennero solennemente proclamati i “diritti dell’arte”. Cosí l’arte fu dichiarata “autonoma”, ovverosia indipendente dalla religione, dalla società, dalla morale. Le supreme leggi dell’autonomia dell’arte vennero formulate in quel gioiello tautologico dell’ “arte per l’arte”, diventato popolarissimo, e al quale cosí bene si sono ispirati gli artisti cari alla signora Peggy.

Infatti, se l’arte, secondo il responso della Dea Aesthetica, non ha nessuna funzione né religiosa né sociale né morale né educativa, se l’arte è fine a se stessa, si capisce benissimo come una riga rossa sopra una superfice celeste o un baffo giallo accanto a una macchia verde possano “fare arte” possono “essere arte” e adempiere pienamente i sacri canoni dell’Estetica.

E’ dunque fuor di luogo scandalizzarsi dinanzi alla Collezione Guggenheim. E’ fuor di luogo, fuor di tempo e fuor di moda. Non siamo tutti convinti dell’autonomia dell’arte? I nostri chiarissimi professori non l’insegnano da tutte le cattedre? I nostri egregi storici d’arte non lo ripetono a ogni pagina dei loro libri? I nostri esimi critici non lo dichiarano in ogni loro articolo?

Quand’è cosí non resta che inghiottire la Collezione Guggenheim. E’ dura ad andare giú? Coraggio. Dov’è passata l’Estetica pura deve passare anche la Collezione Guggenheim!

Quando l’arte era, poveretta lei! schiava, cioè non ancora liberata dall’Estetica, nel loro servaggio religioso, sociale, pedagogico, i poveri pittori conducevano una vita molto scomoda, a ridosso di muri, quando non lavoravano addirittura, come quel disgraziato di Michelangelo, supini su dure tavole con la barba imbrodolata di colore. Tra gli artisti incatenati al palco e costretti al pennello, e i galeotti, non c’era quasi differenza, tolta la trascurabile ispirazione.

Persino nel liberale Ottocento i pittori continuarono a trascinare la palla al piede del ritratto, che il borghese filisteo pretendeva somigliante, nonostante che fosse già stata promulgata l’autonomia dell’arte anche dalla somiglianza.

Soltanto col Novecento gli artisti hanno conquistato interamente la coscienza dell’autonomia dell’arte, e hanno cosí potuto ottenere le superbe affermazioni del cubismo, dell’astrattismo, del prunismo, del simultaneismo, del neoplasticismo, del costruttivismo, del suprematismo, del dadaismo, del surrealismo, del neoclassicismo, del primitivismo; e poiché ogni artista ha il suo degno committente, a un certo momento, e precisamente nel 1939, si è capito che la vera committente di questa arte era stata la signora Peggy Guggenheim.

Non conosco la signora Guggenheim e non vorrei essere scortese con lei. La immagino coltissima e simpaticissima. Penso che sia una donna di molto spirito, se invece di divertirsi coi canini pechinesi o coi giuochi di società, ha scelto come svago la collezione d’arte. Ella ha reso un grande servizio alla storia dell’arte, perché si è assunto il compito della nuova committente. La sua figura e il suo nome resteranno certamente nella storia.

E’ giusto e logico che una signora molto spiritosa metta insieme opere d’arte senza preoccupazioni religiose, senza scopi sociali, senza fini pedagogici. La formula “l’arte per l’arte” le sta perfettamente a viso, come per altre signore van benissimo quelle del canino per il canino o del bridge per il bridge. Ella ha tutto il diritto di giocare, coi suoi diletti artisti, all’astrattismo, al prunismo o al simultaneismo, e nessuno, dico nessuno, puó muovergliene rimprovero.

Certi svaghi non potevano permettersi i gravi Abati dei monasteri con Buffalmacco che pure era un burlone, né i Priori dei conventi con Giotto che pure era un uomo spiritoso, né i consoli delle arti con l’Orcagna, che pure era estroso, né i signori col Botticelli che pure era sofistico, né i Papi con Michelangelo che pure era ardito, né i Dogi col Tintoretto che pure era spregiudicato. C’era allora di mezzo quella maledetta responsabilità morale che metteva sempre un poco in soggezione tanto il committente quanto l’artista.

Ma con l’autonomia è un’altra cosa: e per soddisfare la nuova committente basta una trovatina, è sufficiente un lazzettino, un ghiribizzo, un grillo, una frascheria, un lambiccamento, un capriccio, una girella, una parabola, una baía. E gli artisti, col loro pronto intuito, hanno avvertito che il mondo era cambiato, e che i committenti non erano piú i Papi, i Sovrani, i Consoli, i Priori, il Popolo, ma le signore Peggy esponenti di una piccola e ristretta società raffinata e svogliata, oziosa e scettica, capricciosa ed equivoca.

Essi han fatto di tutto per essere invitati nel salotto della signora Guggenheim, e oggi il salotto della signora Guggenheim è stato invitato nel Palazzo Strozzi. Tutto qui.

A guardar bene, quei tremendi “ismi” che formano la collezione della signora Peggy, si riducono a un fenomeno di gagaismo mondano.

Gli artisti sono contenti d’esser finiti dai palchi della Sistina al sofà delle signore Peggy? Contenti loro contenti tutti, ma poi non si lagnino se il mondo volta le spalle all’arte! Perché nel mondo non ci sono soltanto le signore Guggenheim.

Piero Bargellini

Ndr: purtroppo il caro Bargellini si è completamente sbagliato: i sofà e il gagaismo sono dilagati, con le loro trovatine e ghiribizzi sia a Venezia che in tutta Italia…….. e Tiziano oggi sarebbe un disoccupato tra i tanti o un esule tra i tanti.

1 pensiero su “Il sofà della signora Peggy Guggenheim

  1. Thanks for the wonderful web-site. – I’m surching for a contact to signore de Luca. – What is the best manner to reaffirm this? Grazie lei!
    sabin-hering

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