Daniel Pulido è un artista colombiano, nazionalizzato nicaraguense. Pittore e scrittore iperattivo, lavora anche in Arte Pubblica e Teatro (A Varese, nel salone ristorante del Circolo di Bosto esiste una sua pittura murale che risale agli anni 90). In dicembre del 2009 ha pubblicato una nuova raccolta di 20 novelle intitolata “LE PORTE DEL CIELO”, dalla quale oggi pubblichiamo, tradotta all’italiano “LA BRUTTA REGINA”, e una serie di suoi disegni che illustrano questo libro.
LA BRUTTA REGINA
(traduzione dallo spagnolo)
Uscì a sfilare sulla pista illuminata. Il suo vestito lasciava poco alla immaginazione. Davanti allo sguardo assorto degli spettatori esibiva una pelle bianchissima, assolutamente tersa. Sicuramente per loro era bella e abbagliante, questa è stata la mia deduzione di fronte alle espressioni di ammirazione e i bisbigli del gruppo.
Però io, viaggiatore appena arrivato da un’altra galassia, non distinguevo bene tra un esemplare e l’altro della specie umana.
La sua apparenza era, per il mio gusto, abbastanza deprimente: una creatura senza grasso, allungata nella sua parte centrale, dove aveva sviluppato varie protuberanze semisferiche, raggruppate sui suoi lati più larghi. Da questo corpo principale emanavano cinque prolungazioni carnose. Lei si muoveva stranamente sulla piattaforma, usando le due appendici più lunghe, avanzando e stabilizzando l’una prima di avanzare e stabilizzare l’altra.
Più sopra sorgevano altre due appendici un poco più corte e delicate, coronate nelle punte con delle ramificazioni stravaganti, una specie di pelli articolate con movimento proprio usate indistintamente per varie funzioni.
In una rara e orrenda coordinazione, la creatura muoveva le sue prolungazioni principali nella misura in cui cambiava ubicazione. Nella parte superiore della sua massa centrale si staccava la quinta carnosità: uno strano tentacolo molto più corto, grosso e peloso delle quattro ramificazioni anteriori.
Questo prolungamento carnoso girava basicamente in due direzioni.
Lì ho potuto distinguere due occhi, anche se aveva altre aperture, forse con qualche funzione fisiologica. Una di quelle era la entrata del condotto alimentare principale, i cui bordi rossi e primitivi lasciavano vedere, sporadicamente, alcune tosche conformazioni ossee interne. Tutto l’insieme offriva una visione cruda e sconcertante di questo esemplare di femmina umana.
Non sono riuscito a localizzare gli sfinteri dai quali deve espellere tutti i rifiuti interni. Non sono riuscito neanche ad identificare il suo apparato genitale che dovrebbe avere, come tutti i mammiferi terrestri.
Le mie informazioni sugli abitanti di questo pianeta sono molto scarse, ci sono varietà di specie, questo lo sappiamo. Secondo me le più belle abitano gli oceani, però mi hanno collocato qui per studiare la specie umana perché, secondo i nostri saggi, è la unica che contraddice e viola tutte le norme universali di comportamento intelligente, mettendo così in pericolo la vita di questo luogo e la esistenza della stessa specie.
L’esemplare femminile in menzione continuò la sua sfilata, girando occasionalmente su se stessa e muovendo i suoi tentacoli, come qualche cosa che doveva significare un rito sessuale previo alla copulazione: questo l’ho dedotto al percepire nell’area una esagerata esibizione di odori ormonali provenienti dai maschi e da alcune femmine che stavano lì. Nella misura in cui questo volume carnoso si spostava, si potevano ascoltare suoni assurdi emessi da varie brutture vive localizzate in una estremità del recinto i quali, usando tutti i loro appendici e alcuni dei loro orifici, operavano con strumenti di disegno differente, con i quali emettevano suoni vari e al cui ritmo la creatura si spostava sulla pista. Quando la femmina arrivò al finale della medesima, gli uomini che presenziavano la danza grottesca cominciarono a emettere versi gutturali e strilli, mentre, la maggior parte, faceva ancora più rumore colpendo tra sé, con forza inusitata, le proprie estremità laterali.
Uno degli orifici che più muovono questi tipi è quello ubicato sotto gli occhi. E’ la loro bocca centrale, dalla quale espellono una grande quantità di odori e suoni, e con alcuni di questi murmugli incoerenti si comunicano. Questo orificio è la entrata principale del condotto alimentare: l’ho comprovato in ripetute occasioni, abbastanza sconcertanti, come si introducono liquidi e altri frutti morti, nonostante si conseguano perfettamente vivi in tutto il pianeta.
Io mi trovavo all’inizio della pista dove quel repulsivo esemplare di femmina umana aveva iniziato il suo percorso. Nessuno mi vedeva, la limitata percezione dei sensi umani fa si che io sia quello che loro considerano un essere inesistente, invisibile o per lo meno intrascendente. La creatura venne verso di me eseguendo sempre il suo enigmatico rituale. Ho dovuto superare lo schifo istintivo e, quando è stata sufficientemente vicina, l’ho inghiottita, non senza masticare un poco per determinare i suoi sapori e consistenza.
Note sull’autore:
Daniel Pulido nasce in Bogotá (1956). Arriva in Nicaragua nel 1984 e si stabilisce da allora nella città di León. Ha pubblicato: “Cro-nicas para la Edad del Hambre” (2000), “Cuentos para leer en familia” (2002) e “Asuntos del Barrio” (2007). Come Pittore ha partecipato in numerose esposizioni individuali e collettive. Come Pittore di Murali ha realizzato numerosi lavori dentro e fuori del Nicaragua. Attualmente lavora con il “Movimiento de Teatro Popular sin Fronteras” (MOVITEP-SF), forma parte del gruppo che edita il bollettino letterario “Deshonoris Causa”, del gruppo letterario “Fragua” ed è condirettore del “Centro Cultural MADRE TIERRA” nella Comarca Goyena della comunità Indigena di Sutiaba (Leon, Nicaragua, Centroamerica).
LA REINA FEA
(versione originale in spagnolo)
Salió a desfilar por la pista iluminada. Su traje dejaba poco a la imaginación. Ante la mirada absorta de la concurrencia exhibía una piel blanquísima, absolutamente tersa. Seguramente para ellos era bella y deslumbrante, esa fue mi deducción ante las expresiones de admiración y los cuchicheos del grupo. Pero yo, viajero recién llegado de otra galaxia, no distinguía muy bien entre un ejemplar y otro de la especie humana.
Su apariencia era, para mi gusto, bastante deprimente: Una criatura sin grasas, alargada en su parte central, misma en la cual había desarrollado varias protuberancias agrupadas sobre sus dos lados más anchos. De este corpus principal se desprendían también cinco prolongaciones de carne. Ella se desplazaba extrañamente sobre la plataforma, valiéndose de los dos apéndices más alargados, adelantando y afirmando el uno antes de adelantar y afirmar el otro. Más arriba surgían otros dos apéndices un poco más cortos y delgados, coronados en las puntas por unas ramificaciones extravagantes, una especie de pellejos articulados con movimiento propio, usados indistintamente para varias funciones.
En una rara y horrenda coordinación, la criatura movía sus prolongaciones más notorias a medida que cambiaba de ubicación. De la parte superior de su masa central se desprendía la quinta carnosidad: un extraño tentáculo semiesférico mucho más corto, grueso y velludo que las cuatro ramificaciones anteriores. Este alargamiento carnoso giraba básicamente en dos direcciones. Allí pude distinguir dos ojos, aunque tenía otras aberturas, tal vez con alguna función fisiológica. Una de ellas era la entrada del conducto alimenticio principal, cuyos bordes rojos y primitivos dejaban ver, esporádicamente, algunas toscas conformaciones óseas internas. Todo el conjunto ofrecía una visión cruda y desconcertante de este ejemplar de hembra humana. No logré entender ni localizar los esfínteres por los cuales debe segregar todos sus deshechos internos. Tampoco identifiqué su aparato genital pero debía tener, todos los organismos terrestres los poseen.
Mi información sobre los habitantes de este planeta es muy escasa, hay variedad de especies, eso lo sabemos. Para mí las más bellas habitan los océanos, pero me destacaron aquí para estudiar a la especie humana porque, según nuestros sabios, es la única que contradice y viola todas las normas universales de comportamiento inteligente, poniendo con ello en peligro la vida en este lugar y la existencia del mismo.
El ejemplar femenino en mención continuó su ruta, girando ocasionalmente sobre sí y moviendo sus tentáculos, en algo que debía significar un rito sexual previo al apareamiento; esto concluí al percibir en el área un exagerado despliegue de olores hormonales provenientes de los machos y algunas hembras humanas que allí se encontraban. A medida que este volumen de carne se desplazaba, se podían escuchar absurdos sonidos emitidos por varios esperpentos vivos localizados en un extremo del recinto, quienes usando todos sus apéndices y algunos de sus orificios, operaban herramientas de diseños diversos, con las cuales emitían sonidos variados a cuyo compás la criatura se trasladaba sobre la pista. Cuando la fémina llegó al final de la misma, los humanos que presenciaban la grotesca danza comenzaron a emitir gorjeos y chillidos mientras, la mayoría de ellos, hacía aún más ruido golpeando entre sí con fuerza inusitada sus extremidades laterales.
Uno de los orificios que más mueven estos especimenes es el que está ubicado debajo de los ojos. Es su boca central, por ella expulsan una gran diversidad de olores y sonidos, con algunos de estos murmullos incoherentes se comunican. Este orificio es la entrada de su principal conducto alimenticio, allí comprobé en repetidas ocasiones, con bastante desconcierto, cómo se introducen líquidos y otros frutos muertos a pesar que se consiguen perfectamente vivos en todo el planeta.
Yo me encontraba al inicio de la pista donde aquel repulsivo ejemplar de hembra humana había iniciado su recorrido. Nadie me veía, la limitada percepción de los sentidos humanos hace que yo sea lo que ellos consideran un ser inexistente, invisible o intrascendente al menos. La criatura vino hacia mí ejecutando siempre su enigmático ritual. Tuve que sobreponerme al asco instintivo y, cuando la tuve suficientemente cerca, la engullí, no sin antes masticarla un poco para determinar sus sabores y su consistencia.