Così ragionavamo negli anni ’60 studiando nella Accademia di Belle Arti di Firenze, a proposito del “linguaggio” della Pittura Italiana. E Giotto non finisce mai di stupire: adesso si scopre che gli affreschi della Cappella Peruzzi di Santa Croce a Firenze non sono “AFFRESCHI”, ma è “PITTURA A SECCO”, cioè dipinti realizzati su muro secco, con qualche tipo di tempera (cioè pigmenti colorati in polvere “incollati” al muro con dei leganti o collanti naturali, come tuorlo d’uovo, caseina, latte di fico, colla di coniglio ecc.)
E, nell’articolo seguente di Silvia Bosi, si analizza come, con i raggi ultravioletti ogg si possa “SVELARE IL VERO GIOTTO”.
Tutto davvero interessante ma, ad ogni modo, il maestro Gianfranco Tognarelli ci ricorda……………“è proprio vero quello che diceva Gajoni, un capolavoro resta tale anche se cade da un aereo, se subisce danni di ogni genere….. o no??!! Ricoperto, scolorito, danneggiato, rimadipinto……e rimane Giotto…”…..
GIOTTO E’ SEMPRE GIOTTO e da lì possiamo ripartire per ritrovare un linguaggio antico e comune, che ci possa indicare un cammino sempre nuovo per il futuro.
E prima di passare all’articolo in questione, permettetemi una parentesi di nostalgia, ricordando quando, alla fine degli anni ’60 vivevo a Firenze in un angolo di Paradiso: una casa circondata dagli ulivi e campi coltivati tra Piazzale Michelangelo e Forte Belvedere, in fondo a Via dell’Erta Canina……era ed è incredibile quel settore di Firenze, appena fuori dalle mura michelangiolesche: in piena campagna toscana e a dieci minuti a piedi dal centro, da Ponte Vecchio, da Palazzo della Signoria e dal Duomo!
Stavo in una stanza che mi aveva affittato un incisore nordamericano (i ricchi proprietari delle poche case di quella zona erano tutti nordamericani, tedeschi e inglesi, a parte un contadino “toscanaccio puro” che produceva latte e verdure per tutti i vicini ……praticamente un angolo privilegiatissimo del nostro Belpaese, completamente di proprietà straniera ).
Come studente di Pittura dell’Accademia squattrinato, ma vivendo in quel sogno, tutte le sere e fine settimana la mia stanzetta con piccolo giardino si trasformava in punto di riferimento per i colleghi…ed erano infinite discussioni d’arte, feste da sballo (allora non esistevano le discoteche), incontri romantici e sessioni di Pittura “en plein air” e, insomma, tutto quello che si dovrebbe incontrare in Paradiso, San Pietro permettendo……
Da lì a Piazza San Marco, dove frequentavamo l’Accademia, era una mezza oretta a piedi, e tutti i giorni si passava di fronte a Santa Croce. Logicamente spesso si entrava e gli Affreschi di Giotto erano il nostro alimento quotidiano….per risolvere i nostri problemoni pittorici che affrontavamo tutte le mattine sulle tele, con colori e pennelli e lo studio di nudo dal vero: erano problemi di semplicità, di sintesi, di monumentalità, di campiture e di composizione, di luminosità e di verità….e sempre Giotto ci poteva suggerire le migliori risposte, proprio in questi suoi capolavori delle Cappelle Bardi e Peruzzi.
Scusate la breve disgressione……. torniamo all’articolo di cui si parlava:
Raggi Ultravioletti Svelano “Il Vero” Giotto
mercoledì 10 marzo 2010
A cura di: Silvia Bosi (www.arcadja.com),
Non hanno più segreti i dipinti originali di Giotto nella Cappella Peruzzi, siti nella basilica di Santa Croce a Firenze. Un capace team di restauratori, grazie all’utilizzo dei raggi ultravioletti, è riuscito a scorgere i dettagli che portano la vera firma di Giotto, e che tempo e restauri avventati avevano compromesso.
Isabella Lapi Ballerini, a capo dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze- rinomato e prestigioso laboratorio di restauro- ha dichiarato: “Abbiamo scoperto un Giotto segreto”. L’anno scorso un gruppo di restauratori e ricercatori ha iniziato nella cappella un ambizioso progetto di diagnostica non invasiva, allo scopo di analizzare lo stato dell’intera superficie, di 170 metri quadrati, e stilare una scheda dettagliata delle parti danneggiate, una sorta di “cartella clinica” utile per un futuro restauro.
Durante quest’indagine durata quattro mesi, in parte finanziata dalla Fondazione Getty di Los Angeles, i restauratori, dai ponteggi, hanno avuto modo di osservare i dipinti ai raggi ultravioletti e notare incredibili particolari, impossibili da vedere a occhio nudo. Cecilia Frosini, coordinatrice del progetto, dopo aver analizzato scrupolosamente le scene della vita di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, ha detto: “E’ stato davvero incredibile.
Sapevamo di poter ottenere alcuni risultati molto interessanti dalla nostra diagnostica scientifica, ma quando abbiamo guardato sotto la luce ultravioletta, tutto ad un tratto questi tenui dipinti, rovinati da vecchi restauri, hanno preso nuova vita”.
La cappella in Santa Croce fu commissionata a Giotto dalla ricca famiglia di banchieri Peruzzi, e l’artista realizzò il lavoro in piena maturità artistica, verso il 1320. Per stile, tecnica, potenza volumetrica e monumentalità delle figure, espressività e sapienza compositiva, questo ciclo pittorico non solo è una summa dell’opera giottesca, ma rappresenta anche un’evoluzione del suo modus operandi. La modernità e l’evidente desiderio di progresso ne hanno fatto un importante testamento artistico, una preziosa eredità che ha poi influenzato la generazione successiva dei pittori fiorentini, primo fra tutti Michelangelo, nato quasi 140 anni dopo la morte di Giotto. I restauratori, con l’ausilio dei raggi ultravioletti, hanno avuto modo di ammirare i capolavori della Cappella Peruzzi così come li aveva visti Michelangelo a suo tempo, in tutta quella bellezza e potenza espressiva che, non a caso, qualifica Giotto come uno dei precursori del Rinascimento italiano.
L’affascinante gruppo pittorico in Santa Croce- citato anche nel romanzo Camera con Vista di E.M. Forster, così come nell’omonimo film di James Ivory tratto dal libro- venne imbiancato verso il 1714 per far spazio ad un nuovo progetto. Nel 1840 circa, la cappella fu riscoperta e subì un nuovo restauro, molto aggressivo, che non solo tolse l’intonaco bianco, ma compromise anche la superficie di questi dipinti. L’utilizzo dei mezzi dell’epoca, come solventi duri e lana d’acciaio, logorò e uniformò il derma di queste opere giottesche, minimizzando ogni peculiarità del loro DNA, stingendo i chiaroscuri e appiattendo le forme. Così, per rimediare al danno, i “restauratori” del XIX secolo dipinsero le parti di Giotto danneggiate, aggiungendo di proprio pugno ciò che ormai era stato raschiato dall’originale, nel tentativo di restituire tono e risalto ai frammenti sbiaditi.
Nel 1958 venne compiuto un ulteriore intervento, che ripulì le pitture dalle aggiunte arbitrarie del secolo precedente, lasciando ciò che restava dei Giotto originali, ovvero quello che possiamo vedere tutt’oggi.
Non è appropriato definire questi dipinti “affreschi”, poiché vennero eseguiti “a secco”, su intonaco asciutto, a differenza dei precedenti affreschi del maestro fiorentino. Probabilmente questa scelta del pittore in tarda età- suppongono gli esperti- era dettata dalla volontà di ottenere un effetto diverso, dai colori più ricchi e brillanti, nuovo rispetto a quello delle sue precedenti e meravigliose prove a fresco di Assisi e Padova. Tuttavia tale procedimento a secco ha reso i dipinti più vulnerabili, dato che il colore viene assorbito meno da un intonaco non umido. Infatti, anche dopo il restauro del ‘58, il ciclo pittorico è rimasto flebile, pallido, come un malato, ma riprende vita sotto la luce ultravioletta: i panneggi sono voluminosi, gli abiti sono riempiti da corpi torniti, si coglie la tridimensionalità, si leggono le emozioni, emergono i peli della barba di San Giovanni Evangelista e colpisce l’intensità dello sguardo vivido e cordiale di Dio mentre lo accoglie in paradiso. Purtroppo questi
dettagli sono visibili solo con un bagno di luce ultravioletta, al quale però non si può costantemente sottoporre il lavoro giottesco perché risulterebbe dannoso, oltre che poco pratico.
Secondo quanto affermato dalla Frosini, sarebbe possibile condividere tutto questo con il pubblico solo attraverso un massiccio e oneroso progetto, che consenta di creare una sorta di mappatura in ultravioletto della Cappella Peruzzi, accessibile poi a visitatori sugli schermi di un computer come un luogo virtuale. Perché tutti possano godere di questo privilegio, non resta che sperare e attendere che arrivino i fondi necessari.